Sono sette anni che la Banca Centrale Europea usa tutti i mezzi per sconfiggere la deflazione.
E poi ci siamo finalmente accorti che esiste anche l’inflazione. E’ un’inflazione che arriva da fuori, complice anche la ripresa dell’economia mondiale del 2021 che ha messo a dura prova le forniture internazionali e le catene del valore.
Si tratta fondamentalmente di un’inflazione da costi, connessa al forte rincaro delle materie prime energetiche.
Si discute sulla natura transitoria o meno di questa inflazione, con conseguenti differenti intonazioni delle politiche monetarie, soprattutto da parte della Banca Centrale Europea e della Federal Reserve americana.
La Federal Reserve ha già annunciato tre successivi rialzi dei tassi ufficiali di interesse, per un totale di 0,75 punti percentuali, dopo l’azzeramento degli acquisti netti di titoli sul mercato per la fine di marzo. La Banca Centrale Europea è invece attendista, ritenendo che il ritmo inflazionistico sia destinato a rientrare entro un periodo di tempo abbastanza breve.
E’ utile ricordare che le due banche centrali partono da basi differenti: la Banca Centrale Europea da tassi di interesse nulli o negativi e la Federal Reserve da tassi che sono sempre rimasti in area positiva.
Attualmente l’inflazione al consumo negli Stati Uniti d’America viaggia ad un ritmo del 7% annuo, contro circa il 5% dell’Unione Europea, ma forse quest’ultimo dato è sottostimato. Sulla base di tali valori, il tasso di interesse reale americano presenta un valore negativo di circa il 6%, contro il 5% di quello europeo.
La posizione attendista della Banca Centrale Europea solleva alcuni dubbi che si ritiene utile qui riassumere.
L’abbondante liquidità creata, con la famosa politica monetaria “non convenzionale”, si è diretta non verso il settore reale dell’economia ma verso il settore finanziario, con gravi pericoli di “bolle speculative”.
C’è poi la questione dei tassi di interesse reali negativi che possono creare problemi al tasso di accumulazione e sviluppo dei sistemi economici. Inoltre, il risparmio viene penalizzato a causa dell’iniqua tassa da inflazione, con effetti particolarmente negativi per il nostro Paese che ha un’alta propensione al risparmio. Ma non va dimenticato anche il differenziale di interesse reale a favore dell’euro che potrebbe fare apprezzare la moneta unica rispetto al dollaro, con effetti negativi sulle esportazioni europee.
Connesso al tasso di inflazione, vanno considerati anche gli effetti sui salari reali che nel nostro Paese hanno mostrato una dinamica negativa negli ultimi 10 anni, assieme alla Spagna, al Portogallo e alla Grecia. Nello stesso periodo, i salari reali sono saliti a tassi molto significativi soprattutto in Germania, ma anche in Francia.
Altri effetti collaterali negativi di tassi di interesse nulli o con segno meno, hanno riguardano l’intermediazione bancaria con un restringimento forte del margine di interesse e una spinta a creare redditività attraverso la vendita di servizi e cioè il margine di intermediazione. Il rapporto tra impieghi bancari e titoli si è spostato decisamente a favore dei secondi, trasformando il sistema bancario nella “longa manus” della Banca Centrale Europea, rafforzata dalla vigilanza unica.
L’intermediazione tende inoltre a spostarsi al di fuori del perimetro delle banche europee soggette a vigilanza, con operatori esterni non bancari che praticano tassi di interesse tra il 7 e il 10%. Si tratta naturalmente non solo di un trasferimento di profitti, ma anche di rischi, con problemi per la stabilità del sistema.
La Federal Reserve americana, come già accennato, non ha invece mai voluto spingersi nell’area negativa dei tassi di interesse, favorendo l’intermediazione bancaria attraverso gli impieghi e il margine di interesse e quindi a sostegno del tasso di accumulazione e sviluppo del sistema economico.
Giovanni Scanagatta