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Il concetto di welfare è importante in ogni luogo, ma soprattutto in una regione come la nostra, che fa i conti (come si diceva già prima) che si trova in una situazione di crisi oramai decennale, che ha prodotto situazioni critiche, dalle quali facciamo fatica ad emanciparci.
Fare uno sforzo di ricomposizione delle diverse visioni dei corpi sociali ed economici, è appunto uno sforzo che riguarda tutti nella nostra regione e noi speriamo di coinvolgere a breve in questo sforzo anche le istituzioni, che hanno bisogno di lavorare per favorire queste ricomposizioni. Alla luce di ciò, voglio ringraziare chi ha organizzato questo convegno per aver coinvolto anche la parte sindacale.
Mi ritrovo in molte delle sottolineature, fatte dal Dott.Di Martino. Vi anticipo però una conclusione di tono leggermente più ottimistico. Anche il welfare aziendale, come tutto ciò che riguarda il mondo del lavoro, rappresenta una costruzione umana assolutamente perfettibile, dove la qualità del livello di interlocuzione dipende dalle propensioni all’ascolto reciproco, al dialogo, alla volontà di composizione che ci caratterizzano come persone. Venendo a mancare quelle, non solo le tematiche del welfare aziendale, ma tante delle tematiche, che vanno affrontate all’interno dei luoghi di lavoro e nei territori, trovano più difficile composizione e si possono delineare le derive, rispetto all’attuazione di percorsi ottimali, che ci sottolineava correttamente il Dott.Di Martino in conclusione del suo intervento e che potrebbero caratterizzare in negativo anche l’evoluzione di un istituto, come quello del welfare aziendale.
Ho ripreso il concetto di welfare aziendale che, come ha pure sottolineato il Dott.Di Martino, rappresenta il benessere personale, lavorativo e familiare dei dipendenti; però io mi soffermo solo sul secondo tratto. (slide n°2) L’aspetto di positività, che ci può essere nel servirsi delle politiche di welfare aziendale come strumento di incremento del benessere, esiste solo se i servizi e i dispositivi in house danno risposte reali ai bisogni dei lavoratori e delle lavoratrici. Perché, qualora (come vedremo) venissero imposti modelli che non configurano il bisogno reale, le distorsioni, a cui faceva riferimento il Dott.Di Martino, sono sempre pericolosamente in agguato. Se invece partiamo dai bisogni reali delle lavoratrici e dei lavoratori, nell’interesse delle aziende, vediamo che questi rischi vengono notevolmente ridotti.
Nel welfare aziendale 2018 noi abbiamo già delle sfere che si compongono, perché noi abbiamo degli istituti, che provengono da ciò che si discute e che hanno riflessi in azienda a livello nazionale. (slide n°3) Ad esempio, i fondi integrativi previdenziali e di salute, nascono su scala nazionale e perciò attengono all’evoluzione della contrattazione, che da tempo si interroga su come abbinare all’aggiornamento del trattamento retributivo classico, anche altre forme, che aiutano a comporre la retribuzione complessiva di lavoratrici e lavoratori. Però, come già sottolineato, c’è un welfare d’impresa che attiene ad alcuni aspetti diversi. Si diceva prima dell’effetto “banca del tempo”, che è stato citato dal Dott.Di Martino in forma virtuosa (cfr. il caso della grande azienda di Milano) e che ci dice che si può lavorare sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, che caratterizza tante esigenze legate alle famiglie. Questo rappresenta il miglioramento delle condizioni, previsto dal CCNL. Infatti, se lavoro sui permessi, se lavoro sui congedi, se regolo diversamente il trattamento di malattia, vado in quella direzione. Però ci sono tanti aspetti (già esemplificati dal Dott.Di Martino nel suo intervento; quali: mense, asili, caratterizzazione del tempo libero, sostegno alle spese scolastiche), sui quali mi permetterò di riproporvi solo qual è lo schema, che si traduce ad oggi per gli elementi di conoscenza che ha una realtà come la CISL marchigiana nella nostra regione.
La slide n°4 raccoglie velocemente i concetti, di cui abbiamo parlato prima: erogazioni monetarie, servizi e tempo. Mi sono voluto soffermare su questi aspetti perché, come diceva l’intervento precedente, da tre anni a questa parte il sostegno legislativo si è orientato in questa direzione. In realtà, per lo meno in casa sindacale, noi abbiamo visto quest’azione anticipata di qualche anno, anche se quasi esclusivamente legata all’erogazione monetaria. La prima legge di sostegno alla contrattazione aziendale (e in parte territoriale) è del 2007 e interveniva solo come agevolazioni fiscali, inerenti ai premi di produttività, che poi sono stati convertiti in premi di redditività. Dieci anni fa, cioè, si interveniva solo sui …soldi. Negli anni, l’evoluzione c’è stata, nei termini che ricordava prima il Dott.Di Martino, molto più marcatamente sui servizi e il tempo.
Vorrei sottolineare anche che (e come sindacato siamo attivi da tempo in questo senso) i primi interventi erano tali da sostenere, agevolare, quelle misure, che i singoli imprenditori adottavano, scegliendole in libertà; cioè, sotto la forma della volontarietà. La singola imprenditrice, il singolo imprenditore cercavano di intervenire liberamente, cercando però di acquisire qualche forma di vantaggio fiscale. Nel tempo (come ha anche sottolineato il relatore precedente) le agevolazioni fiscali diventano più marcate, se sono frutto della contrattazione, cioè di una valutazione di tipo collettivo. Anche questa valutazione va fatta in maniera puntuale, perché non tutto quello che è collettivo è necessariamente virtuoso. Lo è solo se ispirato da concetti corretti, che portano a tramutare i 7 minuti individualmente intesi (di cui alla grande azienda di Milano, citata sopra) in patrimonio, che metto a disposizione della collettività, al fine di trovare una misura, che risponda alle esigenze della collettività aziendale. Se non ci fosse questo nesso, la norma legislativa rimarrebbe sostanzialmente vuota, perché non si avrebbe all’interno dell’azienda lo spirito giusto per servirsi di uno strumento che avvantaggerebbe tutti, quando rispondesse ai bisogni di natura collettiva. Vedete, le leggi sono di sostegno; non definiscono mai i processi in forma perentoria.
In maniera positiva, per come permette di valutare la legge, ci sono anche le soglie di accesso e i limiti di erogazione e, nella slide n°5, vengono correttamente richiamati le due norme più recenti (le due precedenti Leggi Finanziarie), che sono intervenute, sia per ampliare la platea di lavoratrici e lavoratori beneficiari degli interventi (perché si sono elevati i limiti di reddito, al di sotto dei quali si può beneficiare degli interventi), sia ad elevare la misura degli interventi stessi. Per cui, laddove le aziende sono in condizione di prendere in considerazione l’orientamento delle risorse, il campo è stato ampliato. Pertanto, ciò rende più facile ed efficace l’avvio di processi.
Non ci soffermiamo molto sulle slide n°6. Sono le cornici che, come anche diceva il Dott.Di Martino, hanno visto la creazione del welfare aziendale, come lo stiamo intendendo oggi. L’unica differenza è che, in casa sindacale, privilegiamo l’ipotesi di costruzione di questo sistema, a partire dalla L.247/2007, perché è intervenuta sulla detassazione dei premi di risultato aziendali, che comunque noi ancora consideriamo una forma di welfare aziendale. Più marcatamente, a partire dal 2015 (come è già stato ampiamente descritto) ci sono stati svariati interventi, che hanno costituito un’ampia base, sulla quale lavorare.
Utilizzo la slide n°7 per tratteggiare velocemente un quadro, che è stato in gran parte definito dall’intervento precedente. Chi parla è il rappresentante di uno dei due filoni di chi si può esprimere, quando parliamo di carenze di questo genere. Il sindacato, e la CISL in particolare, appartiene a quel filone di pensiero, che sostiene che non si può parlare di welfare come esito esclusivo del profitto; ma certamente riteniamo che il profitto sia agevolato dai meccanismi, che siamo riusciti ad innescare all’interno della realtà aziendale con percorsi di welfare. In questo contesto, sia come imprenditori, che come rappresentanti delle lavoratrici e dei lavoratori partiamo da basi comuni. In coda mi permetterò comunque di definire a cosa attingiamo noi del sindacato per orientare la discussione all’interno delle aziende e al di fuori da esse. Lo dirò perché, soprattutto nelle Marche, come pure diceva il Dott.Di Martino, abbiamo bisogno di pensare a delle politiche di welfare aziendale, mai richiudendosi all’interno dell’azienda stessa, ma vedendo l’impresa come parte integrante della comunità locale. Altrimenti, si rischia di generare dei processi negativi, dei quali ha ampiamente parlato il precedente relatore. Più riesco a integrare la contrattazione aziendale con quella collettiva, maggiormente riesco a lavorare per il welfare aziendale, interagendo però con i territori, nei quali queste aziende operano. C’è proprio un discorso, che riguarda qualcosa che sta avvenendo in queste settimane; e cioè, il recente accordo che le parti sindacali hanno stilato con Confindustria e che stiamo lavorando per estendere anche alle altre rappresentanze territoriali, prevede di lavorare sul margine che si sta aprendo fra il TEM (Trattamento Economico Minimo; i vecchi minimi tabellari) e il TEC (Trattamento Economico Complessivo), che tiene conto delle risorse, che vanno al di sopra dei minimi, per tenere conto del benessere dei lavoratori e aziendale e che spingono a orientare la riflessione su tale benessere. La discussione, che speriamo si animerà nei prossimi mesi anche come sfida per il recupero di competitività di un sistema, come quello italiano, che ha bisogno di ragionare per ottenere ciò, al fine di reggere le pressioni, che derivano dalla competitività internazionale. Tale discussione attiene molto ai margini che ci si darà fra TEM e TEC. Perché, se il TEC lo teniamo troppo alto, spiazziamo di molto le imprese, rispetto alla competizione internazionale. Se invece lo teniamo troppo basso, non reagiremo agli stimoli, che ci dà tale competizione internazionale, per costruire un sistema (anche nelle Marche) basato sulla qualità del lavoro, non sulla bassa remunerazione. Ci si interroga spesso su questo, pensando di poter essere competitivi semplicemente abbassando le remunerazioni. Nelle Marche, ma anche in Italia, questo fenomeno è purtroppo in atto. Invece no; ed è una sfida per gli imprenditori, ma anche per le lavoratrici e i lavoratori. Le parti debbono orientarsi per capire come condividere dei percorsi che portano a ragionare secondo questo schema e costruire una competitività, basata sulla qualità del lavoro e, ovviamente, sulla qualità dei prodotti e dei processi. Nelle Marche però abbiamo delle criticità, perché il nostro sistema di piccole e piccolissime imprese non sempre riesce ad avere delle dimensioni, che permettano di sviluppare dei piani di welfare. Manca quindi la cosiddetta massa critica. Il Dott.Di Martino faceva prima l’esempio dell’asilo nido; ma pensiamo anche all’esempio classico della mensa. Come sappiamo, creare la mensa interna permette di ottimizzare tanto i tempi di lavoro. Nelle nostre piccolissime e piccole imprese è difficile …inventare qualcosa del genere. L’idea del voucher permette però di dare sostegno anche a queste piccole realtà per quanto ai suddetti strumenti di welfare: mensa, asilo nido, ecc. Il voucher può essere speso dalla lavoratrice o dal lavoratore in un contesto, nel quale si ottimizzano i servizi; ad esempio, le mense o gli asili nido interaziendali. Di solito parliamo di tessuti, formati da diverse imprese. Le logiche sovraziendali consentono alle imprese di pensare di mettere in comune certi servizi e dare qualità complessiva. Questa è una sfida importante da giocare, perché non è naturale; bensì si tratta di una logica, che supera la contrattazione aziendale e diventa patrimonio del territorio. Diventa elemento, su cui le istituzioni dovrebbero lavorare. Qui abbiamo il Presidente della locale CCIAA, che può contribuire non poco in questo senso (come in parte sappiamo benissimo che fa per molte altre cose) e aiutare ad innescare alcuni processi virtuosi in questa direzione, intesi nella logica di sostegno a imprenditrici e imprenditori, invitandoli sicuramente a concentrarsi sulle loro aziende (che è la logica di base dei processi imprenditoriali), ma anche a superare tali logiche meramente aziendali e a contribuire a dare qualità ai sistemi territoriali. Questo è un “gioco” da sviluppare insieme, nella logica della composizione degli interessi e non in quella del contrasto fra le varie posizioni. Ecco perché come sindacati siamo convinti che vada sviluppata la contrattazione territoriale, oltre che qualificare, quando è possibile, quella aziendale. Noi abbiamo delle esperienze molto significative nel settore dell’edilizia, dell’agricoltura, in quello dei servizi e nell’artigianato, dove ci sono una serie di attività, che possono essere portate a riferimento delle imprese, nei momenti in cui hanno delle contrazioni significative di ordini, per sostenere la loro attività; ma anche delle lavoratrici e dei lavoratori, nelle classiche accezioni di sostegno da welfare (buoni libri, percorsi di sostegno degli studi dei figli, interventi mirati al sostegno per i problemi di salute), esperienze che hanno portato a creare tale sostegno, quando le imprese sono riuscite a inserirsi in una visione territoriale. Per quanto riguarda l’artigianato, su scala regionale e, per quanto riguarda edilizia, agricoltura e servizi, su scala territoriale. Quindi, ecco che ribadiamo come sia molto importante guardare fuori dell’impresa, quando si sviluppano progetti di welfare, soprattutto quando le dimensioni sono molto limitate. C’è poi un ruolo, sul quale non ci soffermeremo più di tanto, che è quello dei “provider”, che sono coloro che propongono pacchetti di welfare aziendale. Anche in questo caso, c’è il buono e il meno buono e bisogna che, in forma combinata, chi rappresenta le imprese e chi invece i lavoratori, formino un’alleanza per mettere fuori mercato i “provider” speculativi e alimentino un percorso virtuoso con quelli, che al contrario sono da aiutare. Questi ultimi sono quelli che vanno presso l’azienda e fanno una ricognizione dei bisogni reali dei lavoratori con gli stessi lavoratori e con l’impresa. Siccome tutto ciò richiede tempo e comporta costi, bisogna lavorare, come diceva il precedente relatore, per investire bene. Invece ci sono ancora tante formule standard che, alla fine, non accontentano le lavoratrici e i lavoratori e non danno alcuno scatto al benessere d’impresa, che è alla base di una formula di questo genere. Ecco quindi che, nel tempo, un lavoro comune fra le lavoratrici e i lavoratori (ovviamente, chi li rappresenta) e l’impresa permette di emarginare chi invece fa del welfare aziendale un nuovo campo di possibile speculazione.
Passando velocemente alla slide n°8 e seguenti, vediamo cosa sta succedendo nelle Marche. Questo è il punto di osservazione di noi della CISL e partono dai contratti, che ci hanno visti protagonisti. Ovviamente i dati non sono esaustivi, perché parliamo delle imprese un po’ più grandi (non delle piccolissime), che fanno questo tipo di contrattazione. Ne esistono centinaia e centinaia, che fanno interventi, legati alla volontarietà delle scelte aziendali, che non sono frutto della contrattazione. Come si vede, escludendo il dato del 2018, che non può essere ancora significativo, questi dati rappresentano gli accordi siglati, che includono il welfare d’impresa. Va considerato che, a questi accordi, va aggiunto circa un 15% delle realtà, nelle quali la CISL non è presente. Mentre il 90% degli accordi, i cui dati sono rappresentati dalla slide, vedono presenti più sigle sindacali. Come vedete, però, dopo l’ingresso dei sostegni legislativi, paradossalmente si discute meno di welfare all’interno degli accordi aziendali. Questo è un punto interrogativo che ci stiamo ponendo con molta attenzione, perché sembra proprio paradossale. Questa diminuzione è avvenuta, perché ci sono sempre più aziende, che hanno deciso di affidarsi ai “provider”. Almeno sulla carta, tali “provider” sembrerebbero rendere più vantaggioso un approccio con loro.
Dalla slide n°9 si evince che, nelle Marche, siamo in una fase non particolarmente evoluta del welfare aziendale. In larga parte vengono utilizzati ancora istituti, che da tempo esistono: congedi per la maternità e paternità, oltre a quelli parentali in senso lato.
Dalla slide n°10 si evince che, per i servizi, non siamo ancora in una fase…originalissima. Anche se si stanno imponendo alcuni aspetti, legati a servizi più strutturati, per il 63% dei casi parliamo di quelli per le mense; cioè del bisogno di ottimizzazione dei tempi di stacco dalla realtà aziendale al momento della consumazione dei pasti. Ciò è indicativo del fatto che c’è ancora una lunga discussione da fare per poter sviluppare i servizi, che vanno verso una vera e propria indicazione di benessere. Siamo ancora per lo più nell’ottimizzazione dei tempi di vita e di lavoro.
In chiusura, la slide n°11 ci indica che c’è una sfida che, da tempo, abbiamo lanciato ai nostri interlocutori e che vede sicuramente nell’UCID un interlocutore, appunto, molto attento nella valutazione di un percorso, che (com’è stato detto) deve essere ben strutturato e che è quello che, in Italia, deve rivedere la concezione d’impresa da luogo, dove operano vari fattori produttivi, fra cui il lavoro, a luogo dove le persone lavorano. Se io, come diceva anche il Dott.Di Martino prima, penso di usare il welfare aziendale per sfruttare il lavoro, vuol dire che non ho configurato l’ipotesi di fare i conti con le persone. Qualcuno può ancora pensare che il lavoro è un mero fattore produttivo che, se compresso, permette di creare più ampi margini di profitto. Poi, se sono filantropicamente orientato, quel profitto lo metto a disposizione della comunità, aziendale e territoriale; altrimenti, me lo tengo. Consideriamo comunque che, la varietà dei comportamenti, è molto ampia sotto questo profilo.
In altri casi, al contrario l’impresa è pensata come una comunità di persone, ovviamente con specifiche modalità organizzative per poter funzionare al meglio (la piccola impresa non può essere organizzata come la grande, naturalmente), comunità che ha diversi gradi di responsabilità. Ogni contratto, infatti, presuppone diritti, ma anche doveri. Non esiste una logica aziendale, capace di rispondere alle sfide vere, se non è strutturata secondo una logica di diritti e doveri, reciprocamente intesi. Se infatti, al fine di aumentare il profitto, comprimo semplicemente i diritti, non riesco a sviluppare la suddetta logica d’impresa come comunità di persone. Al contrario, però, se noi pensassimo di basare la realtà d’impresa solo sui diritti, dopo un po’ tale azienda, diventa realtà asfittica, perché non capisco quali sono i termini, che mi portano a una configurazione ottimale per ottenere il risultato. Questo si riferisce anche a un passo dell’enciclica “Caritas in veritate”, che recita che bisogna provare a portare avanti la sfida della consustanzialità fra efficienza e solidarietà; non pensare solo a produrre e a distribuire, come si diceva prima. Ogni contesto permette di unire efficienza e solidarietà perché, nel momento in cui condividi l’obiettivo, fai efficienza, ma solidarizzi pure, poiché valuti tutti gli interventi nelle cinque sfere, alle quali faceva riferimento il Dott.Di Martino (Osservatorio Permanente della Commissione Europea), che presuppongono anche il benessere (perché no?!) spirituale delle persone.
Questa è una sfida importante, ma va giocata, perché si collega anche con un’idea di sviluppo, che andiamo a qualificare per le imprese e i territori. Se infatti riusciamo a rendere coincidenti le esigenze di efficienza e solidarietà, partecipiamo meglio alla sfida, che ha lanciato Papa Francesco con la “Laudato sì!”, quando ci invita a ragionare su una concezione di sviluppo, che non si basi solo sulla sfera economica, ma che venga concepito come sviluppo, appunto, sostenibile sul piano sociale ed ambientale. Non si concorre a tale modello di sviluppo sostenibile se, all’interno delle imprese, non si costruiscono percorsi, basati su efficienza e solidarietà e, conseguentemente, se le aziende non si impegnano a rendere questa sfida, giocabile nei territori. Si tratta di una sfida complicata, ma riteniamo con fiducia, che sia giocabile con sacrificio e convinzione. Riteniamo comunque che ciò si possa fare.