Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito ad un forte cambiamento delle politiche sociali, di quelle educative e delle politiche riguardanti il mondo del lavoro. Questo cambiamento diventa ora epocale alla luce della quarta rivoluzione industriale che rappresenta una grande sfida per i nostri giovani e per il loro futuro lavorativo.
Non esiste alcun determinismo nelle relazioni tra scuola, formazione e lavoro. Non è infatti compito dell’educazione creare posti di lavoro, ma dare un suo contributo per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. I tempi della riforma educativa sono lunghi ed è quindi impossibile che essa possa adattarsi in tempo reale alla domanda sociale.
L’educazione non può nemmeno fornire una garanzia assoluta di uguaglianza perché risulta condizionata dal background economico, culturale e sociale della famiglia e dalle doti di ciascuno.
Per affrontare in modo adeguato il problema della disoccupazione soprattutto giovanile, non basta agire solo dalla parte dell’istruzione e della formazione, ma risulta necessario ricorrere ad una pluralità di misure che riguardano contemporaneamente i vari campi del mondo del lavoro, le politiche di sicurezza sociale e il sistema educativo e formativo.
L’alternanza scuola-lavoro, che costituisce uno dei punti di forza di altri sistemi come quello tedesco, potenziata e resa obbligatoria negli ultimi tre anni delle scuole secondarie superiori dalla legge 107 del 2015 sulla “Buona scuola”, risulta per diversi aspetti carica di criticità. Non c’è solo il problema dell’obbligatorietà poco flessibile e scarsamente congruente con l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Si è voluto partire con eccessiva fretta, senza fare maturare prima le condizioni perché questa esperienza potesse essere feconda.
Inoltre la componente aziendale rimane l’anello debole. Per realizzare in modo proficuo le esperienze in alternanza non basta la progettualità della scuola, servono contesti adeguati nel mondo delle imprese, soprattutto per quanto riguarda la formazione dei tutor all’interno delle aziende.
Osservando le esperienze di alternanza scuola-lavoro, emergono due aspetti principali: l’espansione del bacino di utenza registrata nel quinquennio e poi l’aumento del numero di scuole che hanno attivato percorsi. I percorsi di alternanza censiti a livello nazionale indicano nel complesso 90 mila studenti beneficiari nell’anno scolastico 2010-2011, 189 mila nell’anno scolastico 2011-2012, 228 mila nell’anno scolastico 2012-2013, 211 mila nell’anno scolastico 2013-2014, 294 mila nell’anno scolastico 2014-2015. Con riferimento alle tipologie di scuole e all’anno scolastico 2014-2015, gli studenti degli istituti professionali incidono per il 48% (71% nell’anno scolastico 2011-.2012), quelli degli istituti tecnici per il 37% (20%) e gli studenti dei licei per il 15% (7%).
La variabile più importante risulta il legame con il territorio e l’approccio partenariale con le imprese, le associazioni, le istituzioni nei termini di una vera e propria alleanza con la scuola e di una condivisione della cultura tecnica e professionale presente. In questo modo, si riesce ad instaurare un triangolo del sapere che realizza un vero e proprio “bene culturale”, composto da insegnati, studenti e stakeholders.
La grande sfida emergente è quella dell’utilizzo dei nuovi “ambienti di apprendimento”, soprattutto quelli legati ai processi di virtualizzazione della conoscenza. Se l’azione didattica avrà luogo in ambienti in cui l’apprendimento, la discussione e la valutazione avverranno a distanza senza necessità di presenza fisica o di prossimità geografica, la stessa aula digitale potrebbe essere superata dai luoghi della “disintermediazione” in cui le tecnologie aggregate in piattaforme didattiche consentiranno la virtualizzazione della didattica e della stessa valutazione degli esiti formativi. In quest’ambito, il ritardo dell’impianto del riordino con la legge 107 del 2015 appare marcato, soprattutto con riferimento alle implementazioni più avanzate.
Appare ora utile esaminare sinteticamente due Rapporti riguardanti il mondo giovanile. Il primo è il Rapporto Giovani 2016 a cura dell’Istituto Giuseppe Toniolo e il secondo è il Rapporto Garanzia Giovani che fa il punto sui primi anni dall’avvio del programma in Italia, a cura dell’ISFOL.
Il Rapporto Giovani 2016 dell’Istituto Toniolo inizia un nuovo ciclo triennale di indagini partite nell’autunno 2015 con un campione rappresentativo di 9 mila giovani tra i 18 e i 32 anni riguardante cinque Paesi europei: Germania, Francia, Italia, Gran Bretagna, Spagna. La seconda parte del Rapporto è dedicata ad approfondimenti tematici riguardanti la mobilità internazionale e l’atteggiamento verso l’immigrazione extracomunitaria; il comportamento verso le nuove tecnologie; l’economia della condivisione nello spirito della sharing economy e della società relazionale. Dai dati emerge la forte disponibilità dei giovani a spostarsi all’estero alla ricerca di un lavoro o per motivi di studio e di formazione, con l’obiettivo di massimizzare le proprie competenze professionali e le condizioni di vita. Anche l’atteggiamento verso gli immigrati appare più positivo di quello che ci si potrebbe attendere, emergendo logiche di azione capaci di produrre e sostenere processi di integrazione e il bene comune. Laddove si creano spazi di opportunità, i giovani sono pronti a mettersi in gioco, anche se spesso non trovano il supporto adatto per ottenere il successo sperato. Quando viene loro lasciato spazio, ciò tende ad avvenire ai margini di quello degli adulti.
Il Rapporto sulla Garanzia Giovani in Italia, a cura dell’ISFOL, fa il punto sul programma dell’Unione Europea, iniziato nel 2014, per l’aumento dell’occupabilità dei giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano. Al 31 marzo 2016 il numero di coloro che si sono registrati all’iniziativa è di circa un milione. Durante i due anni del programma il flusso dei giovani si è mantenuto costante. Va anche osservato che, grazie al programma, la metà circa dei giovani si è recata per la prima volta presso un servizio per il lavoro. L’accostamento dei giovani all’iniziativa è avvenuto prima di tutto grazie al “passa parola” tra amici, parenti e conoscenti (39%), poi mediante centri per l’impiego e il lavoro (24%). Una funzione importante hanno svolto anche il web, i social network e i media (20%). Le attese dei giovani nei confronti del programma sono indirizzate principalmente verso il reperimento di un lavoro rispetto all’iscrizione a un corso di formazione. Il 75% dei giovani registrati si aspetta di trovare un’occupazione grazie al programma e il 17% domanda assistenza nella ricerca di un lavoro. Al 31 marzo 2016 i giovani avviati ad un intervento di politica attiva hanno superato il 40% di quanti sono stati presi in carico dai servizi. La condizione occupazionale dei giovani che hanno completato un percorso si caratterizza nei primi mesi per l’uso prevalente del bonus. Dei giovani che hanno usufruito del servizio, il 35% ha trovato un’occupazione a un mese dalla fine del percorso, il 40% a tre mesi e il 44% a sei.
Concludendo, occorre evitare con questi programmi che i giovani rimangano prigionieri di stage e tirocini. Bisogna invece puntare sull’occupabilità, formando nei giovani la capacità di muoversi sul mercato del lavoro e di valorizzare le proprie competenze, gestendo in modo efficace le transizioni lavorative.
Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa del 2004 dedica molto spazio ai problemi del lavoro, con particolare attenzione a quello giovanile. La Laborem exercens di Giovanni Paolo II del 1981 è interamente dedicata a questo tema. Si sottolinea che il mantenimento dell’occupazione dipende sempre più dalle capacità professionali. I giovani devono apprendere ad agire autonomamente, diventare capaci di assumersi responsabilmente il compito di affrontare con competenze adeguate i rischi legati ad un contesto economico mobile e spesso imprevedibile nei suoi scenari evolutivi. Il percorso lavorativo delle persone deve trovare nuove forme concrete di sostegno, a cominciare proprio dal sistema formativo, così che sia meno difficile attraversare fasi di cambiamento, di incertezza, di precarietà.
Si tratta, in definitiva, di temi che possono stimolare le riflessioni e le iniziative del nostro Movimento Nazionale Giovani Ucid, a cui dobbiamo riservare sempre più attenzione perché è dai giovani che dipende il futuro della nostra associazione.