Si discute da anni sul ruolo delle piccole e medie imprese nei processi di sviluppo economico e sociale. Al riguardo, sul piano teorico, esistono fondamentalmente due modelli: il modello “piccole imprese e grandi reti” e il modello “grandi imprese integrate”. Il primo modello appare particolarmente adatto al nostro Paese, ma richiede una adeguata ed efficiente infrastruttura di rete e il suo efficace utilizzo.
Ma vediamo prima alcuni numeri. Nell’Unione Europea si stima che il 99,8% delle imprese sono di piccole e medie dimensioni, con un massimo di 250 dipendenti. Le imprese con meno di 10 addetti rappresentano il 93% del totale, quelle da 10 a 50 dipendenti il 5,9%, le imprese da 51 a 250 addetti lo 0,9%. Le imprese con più di 250 addetti rappresentano lo 0,2% del totale. L’Unione Europea conta più di 20 milioni di piccole e medie imprese che danno occupazione a più di 86 milioni di persone (66,5% del totale dell’occupazione).
Diversa è la situazione negli Stati Uniti d’America, dove le piccole e medie imprese sono definite quelle con un numero di dipendenti inferiore a 500. Le imprese fino a 9 addetti rappresentano il 50% del totale; quelle da 10 a 99 addetti il 38%; le imprese da 100 a 499 addetti l’8%; quelle con oltre 500 dipendenti il 4%.
Le informazioni di tipo micro possono variare molto, ma si ritiene che il settore delle piccole e medie imprese costituisca certamente il motore della prosperità delle economie sviluppate. E questo vale soprattutto alla luce delle grandi possibilità offerte dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e dalla digitalizzazione dei sistemi prevista dalla quarta rivoluzione industriale.
Nei paesi in via di sviluppo invece il sistema delle piccole e medie imprese è molto debole, con un peso del 16% in termini di prodotto interno lordo e del 18% in termini di occupazione. Esistono invece molte micro imprese a livello familiare. Si pensi che nei paesi poveri i piccoli imprenditori agricoli a livello familiare sono circa 2 miliardi, pari ad un terzo della popolazione mondiale. Le micro imprese nei paesi poveri hanno difficoltà a crescere per una serie di ragioni, tra cui l’accesso ai canali ordinari del credito bancario per mancanza o insufficienza di garanzie. Supplisce lo sviluppo del microcredito che nel mondo ha superato 200 milioni di destinatari. Gran parte dei destinatari vive al di sotto della soglia di povertà assoluta, con una tendenza alla stabilità del numero dei beneficiari dopo l’inizio della grande crisi nel 2007-2008. In questo campo esistono larghe possibilità di cooperazione allo sviluppo tra i paesi ricchi e quelli poveri, come nel caso dell’Italia che possiede un settore agricolo ed agroindustriale molto avanzato.
Appare interessante un confronto tra le curve di distribuzione del numero delle imprese nei paesi ad alto reddito con quelli a basso reddito. Nel primo gruppo, la curva è di tipo unimodale con un massimo in corrispondenza al numero delle piccole e medie imprese. La curva scende prima velocemente e poi in modo più graduale con il passaggio dalle medie alle grandi imprese. Nel secondo gruppo di paesi, la curva è invece bimodale, con un massimo assoluto in corrispondenza al numero delle micro imprese. Successivamente, la curva scende in modo rapido andando verso le imprese di piccola e media dimensione, con un livello molto più basso rispetto ai paesi ad alto reddito. Un massimo relativo si scorge infine in corrispondenza al numero delle imprese medio-grandi.
Indicazioni importanti sono contenute nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa del 2004 per quanto riguarda il ruolo delle piccole e medie imprese e delle cooperative nei processi di sviluppo per uscire dalla “trappola della povertà”. Un esempio molto importante e significativo, afferma il Compendio, nella direzione indicata proviene dall’attività che può riferirsi alle imprese cooperative, alle piccole e medie imprese, alle aziende artigianali e a quelle agricole a dimensione familiare. La dottrina sociale ha sottolineato il contributo che esse offrono alla valorizzazione del lavoro, alla crescita del senso di responsabilità personale e sociale, alla vita democratica, ai valori umani utili al progresso del mercato e della società.
Il beato Giuseppe Toniolo, nel suo Trattato di economia sociale, fa intuire l’importanza della civilizzazione dell’economia attraverso forme di intervento che partono dal basso nello spirito della sussidiarietà, come sono le casse rurali, le cooperative per l’acquisto di sementi, materiali e macchine agricole, le cooperative di consumo, le mutue assicurazioni del bestiame e contro l’incendio e così via. In poche parole, il ruolo fondamentale nei processi di sviluppo che partono dal territorio secondo i valori della solidarietà e della sussidiarietà, delle cooperative e delle piccole e medie imprese. Si dava in questo modo concreta attuazione alle linee di azione indicate dalla Rerum novarum di Leone XIII e di cui Toniolo è stato il grande sostenitore e realizzatore.