Economia e sociale come forma di carità
Palazzo Altieri (Roma) – 13 febbraio 2020
Intervento
Gian Luca Galletti
Presidente UCID Nazionale
2020-2023
minacciato le possibilità di sviluppo futuro, eroso ogni intermediazione, svuotato le istituzioni. Ogni slegatura è diseconomia e si pagano oggi i conti della fase storica alle nostre spalle.
Se questa è la situazione – come pare – il rimedio non può essere in una radicalizzazione dell’alternativa Stato-Mercato del tipo: neo-statalismo versus neo-liberismo.
Piuttosto, la via va cercata in una estensione di una autentica biodiversità di forme di impresa e di strutture organizzative ispirate al principio di responsabilità
È in ciò l’idea di “Stato limitato”, come ci piace chiamarlo. Lo Stato limitato si differenzia sia dallo “Stato minimo”, caro ai neo-liberisti, sia dallo Stato paternalista, caro ai neostatalisti. Lo Stato limitato, invece, è uno Stato che interviene, magari in maniera forte, ma in certi ambiti e non in altri, mentre riconosce la più ampia autonomia al libero articolarsi dei corpi intermedi della società. Lo Stato limitato è uno Stato abilitante nel quale la sussidiarietà diviene vero e proprio principio di organizzazione sociale, un principio che tende a realizzare una concordia tra la “mano invisibile” del mercato, la “mano visibile” dello Stato e la “mano fraternizzante” dei corpi intermedi. Di tutte e tre le mani abbiamo bisogno per superare l’obsoleta visione dell’economia (incivile) di mercato e per dar vita a strutture di governance capaci di affrontare con successo le sfide della rivoluzione digitale in atto, prime fra tutte quelle dell’accesso al lavoro, del modello di welfare generativo, della riduzione delle scandalose diseguaglianze sociali, di valorizzazione ambientale e di adattamento ai cambiamenti climatici. Ecco cosa significa civilizzare il mercato e perché l’UCID mira a raccogliere tale sfida, certa di essere in grado di offrire un contributo alla realizzazione di un tale progetto .
In questa fase complessa di squilibri e spaesamento, può essere utile lanciare qualche “boa” a tutti i decisori e gli imprenditori.
La prima boa è che per produrre valore serve creare valori. L’aumento di ricchezza e di benessere passerà da scelte in grado di aumentare l’economia, l’umano, il sociale e l’ambiente contemporaneamente. Lo stesso guru del management strategico, Michael Porter ha coniato nel 2011 la teoria del Valore Condiviso in cui alla generazione di profitto devono affiancarsi benefici per la comunità e per il pianeta. In questo senso, migliorare la qualità delle relazioni umane, occuparsi di una sfida sociale o ambientale, come quella dell’acqua, dell’alimentazione o della salute, deve essere concepito come un vero e proprio business, non come atto filantropico esterno o indipendente dal core business.
La seconda boa è che non è più sufficiente la Responsabilità Sociale d’Impresa, se vogliamo promuovere modelli alternativi alla crescita dobbiamo mirare alla Responsabilità Civile nella forma della “cittadinanza globale dell’impresa”, indicata dal padre dell’economia civile Stefano Zamagni. Se con la responsabilità sociale d’impresa ci si limita a chiedere all’impresa di dare fedelmente conto di quel che fa e di mostrare le ricadute delle proprie azioni sulla comunità, non solo sulle tradizionali performance aziendali, con la responsabilità civile si chiede all’impresa di non limitare il proprio raggio di azione agli stakeholders di diretto interesse e di farsi carico di aspetti culturali, sociali, ambientali del contesto in cui operano. L’impresa non è più un’organizzazione chiusa, ma una infrastruttura aperta a cui viene richiesto – nella suo stesso interesse – di migliorare la qualità di un territorio, co-determinare le condizioni di felicità pubblica e assicurare la sostenibilità dello sviluppo umano integrale.
Mi piace chiudere ricordando che Gesù ha redento non solo l’individuo ma anche le relazioni sociali e gli ambiti di vita abitati dall’uomo, in primis, quelli economici. Ecco perché l’UCID si adopererà sempre più ad abbattere le tante (e spesso nascoste) “strutture di peccato” oggi presenti nella nostra società che impediscono alla nostra gente di prendere il largo.
Contrariamente a quello che siamo abituati a pensare – diceva Max Weber – “l’economia non è una macchina, ma una costruzione sociale e traduce in consistenza materiale l’evoluzione spirituale di un popolo”. Gli imprenditori e i dirigenti d’azienda devono riconquistare – come fecero i loro predecessori all’epoca dell’umanesimo (XV sec.) – il ruolo di guida nella promozione di una nuova economia come forma di carità, di un nuovo sviluppo in chiave spirituale e di un neo-umanesimo in chiave sociale e ambientale. L’UCID si pone al servizio di tale progetto, complesso ma affascinante come pochi.
Riduci
Intervento
Giuseppe Conte
Presidente del Consiglio
che abbiamo ascoltato, ma allo stesso tempo mi associo anche al riconoscimento e ai ringraziamenti che sono stati tributati al presidente uscente Riccardo Ghidella.
Questa ricorrenza, e devo dire anche la Relazione, è molto articolata.
Questi vostri interventi ovviamente mi sollecitano, ho una responsabilità d’ufficio ovviamente, mi devo occupare anche della quotidianità dei temi del Paese, però è chiaro che sono in un contesto che mi stimola anche a svolgere qualche più ampia riflessione.
Credo lo meritiate, per quello che avete fatto dal 1947 fino ad oggi, per i temi che la vostra associazione ha posto al centro delle sue riflessioni e della sua azione, quindi perdonatemi se, come dire, approfitto e opero qualche scarto rispetto al ruolo di Presidente, ma viene anche fa capolino anche un po’, la mia attitudine anche di studioso. Gli anni successivi al secondo conflitto mondiale sono stati segnati da tante tensioni ideologiche ma si caratterizzarono per un forte, direi centrale motivo: la partecipazione corale all’opera di ricostruzione non solo economica del Paese.
Evidentemente si trattò anche di una tenace volontà, chiaramente espressa, di riscatto e di
rigenerazione morali. A quest’opera immane di riedificazione materiale, di rinascita spirituale della società contribuì in modo significativo la vostra Associazione.
Questo è un merito storico, non devo dirlo io ma è stato già detto da persone molto più autorevoli. Vi siete distinti subito per la particolare attenzione riservata ai temi del lavoro, dell’impresa, del mercato, in generale dell’economia. Temi considerati però all’interno di ammissione cristianamente orientata, fortemente inclusiva, socialmente avanzata. E la matrice culturale peraltro che ispirò l’iniziativa dei fondatori dell’Associazione è la stessa che poi animò anche l’intervento, la partecipazione, di autorevoli personaggi costituenti cattolici. Nell’ambito dell’Assemblea Costituente il contributo fu determinante.
Per quel che riguarda il tema dei Diritti Sociali, del lavoro. Si trasse ispirazione, è stato ricordato, dalla dottrina sociale della Chiesa che era già chiusa allora in alcuni fondamentali documenti pontifici “Rerum novarum”, “Graves de Communi Re” di Leone XIII e poi l’enciclica “Quadragesimo Anno” di Pio XI.
Attraverso quei documenti, già in quegli anni, si cercò di individuare, oggi poi è stato innovato questo anelito, questo indirizzo, soprattutto nell’intervento del Presidente Galletti, una terza via tra liberalismo e socialismo in grado di conciliare, da una parte il riconoscimento dei diritti inalienabili della persona, e dall’altra le istanze sociali più avanzate. Chiarissima, e i documenti e i resoconti del dibattito in seno all’Assemblea Costituente lo testimoniano, fu la posizione dei cattolici sul tema.
Provo a riassumerla: il mercato non può essere arbitro assoluto e incontrastato perché la concorrenza se non viene temperata da principi di giustizia sociale non è in grado di indirizzare il sistema economico verso la realizzazione del bene comune, scopo verso cui deve tendere ogni comunità politica.
Questa “correzione” delle logiche del mercato non poteva però realizzarsi evidentemente per mezzo di un impianto dirigista perché uscivamo da una frase di dirigismo economico peraltro caratterizzata anche da una struttura più che realizzata, pensata dal punto di vista sociale, in termini di ordinamento corporativo.
Quindi un sistema gerarchicamente organizzato. Ecco allora la prospettiva di una fruttuosa collaborazione di cui la vostra Associazione, i costituenti cattolici, si fecero portatori.
Una fruttuosa collaborazione tra classi sociali: è il modello interclassista. Questa è la grande intuizione che ha contribuito in modo significativo, e direi per certi versi anche irripetibile, alla crescita della nazione negli anni della grande industrializzazione.
Quindi anche in virtù di questo specifico apporto, di questa specifica sensibilità, si realizzò questo processo di industrializzazione in termini che oggi invidiamo molto perché furono sufficientemente è ampiamente inclusivi, equi e attenti ai bisogni di tutti.
In questo ruolo un altro elemento è stato fortemente caratterizzante, dire determinante, l’apprezzamento e il riconoscimento del ruolo delle formazioni sociali a tutti i livelli: famiglia, organizzazioni sindacali, leghe cooperative, società di mutuo soccorso e volontariato.
Garanti del pluralismo sociale, economico, in grado di rappresentare lo strumento più adeguato anche per tutelare i soggetti più vulnerabili, più fragili, in quanto capaci di arrivare la dove lo stato non riesce ad intervenire. La grande intuizione, anche questo rimarcato dal Presidente Galletti, del valore della sussidiarietà.
D’altra parte l’uomo, in base a questa visione, non è concepibile come una monade isolata di fronte all’ordinamento giuridico, al contrario si inserisce in un contesto di rapporti di vita, di natura affettiva, professionale, politica, che il diritto non può trascurare ma neppure l’economia deve scardinare anzi deve contribuire, devono contribuire, Diritto ed Economia politica, ad esaltare.
La concezione della centralità della persona umana direi che racchiude l’essenza delle culture di ispirazione cristiana, che non è da intendersi come mero piegamento autoreferenziale, ma il contrario e indissolubilmente legata alla dimensione sociale dell’essere umano.
Ne derivano le basi, poi sviluppate per una visione più realistica della società, capace di valorizzare al massimo i corpi intermedi e, attenzione, oggi appare una cosa scontata ma l’epoca no.
In tale contesto, i divari tradizionalmente presenti nel nostro Paese – come quelli fra Nord e Sud, fra aree urbane e aree interne, fra “garantiti” ed esclusi – vengono purtroppo amplificati, bloccano quell’“ascensore sociale”, che è stato un tratto distintivo della migliore stagione della crescita italiana dopo il secondo dopoguerra.
Di fronte a queste sfide, dobbiamo mettere in campo e raccogliere tutte le nostre forze, dobbiamo concentrare le energie per vincere queste sfide. Non ci possiamo consentire distrazioni di sorta, lo dobbiamo fare perché abbiamo un obbligo, un dovere politico, un dovere giuridico ma anche un dovere morale.
Dobbiamo rilanciare la crescita e lo sviluppo sociale, dobbiamo restituire vigore alle aspettative e al sogno di un futuro migliore coltivato da tutti gli italiani.
Per riattivare la crescita e la produttività, è centrale far ripartire sicuramente gli investimenti pubblici, dobbiamo spenderci tanto in questa direzione perché vedete gli investimenti pubblici negli anni sono stati frenati non solo da una logica generica di austerità, ma anche dalla eccessiva complessità del quadro normativo e della eccessiva complessità della governance pubblica, dobbiamo creare un ambiente molto più favorevole agli investimenti pubblici e anche privati. Ecco perché dico sempre che la semplificazione di tutto il sistema della pubblica amministrazione, di tutti i procedimenti amministrativi è la madre di tutte le riforme.
Poi ancora, dobbiamo assolutamente lavorare per il rilancio dell’occupazione, in particolare dei giovani, dobbiamo offrire accesso a canali di finanziamento bancario e di mercato orientato alla crescita delle nostre imprese, senza dimenticarne le peculiarità dimensionali e territoriali, il nostro tessuto produttivo e soprattutto la forza di esso risiede nelle piccole e medie imprese. Dobbiamo far crescere i nostri campioni ma dobbiamo anche assicurare ossigeno alle piccole e medie imprese.
La crescita economica è una dimensione dello sviluppo integrale della persona che, proprio in virtù della lezione cristiana, non possiamo separare dalla solidarietà, dalla premura verso i più vulnerabili, i più fragili. Non possiamo crescere senza prestare una particolare attenzione al sistema del welfare, senza evidentemente una serie di misure a beneficio delle persone che sono in difficoltà economica.
Non da ultimo, dopo aver potenziato il sostegno alle famiglie per quanto riguarda gli asili nido e il bonus bebè, stiamo lavorando – qui c’è la Ministra Bonetti – il primo confronto con le forze di governo per rilanciare il programma di governo è stato dedicato proprio a questo, dobbiamo lavorare, noi lo chiamiamo con una formula sintetica, “Family Act”, una serie di misure che ci consentano di ordinare, riordinare ma anche potenziare tutti gli interventi attualmente già predisposti aggiungendone altri in favore delle famiglie e quindi, anche, in particolare delle famiglie numerose e a basso reddito.
Le analisi di UCID, e mi avvio a conclusione, vi ho rubato tantissima attenzione, ne sono consapevole, ci ricordano l’importanza di promuovere la responsabilità anche sociale dell’impresa, la formazione, il microcredito e la microfinanza come strumenti qualificanti per perseguire il “bene comune”.
Un’iniziativa economica ha un impatto sociale che va al di là del profitto che genera, quindi bisogna sicuramente diffondere la cultura di una responsabilità anche sul piano sociale. E’ la consapevolezza, peraltro io aggiungo, che non bisogna tanto distrarre gli imprenditori da quello che è il loro fine, cioè far bene il loro business ma ovviamente coinvolgerli in una prospettiva di crescita di medio e lungo periodo e chiaramente in questa prospettiva la sostenibilità finanziaria, economica, ambientale, sociale diventa un aspetto fondamentale. Sono molti i percorsi, le forme attraverso cui riannodare – nella società e nella politica – i fili di una trama, di contenuti e di proposte, che possa alimentare il dibattito politico in una sfera pubblica sempre più “polifonica”.
Sempre più si avverte il riferimento – ascoltando nel profondo anche i bisogni, le richieste che ci vengono dai cittadini – il desiderio di riferimenti sicuri, l’urgenza di recuperare, sia nelle relazioni interpersonali che nella dimensione pubblica, soprattutto nella politica, un metodo e un linguaggio mite, sobrio, autentico, responsabile, rispettoso dello Stato e delle sue Istituzioni, operativo, operoso e non distratto da polemiche.
In questa prospettiva, decisivo potrà essere il contributo dei cattolici che – insieme a quanti, pur muovendo da prospettive diverse anche distanti, condividono le medesime preoccupazioni e nutrono le medesime aspirazioni – possono convergere verso questo fondamentale obiettivo, condizione prioritaria per costruire e uso un’espressione cara ai cristiani, la civitas, la città secolare, quanto più possibile inclusiva, equa, sostenibile, solidale.
Grazie.
Riduci
Intervento
Carlo Fratta Pasini
Presidente Banco BPM
E’ per me un onore ed un piacere porgere a tutti il benvenuto nella sede di rappresentanza del nostro Banco BPM, ed ospitare un incontro così significativo di UCID, qualificato dalla presenza di così alte Autorità. Nei primi decenni della nostra Repubblica un ruolo, non unico ma preponderante, venne assunto dai cristiani impegnati in politica. Essi riuscirono ad assolvere il compito, quasi miracoloso, di ricostruire il paese martoriato dalle vicende belliche, di radicarvi la libertà e la democrazia, di renderlo socialmente più evoluto e più giusto. Alla fine della lunga e grande crisi economica, finanziaria e antropologica iniziata con la vicenda dei sub prime nel 2007 e che … continua
nel nostro paese ha colpito più a lungo e più in profondità che negli altri paesi europei, spettano ai cristiani impegnati nell’economia un compito ed una responsabilità analoghi. Riconsiderare l’impresa come comunità tra le comunità riportando al centro la persona umana; rammentare che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro, non solo e non tanto per una felice intuizione dei suoi costituenti, ma per l’enorme mole di lavoro, vero effettivo, che nel dopoguerra gli uomini delle campagne riversarono nelle città e nelle fabbriche assieme all’aspirazione, tenacemente perseguita e sovente realizzata, a divenire essi stessi da proletari a proprietari e poi da operai a imprenditori; sottolineare come il tessuto delle nostre piccole e medie imprese sia un unicum, nato non dagli “spiriti animali” del grande capitalismo anglosassone, ma proprio dalla voglia di umano riscatto di quei lavoratori, che spesso cresceva in consapevolezza, intorno a parrocchie ed oratori; avvertire che solo usando ed investendo il denaro è possibile evitare di finire da esso posseduti; rimarcare la responsabilità “aumentata” che grava sugli imprenditori e sui dirigenti, e la conseguente urgenza di restituire; non accettare come ineluttabile l’abnorme crescita del divario tra la ricchezza di pochi e l’indigenza di molti, che ormai aumenta e dilaga nella società e anche all’interno delle nostre imprese; non lasciare nel solaio delle nostre lontane giovinezze bandiere, pur oggi scomode e desuete, quali la giustizia sociale; rischiare la lucida follia di evocare la carità , l’agapè greca protagonista di questo vostro incontro, non come qualcosa di “altro” e di “dopo” rispetto all’impresa, ma come un suo possibile connotato. Sono grandi ed affascinanti le sfide per i cristiani nell’impresa, specie in un tempo come questo, dove parole d’ordine globali ed astrattamente apprezzabili, come la “sostenibilità”, vengono rapidamente inflazionate e banalizzate, fino ad essere coniugate in sciocchezze in questi giorni quali quella che ”non si deve rubare il latte alle mucche”, che finiscono solo per dimostrare l’ormai “insostenibile leggerezza della sostenibilità”. Per quanto riguarda il nostro Istituto Bancario, siamo lieti di non esserci attardati a contestare quattro anni or sono la riforma delle popolari, ma di aver raccolto la sfida della trasformazione in S.p.A. per associarla ad una grande fusione bancaria, rimasta un unicum in Italia e in Europa; così come siamo lieti di aver costruito nel tempo e dal basso, con tanto lavoro e tanta fatica, la nostra Banca, risolvendo alcune importanti crisi di altri Istituti Bancari senza mai ricorrere né al denaro dei contribuenti, né a quello dei fondi interbancari; abbiamo “sostenuto senza farci sostenere”: forse anche questo è vera sostenibilità. Per tutto questo le sfide, gli interrogativi ed i pensieri che UCID propone oggi, li sentiamo nostri; possiamo e vogliamo condividerli ed insieme operare. Lo dobbiamo a chi prima di noi ha costruito la Repubblica, ma soprattutto ai nostri figli, ai nostri nipoti ed a quanti, provenendo da altri e meno fortunati luoghi, sceglieranno il nostro Paese, per la vivacità della sua economia, per l’unicità del suo patrimonio naturale e culturale, ma anche per la straordinaria capacità di solidarietà. In una parola: per la bontà della sua gente.
Riduci
Intervento
S. Em.za Rev.ma il Card.
Gualtiero Bassetti
Presidente Conferenza Episcolale Italiana
Siamo alla vigilia dell’iniziativa proposta dal Santo Padre, Economy of Francesco, che coinvolge imprenditori, economisti e innovatori sociali. Ad Assisi, giovani provenienti da tutto il mondo alla fine del mese di marzo avranno un’opportunità unica di confrontarsi e discutere sull’economia, mettendosi in dialogo con papa Francesco. … continua
Non è difficile comprendere quanto sia preziosa questa occasione e quanto sia profetica la scelta del Papa di rivolgersi ai giovani. Già questo fatto ricorda che l’economia ha bisogno di un rinnovamento alla luce del cambiamento d’epoca che stiamo attraversando. Talora rischiamo di pensare che i processi economici siano già scritti in partenza, quasi disegnati a tavolino dai potenti o dalle lobby che sembrano dominare incontrastati il mondo finanziario e quello politico.
In realtà, consegnare il futuro ai giovani è un atto di carità, oltre che un gesto coraggioso. Ci ricorda come l’economia sia esperienza umana, costruita dagli uomini e quindi soggetta a trasformazioni in base alle scelte etiche. E questa è una buona notizia. L’economia non è un masso statico che ci schiaccia, ma il frutto di decisioni condivise nel momento stesso in cui ogni giorno intendiamo fare qualcosa: dal lavoro alla tutela della salute, dalla mobilità al cibo, dagli stili di vita agli acquisti, dagli investimenti finanziari alle vacanze… Ci lasciamo alle spalle un decennio in cui la crisi economica ha penalizzato enormemente le categorie più fragili e ha spinto molti giovani a fare le valigie. In troppi abbandonano il nostro Paese. Questa emorragia di forze giovanili rappresenta una lacerazione nel tessuto sociale dell’Italia.
I dati recenti forniti da Oxfam ci propongono un quadro desolante circa le ingiustizie del pianeta. Alcune di queste logiche le vediamo presenti anche nel nostro contesto perché sono incarnate nel vissuto quotidiano di molte persone e famiglie. Poco più di duemila esseri umani detengono una ricchezza pari al patrimonio di 4,6 miliardi di persone. C’è una forbice che aumenta di anno in anno, aggravando il livello delle disuguaglianze. La situazione italiana è analoga: i dati che risalgono a metà 2019 ci dicono che il 10% più ricco possiede oltre 6 volte la ricchezza globale della metà più povera degli italiani. C’è disparità nella distribuzione dei redditi da lavoro. A essere penalizzate sono soprattutto le famiglie numerose, con minori possibilità economiche e talora più esposte alla dispersione scolastica: fa riflettere che l’abbandono tra i 18 e i 24 anni abbia toccato nel 2018 il 14,5%, in crescita dopo quasi 10 anni di calo.
Di fronte a simili ingiustizie, ecco il grido di papa Francesco secondo cui «questa economia uccide» (EG 53). La dottrina sociale della Chiesa insegna che alle origini delle disparità non ci sono calcoli matematici sbagliati, ma una profonda crisi antropologica. Non riusciamo più a mettere al centro l’uomo con i suoi bisogni e le sue necessità, con i suoi sogni e le sue aspirazioni. Quando si dimentica il valore dell’uomo si finisce per strumentalizzarlo e farlo diventare mezzo per altri interessi come il profitto a tutti i costi. Così scriveva Simone Weil: «Rendendo il denaro movente unico, o quasi, di tutti gli atti, e misura unica, o quasi, di tutte le cose, abbiamo diffuso ovunque il veleno dell’ineguaglianza». Allora ci si scopre spietati e, quasi inavvertitamente, corresponsabili di strutture di peccato che nessuno vuole, ma che tutti manteniamo in piedi attraverso il nostro stile di vita e attraverso le relazioni che costruiamo. Si rischia così di rimanere scandalizzati da quella che papa Francesco chiama «economia senza volto» (EG 55). Si preferisce restare indifferenti e non ci si muove interiormente per fare scelte economiche diverse. La stessa crisi della finanza ha portato a squilibri e ha ridotto l’uomo a “essere di consumo”. In tal modo si dimostra una grave carenza di orientamento antropologico. Dobbiamo riconoscerlo con onestà: è sbagliato pensare che tutti i problemi del mondo, compresa la miseria, si possano risolvere semplicemente con la crescita quantitativa. Il mercato, abbandonato alle sue logiche, non è in grado di promuovere lo sviluppo umano integrale, e soprattutto non è capace di generare inclusione sociale. Rigetta all’interno della società «scarti umani» che non vogliamo neppure vedere.
Quando il denaro governa anziché servire la vita umana, apriamo le porte alle forme più terribili di ingiustizia e di emarginazione. Basti pensare a quello che capita nel mondo del lavoro giovanile: i contratti precari di tre mesi in tre mesi, le forme di assistenzialismo di ritorno, l’obbligo di restituzione sottobanco di parte dello stipendio, il caporalato e lo sfruttamento, la corruzione, il lavoro nero… sono ancora presenti ai nostri giorni nel tessuto sociale. La causa è l’uscita di scena dell’etica dall’economia, che ha così perso l’anima. C’è bisogno di favorire un nuovo matrimonio tra etica ed economia, a beneficio delle famiglie e delle comunità. La separatezza tra economia e società ha portato a elogiare forme di filantropia che, a ben guardare, hanno poco a che vedere con l’etica. Quando si separano i tempi dell’accumulazione della ricchezza da quelli della distribuzione, si finisce per fare gli interessi di pochi a scapito del bene comune. In realtà, mai come in questo momento, è necessario affrontare i problemi della produzione, del trasferimento e della distribuzione della ricchezza con una logica di interdipendenza. Ne deriva un equilibrio tra ragione economica e socialità dell’agire umano. L’etica consente di costruire un ordine sociale più umano. Infatti non interviene solo nel secondo tempo della partita economica, quando si tratta di gestire la ricchezza prodotta, ma gioca titolare anche nel primo tempo, quando si tratta di creare ricchezza. L’etica valorizza le persone. Le fa sentire partecipi di un progetto. Le motiva nel fare bene il proprio lavoro.
Basta qui riprendere la lucida analisi di Benedetto XVI in Caritas in veritate: «ogni decisione economica ha una conseguenza di carattere morale. Tutto questo trova conferma anche nelle scienze sociali e nelle tendenze dell’economia contemporanea. Forse un tempo era pensabile affidare dapprima all’economia la produzione di ricchezza per assegnare poi alla politica il compito di distribuirla. Oggi tutto ciò risulta più difficile, dato che le attività economiche non sono costrette entro limiti territoriali, mentre l’autorità dei governi continua ad essere soprattutto locale. Per questo, i canoni della giustizia devono essere rispettati sin dall’inizio, mentre si svolge il processo economico, e non già dopo o lateralmente. Inoltre, occorre che nel mercato si aprano spazi per attività economiche realizzate da soggetti che liberamente scelgono di informare il proprio agire a principi diversi da quelli del puro profitto, senza per ciò stesso rinunciare a produrre valore economico. Le tante espressioni di economia che traggono origine da iniziative religiose e laicali dimostrano che ciò è concretamente possibile» (CV 37).
Per questo, un modello economico etico è già di per sé una forma di carità. È un bene per tutta la società in quanto servizio per l’essere umano. Sempre Benedetto XVI, in Caritas in veritate 45, rifletteva che «l’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento; non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona». Mettere al centro dell’economia e del sociale la carità permette di evidenziare non solo che la mancanza di fraternità porta a una costruzione economica distorta, ma anche a rivedere l’attuale modello di sviluppo fondato su un errato rapporto con le risorse del creato. C’è sempre il pericolo che l’impresa risponda quasi esclusivamente a chi in essa investe e che finisca così per ridurre la sua valenza sociale. La soluzione è quella prospettata dalla dottrina sociale della Chiesa che invoca, in campo economico, quote di gratuità. Sia il mercato sia la società hanno bisogno di persone aperte al dono reciproco per scrivere nuove pagine di storia. Lo chiede il criterio della giustizia e lo invocano le persone che anelano alla fraternità e alla carità.
L’insegnamento più recente di Papa Francesco, ben tratteggiato in Laudato si’, mostra quanto sia importante riflettere sulle connessioni esistenti tra l’economia e la cultura, tra il sociale e la spiritualità, tra la politica e la solidarietà, tra l’ambiente e la biodiversità. Si tratta di attuare il paradigma dell’ecologia integrale.
Proprio la crisi ambientale che stiamo vivendo in questi anni ha prodotto trasformazioni importanti dell’economia e degli stili di vita nella società. Non siamo ancora a un livello adeguato rispetto all’urgenza dei cambiamenti climatici in corso, ma è bene anche vedere il positivo che si muove nel nostro Paese. Ciò capita grazie al contributo di politici, imprenditori, economisti e lavoratori che hanno raccolto la sfida. Sotto questo punto di vista, l’Italia appare un cantiere aperto con esperienze di economia circolare, prassi virtuose di cittadinanza e investimenti nei settori della cura delle persone e dell’ambiente. In questo senso possiamo affermare che il Paese non è fermo, grazie al coraggio e alla creatività di molte persone. Gli esempi non mancano: si pensi agli imprenditori che attraggono investimenti finanziari per il coraggio con cui hanno innovato in diversi ambiti produttivi. Oppure si guardi all’housing sociale, che affronta insieme il tema abitativo e quello ecologico evitando consumo di suolo. Mostrano una bella capacità generativa le cooperative di comunità che non si rassegnano alla chiusura delle scuole, dei negozi, delle imprese e persino delle canoniche per ripensare le aree interne del Paese. Ci sono giovani imprenditori agricoli che investono nella salvaguardia della biodiversità mediante il recupero di semi antichi, la produzione biologica e la rinuncia a diserbanti chimici inquinanti i terreni. Fanno ben sperare le esperienze di albergo diffuso che stanno nascendo a tutela delle comunità e in favore di un turismo sostenibile. Persino la valorizzazione delle bellezze artistiche e l’attività enogastronomica hanno conosciuto una fiorente crescita economica, a dimostrazione che «di cultura non si muore».
Può aiutarci a riflettere il fatto che, nella tradizione cristiana, le opere di misericordia corporale descritte da Mt 25,31-46 raccontano attività umane di cura che sono anche attività economiche: produrre cibo, gestire la risorsa dell’acqua, costruire abitazioni, tessere vestiti, organizzare il servizio sanitario, amministrare la giustizia. L’evangelista colloca questo brano del giudizio finale subito dopo la parabola dei talenti, quasi a ricordarci che la cura per i fratelli è un modo per far fruttare i doni ricevuti. L’economia fa bene alla società quando sviluppa talenti al servizio dei concreti bisogni umani.
Sono solo alcuni esempi che manifestano una economia che mette al centro le persone nel loro rapporto costitutivo con l’ambiente. Non è un caso che dalla riconciliazione tra ecologia ed economia stiano nascendo nuove figure professionali, nuove competenze, nuove imprese e, dunque, nuovo lavoro. È la realizzazione dell’ecologia integrale, secondo la felice espressione di Papa Francesco.
La Chiesa italiana, dopo la Settimana Sociale di Cagliari (2017) dedicata al tema del lavoro, è in cammino verso la prossima esperienza che si terrà a Taranto dal 4 al 7 febbraio 2021. Siamo invitati a tenere in stretta connessione l’ambiente, il lavoro e le prospettive future delle famiglie italiane. Vogliamo promuovere la transizione ecologica per evitare ciò che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni: la creazione di valore economico attuata a spese della distruzione delle materie prime, l’emissione eccessiva in atmosfera di anidride carbonica e di sostanze inquinanti. È il tempo di realizzare la conversione ecologica, perché gli squilibri che avvertiamo nella dimensione economica producono altri squilibri sociali e antropologici. Vi è al riguardo una responsabilità di ciascuno nel momento in cui acquistiamo i prodotti di alcune imprese a scapito di altre: è necessario tenere conto non solo del prezzo e della qualità, ma anche delle giuste condizioni di lavoro nelle aziende e della tutela dell’ambiente.
L’occasione del 73° anno di fondazione dell’UCID nazionale mi è gradita per invitare tutta l’associazione a dare il proprio contributo nel percorso verso la Settimana Sociale: avvertiamo l’urgenza di gruppi e associazioni che mettano in gioco la creatività e l’intelligenza di molti aderenti per dare vita a un’economia giusta, dove le persone trovino spazio e riconoscimento. Ecco perché economia e sociale rappresentano una raffinata forma di carità. Riduci
Intervento
Riccardo Ghidella
Presidente UCID Nazionale
2017-2020
Permettetemi salutare le autorità che ci onorano con la loro partecipazione ed in particolare: Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il Professor Avvocato Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio dei Ministri, la Prof.ssa Elena Bonetti, Ministra per le Pari opportunità e la Famiglia … continua
, l’ Avvocato Virginia Raggi, Sindaca di Roma, l’ Avvocato Gerarda Pantalone, Prefetto di Roma, e con essi, tutte le Autorità ecclesiastiche e militari qui convenute. Grazie per la vostra presenza e condivisione.
Oggi, qui a Palazzo Altieri, presso il Banco BPM che profondamente ringraziamo per la preziosa ospitalità, con Gianluca abbiamo scelto di celebrare il 73emo anniversario dalla fondazione UCID Nazionale con un momento di riflessione su ‘Economia ed il sociale come forma di carità’. Tema che richiama l’attualità della missione UCID nel Paese ed in Europa, rispetto alla visione profetica dei nostri ispiratori Cardinali Siri e Shuster nel 1947. Siamo nati per offrire risposte socialmente sensibili in una Italia che viveva profondi scontri fra le parti sociali. Ebbene, ancor di più oggi, le sfide che siamo chiamati a vincere di fronte alla crisi ed alla paura, di fatto un nuovo dopoguerra, richiedono imprenditori, manager e professionisti che vivono la dimensione del loro impegno con responsabilità e coraggiosa priorità verso la centralità della persona ed il proprio territorio. E che comportano, in vero, scelte prima di tutto personali. Per questo UCID associa le persone e non le aziende. Scelte in primis spirituali e di testimonianza, poi culturali e formative e non di meno di posizionamento e di indirizzo. UCID desidera essere, nel mondo dell’impresa, quell’uragano di uomini e donne e soprattutto di giovani con la ‘schiena dritta’. Persone che non solo cercano nuove forme di economia basate sulla condivisione, come ci chiede la Caritas in veritate, ma che affermano l’ impresa come ‘nobile vocazione’, come indica Papa Francesco, nelle sue mille sfaccettature di gestione e di impatti. Noi crediamo nella impresa generativa che, direttamente o tramite le proprie categorie, investe in innovazione ed occupazione, nell’impresa sussidiaria che opera nel welfare, per la formazione e per il supporto alle famiglie del territorio, nell’impresa responsabile che opera nella sostenibilità e nella cultura. L’ ‘homo oeconomicus’ per noi è perdente in questo millennio, perchè limitato dalla sua razionalità ed in fondo da quel relativismo integrale che la Laudato Sii giustamente evidenzia come il grande male di oggi. Vivere la fede nell’impresa significa invece ‘schierarsi’ e svolgere anche nel sociale al meglio e con gratuità il nostro dovere, al di là del nostro ego; questo è per noi agire nell’ economia ‘con carità’. Con i nostri uomini e donne UCID siamo pronti a confrontarci in ogni territorio, con idee e progetti a servizio del Paese.
In fondo la sfida UCID, e concludo, è nulla di diverso dalla testimonianza lasciata da un Santo straordinario, patrono degli avvocati e dei politici e aggiungerei di ciascuno di noi, impegnato nel sociale. Un professionista affermato, un uomo dell’estabilshment, un leader politico e di governo… nato proprio negli stessi giorni di Febbraio della fondazione UCID ma circa 500 anni prima, Sir Thomas More, per noi più intimamente San Tommaso Moro; schiena dritta, che di fronte alla scelta fra la conservazione del potere ed il martirio ha scelto la coerenza, pagando con la propria vita : ‘Rimango servitore fedele del Re, ma prima di tutto di Dio’. Questo orizzonte in fondo lo viviamo tutti i giorni nella nostra azienda, in studio, in tribunale, in giunta.
Ma queste, se le giochiamo, sono le sfide che danno speranza ai nostri giovani e che li convincono a farsi coinvolgere nell’impegno. Perchè cambiare se stessi fa cambiare quanto sta intorno ed è dalla testimonianza che emerge il leader. Per UCID questa è la battaglia da fare per il nostro Paese e, tramite UNIPAC, per l’Europa; siamo qui tutti, con Voi, amici ed autorità, in questo giorno di festa, pronti a vincerla insieme! E sono convinto che, prima con me (ma io sarò sempre con Voi ) e da oggi con Gianluca e con l’aiuto di Dio, ci riusciremo ! Grazie a tutti! Riduci
Intervento
Virginia Raggi
Sindaco di Roma
Un’azione, la vostra, che è cresciuta nel tempo, sia per numeri degli associati e realtà territoriali, sia per la qualità della proposta. Svolgete questo ruolo fin dal dopoguerra, con i primi gruppi associativi, in un contesto di ricostruzione e di rinascita per il Paese. Questi temi sono ancora attuali, in una dimensione più ampia, globalizzata, che esige risposte nuove in scenari più complessi. Le città, il Paese – e oggi più che mai l’Europa – sono la dimensione con cui tutti noi, amministratori e imprenditori, dobbiamo misurarci, cercando soluzioni coordinate. Solidarietà e coesione sono la bussola per dare forza e futuro alle nostre comunità, alle nostre città. Nel messaggio che il Santo Padre ha voluto inviarci in occasione dell’avvio delle celebrazioni per i 150 anni della Capitale d’Italia, c’è un passaggio che mi sta a cuore: “La città deve essere la casa di tutti”. Vorrei ripartire da queste parole, per ribadire che le nostre comunità, per crescere, hanno bisogno di una profonda alleanza costruttiva che tenga insieme tutte le forze economiche, sociali e produttive. Serve una collaborazione che deve convergere verso il ruolo centrale della persona.
Grazie a tutti Riduci
Rassegna Stampa
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