Recentemente il Presidente americato Donald Trump ha accusato l’Europa di dumping valutario per la debolezza dell’euro rispetto al dollaro.
Ci possiamo chiedere se questa accusa abbia o meno un fondamento. Per rispondere a questa domanda dobbiamo considerare, a parità di altre circostanze, l’effetto del cambio dell’euro rispetto al dollaro sulle partite correnti della bilancia dei pagamenti.
Ci riferiamo per questo all’esempio della Germania e a quello dell’Italia, con i rispettivi modelli di specializzazione. L’evidenza empirica mostra che l’effetto del cambio dell’euro sulle esportazioni tedesche è molto scarso: la domanda è molto rigida ripetto al prezzo. Ciò significa che le automobili tedesche continuano ad essere vendute all’estero anche se il cambio dell’euro è forte. Un discorso analogo vale quando l’euro è debole. La Germania venderà un po’ più di automobili all’estero, ma in misura non rilevante. E’ quello che è avvenuto se consideriamo che la Germania ha un avanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti pari a quasi il 9% del prodotto interno lordo. Il limite fissato dall’Unione europea è del 6%, ma non sono previste a questo riguardo procedure di infrazione. Il discorso di Trump non ha pertanto alcun fondamento.
Ma vediamo le cose dal lato italiano. Il modello di specializzazione dell’Italia è diverso da quello della Germania. Le esportazioni sono senz’altro più elastiche rispetto al tasso di cambio e un euro debole aiuta crescita dell’economia trascinata dalle esportazioni (export led). Gli avanzi delle partite correnti della bilancia dei pagamenti possono crescere. In questo caso l’affermazione di Trump ha un significato più comprensibile, anche se non condivisibile in una logica di un’ecomia mondiale aperta agli scambi e contraria alle diverse forme di protezionismi e di barriere tariffatrie e non tariffarie.
Ma un cambio dell’euro vicino alla parità, come è ora, ha anche altre conseguenze che vengono qui accennate, soprattutto per quanto rigurda l’Italia. A parità di altre circostanze, si può osservare una correlazione postiva tra il deprezzamento del tasso di cambio dell’euro e la variazione dello spread tra i rendimenti del bund tedesco e quelli dei buoni del Tesoro poliennali dell’Italia. Un cambio forte dell’euro tende ad accompagnarsi con spread elevati dei Paesi più deboli come l’Italia o la Spagna. Viceversa, un cambio debole dell’euro favorisce spread più bassi rigurdanti l’Italia o la Spagna. Ma spread elevati dei tassi significano alti oneri per il pagamento per interessi, soprattutto per Paesi come l’Italia che ha un elevato rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo. Siamo ora sul 133% del prodotto interno lordo e un aumento di un punto percentuale dello spread significa per noi un aggravio per interessi di circa 24 miliradi di euro.
In definitiva, un tasso di cambio dell’euro competitivo è utile a Paesi come l’Italia o la Spagna per gli effetti postivi sulle partite cotrrenti della bilancia dei pagamenti, sul contenimento dello spread e del debito pubblico. Come risultato finale, la Banca Centrale Europea si vede meno costretta a comperare titoli del debito pubblico dei paesi più indebitati e più rischiosi per la tenuta complessiva del sistema. Questo naturalmente può non piacere alla Germania perchè un cambio forte dell’euro ha scarsi effetti sulle sue esportazioni e quindi sul suo tasso di crescita e sui livelli di occupazione. Ma è utile ai Paesi del Sud Europa che risecono a trarre vantaggio dalle proprie esportazioni, da spread limitati e dalla possibilità di controllare meglio le pubbliche finanze.
Tutto questo ha in fondo una sua logica perchè solo spread limitati consentono di tenere sotto controllo la sostenibilità della moneta unica europea. Non dobbiamo dimenticare che una delle condizioni dell’area monetaria ottimale è un valore nullo dei differenziali di interesse tra i Paesi che condividono un’unica moneta. Altrimenti è come se avessimo in effetti più monete da tenere insieme rispetto ad una moneta che solo formalmente è unica. Oltre certi limiti, cio’ porterebbe all’implosione dell’euro.