Scopo della presente scheda è di inquadrare l’etica del profitto nello scenario dell’economia dello sviluppo rispetto a quello dell’economia stazionaria. Si ritiene infatti che solo in un’economia di sviluppo orientata al bene comune, il profitto abbia un fondamento etico.
Per svolgere il nostro ragionamento dobbiamo partire dalle forze che determinano lo sviluppo economico. Nell’analisi economica, le forze che determinano lo sviluppo economico sono sostanzialmente tre: la distribuzione del reddito tra i fattori della produzione; la domanda; il progresso scientifico e tecnico.
La forza della distribuzione del reddito nella spiegazione dello sviluppo caratterizza gli economisti classici e, in particolare, Ricardo e Marx. E’ la teoria del valore lavoro che sostiene che tutto il prodotto è frutto diretto o indiretto del lavoro e che quindi tutto il valore della produzione deve andare ai lavoratori. A tale concezione si contrapporrà la teoria marginalista che afferma che ad ogni fattore della produzione va una remunerazione in rapporto al contributo dato alla produzione stessa . Alla produttività marginale del lavoro corrisponde il salario reale e alla produttività marginale del capitale corrisponde il tasso di profitto, cioè, in equilibrio, il tasso di interesse. Si supera in questo modo la legge ferrea del salario per cui il suo livello può superare quello di sussistenza attraverso una maggiore produttività del lavoro.
Qual’ è il punto di vista della Dottrina Sociale della Chiesa riguardo a questo problema della distribuzione? La Rerum novarum del 1891 di Leone XIII costituisce su questo problema e su questo periodo una voce illuminata indicando l’importanza della giustizia distributiva (il giusto salario), ma rifiutando energicamente il metodo della lotta di classe per risolvere i problemi distributivi, facendo appello ai valori della partecipazione e della solidarietà.
La seconda forza dello sviluppo è rappresentata dalla domanda ed essa assume una rilevanza fondamentale in Keynes. La domanda privata di investimenti, a causa dell’incertezza del futuro come è accaduto negli anni trenta ma come è accaduto anche con l’ultima crisi, può cadere su livelli così bassi da determinare un reddito di equilibrio cui corrisponde una larga disoccupazione dei fattori della produzione. Per questo Keynes propone l’intervento dello Stato che attraverso gli investimenti pubblici può risollevare la domanda globale, alzando il livello del reddito e l’occupazione dei fattori produttivi.
La terza forza dello sviluppo economico è costituita dal progresso scientifico e tecnico. Lo vediamo ai giorni nostri con il ruolo pervasivo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, le biotecnologie, la nanotecnologie, i nuovi materiali. Tale progresso determina l’aumento della produttività totale dei fattori della produzione e quindi la crescita del reddito pro capite e in parte minore, ma crescente, la durata del tempo dedicata al lavoro. La Caritas in veritate di Benedetto XVI attribuisce grande importanza a questo fattore, dedicando un intero capitolo, il sesto, al tema dello sviluppo dei popoli e la tecnica. “La tecnica, afferma Benedetto XVI, permette di dominare la materia, di ridurre i rischi, di risparmiare fatica, di migliorare le condizioni di vita. Essa risponde alla stessa vocazione del lavoro umano: nella tecnica, vista come opera del proprio genio, l’uomo riconosce se stesso e realizza la propria umanità”. “Ma, aggiunge Benedetto XVI, la libertà umana è propriamente se stessa quando risponde al fascino della tecnica con decisioni che siano frutto di responsabilità morale”.
Per renderci conto dell’enorme importanza del progresso tecnico come motore di sviluppo per il nostro futuro, è utile ricordare che è stato stimato che nei primi diciotto secoli dell’era cristiana la popolazione mondiale è cresciuta di circa 4 volte e il reddito pro capite di circa 1,5 volte. Ma negli ultimi duecento anni, la popolazione mondiale è aumentata di quasi 6 volte e il reddito pro capite di quasi 9 volte (A. Maddison, 2011). Tale spettacolare progresso scientifico e tecnico si sta confrontando e dovrà confrontarsi sempre più con i principi etici e morali, per la salvaguardia dell’uomo e dei suoi valori fondamentali.
I paradigmi che abbiamo indicato non valgono per le economie stazionarie, in cui l’intelligenza dell’uomo non opera come potrebbe per il progresso scientifico e tecnico e quindi per lo sviluppo. In tali economie stazionarie, l’esistenza del profitto è solo segno di conflitti distributivi tra chi ha di più e chi ha di meno e il profitto stesso perde la sua naturale etica per diventare espressione delle ineguaglianze e delle ingiustizie.
Il profitto non viene demonizzato dalla Dottrina Sociale della Chiesa, anzi ne riconosce le fondamentali funzioni, come si legge nella Centesimus annus di Giovanni Paolo II. “La Chiesa, afferma l’Enciclica del 1991, riconosce la giusta funzione del profitto, come indicatore del buon andamento dell’azienda: quando un’azienda produce profitto, ciò significa che i fattori produttivi sono stati adeguatamente impiegati e i corrispettivi bisogni umani debitamente soddisfatti. Tuttavia, il profitto non è l’unico indice delle condizioni dell’azienda. E’ possibile che i conti economici siano in ordine e insieme che gli uomini, che costituiscono il patrimonio più prezioso dell’azienda, siano umiliati e offesi nella loro dignità. Oltre ad essere moralmente inammissibile, ciò non può non avere in prospettiva riflessi negativi anche per l’efficienza economica dell’azienda”. “Il profitto è un regolatore della vita dell’azienda, ma non è l’unico; a esso va aggiunta la considerazione di altri fattori umani e morali che nel lungo periodo sono egualmente essenziali per la vita dell’impresa”.
Un’ultima considerazione riguarda le imprese profit e non profit, tema che viene affrontato con grande acume nella Caritas in veritate di Benedetto XVI. La distinzione negli attuali scenari economici e sociali appare sempre più sfumata perché le due categorie di imprese sono sempre più accumunate dallo stesso principio dell’efficienza economica e quindi, sia pure in misura diversa, dall’indicatore del profitto. Ecco le parole della Caritas in veritate: “ sembra che la distinzione finora invalsa tra imprese finalizzate al profitto (profit) e organizzazioni non finalizzate al profitto (non profit) non sia più in grado di dar conto completo della realtà, né di orientare efficacemente il futuro”. Ci si riferisce, afferma Benedetto XVI, non solo al cosiddetto “terzo settore”, “ma ad una nuova ampia realtà che coinvolge il privato e il pubblico e che non esclude il profitto, ma lo considera strumento per realizzare finalità umane e sociali”.