Si discute molto sulla configurazione che potrà avere il sistema monetario internazionale alla luce delle criptovalute che già ora vengono accettate come mezzo di pagamento.
Naturalmente, a fronte di questa tendenza, le banche centrali frenano e mettono in evidenza i gravi rischi delle criptovalte, a cominciare dalla grande variabilità del loro valore. Senza parlare della politica monetaria che cesserebbe di essere loro monopolio e senza considerare il fatto che anche le banche centrali potrebbero adottare una loro criptovaluta.
Per inquadrare il problema, è opportuno fare un breve excursusstorico sul monopolio delle banche centrale nella creazione e nella gestione della moneta. Nel 1800 esistevano più banche di emissione e vigeva quindi un sistema di tipo concorrenziale. Successivamente si unificarono le banche e gli istituti di emissione dando origine al monopolio pubblico della creazione di moneta e della gestione della politica monetaria. Negli ultimi anni, con la comparsa delle criptovalute, si torna a privatizzare la moneta con la sua smaterializzazione e gestione basata sui grandi sistemi digitali. Viene eroso il monopolio delle banche centrali, ma è presto ancora per dire quale sarà la nuova configurazione del sistema monetario mondiale, Come afferma Saccomani nel suo ultimo libro, il nuovo mondo non lo vedremo noi ma i nostri nipoti.
Nello scenario che abbiamo davanti, non dobbiamo trascurare il ruolo che potrà avere l’oro, tenuto conto che le banche centrali hanno nei loro forzieri notevoli quantità del prezioso metallo. Esse spiegano una parte importante della domanda di oro, assieme alla domanda per scopi finanziari, per scopi di gioielleria e per usi industriali. A questo proposito, è interessante ricordare che la Banca d’Italia è la quarta a livello mondiale per detentrice di riserve auree.
Rispetto alle criptovalute, l’oro presenta il vantaggio di una minore variabilità. Dalla dichiarazione di inconvertibilità del dollaro in oro del 1971 ad oggi, il prezzo in dollari dell’oro è cresciuto di oltre l’8% medio annuo. Una percentuale quindi significativamente superiore al tasso medio di inflazione americana.
Il tallone aureo potrebbe essere pertanto la base comune di partenza riconosciuta da tutti i Paesi del mondo per un nuovo ordine monetario internazionale. Si tratterebbe di un riferimento neutro ed accettabile da tutti, con un livellamento del terreno di gioco. Successivamente si potrà pensare ad un diverso ordine monetario internazionale su basi completamente nuove.
Facciamo pertanto il seguente esercizio riferito al dollaro e all’euro. L’obiettivo è quello di dare una base aurea a queste due monete. Prendiamo a riferimento il prezzo attuale dell’oro che si colloca intorno a 1.850 dollari per oncia, che corrisponde al contenuto aureo del dollaro in 0,01681 grammi. Il contenuto aureo dell’euro è invece di 0,01849 grammi. Il rapporto tra i due contenuti aurei fornisce naturalmente il cambio attuale del dollaro rispetto all’euro, pari a 1,10.
Naturalmente tutte le banche centrali aderenti dovrebbero sottoscrivere questi accordi, cioè una specie di nuova Bretton Woods, dichiarando la parità della loro moneta con l’oro e impegnandosi a mantenerla fissa in modo irrevocabile. Si tratta quindi di un gold exchange standard allargato e non solo riservato al dollaro come è avvenuto con i primi accordi di Bretton Woods del 1944. Il signoraggio sarebbe privilegio non solo di un Paese egemone come è avvenuto in passato, ma di tutti i Paesi aderenti.
Il nuovo sistema avrebbe il grande vantaggio di introdurre una disciplina comune nel governo della moneta, essendo tutti agganciati all’oro. La moneta cesserebbe di essere gestita in modo discrezionale e costituirebbe un grande presidio per la salvaguardia del suo potere d’acquisto . Si realizzerebbe quello che sostenevano grandi economisti della scuola austriaca come von Mises e von Hayek. Ecco le parole di Hayek che si leggono nella sua monografia La denazionalizzazione della moneta, ora disponibile in italiano presso Rubbettino Editore. “Da quando la propaganda keynesiana è penetrata nelle masse, rendendo rispettabile l’inflazione e dando agli agitatori argomenti che i politici di professione non possono rifiutare, temo che l’unica via per evitare di essere spinti dalla continua inflazione verso un’economia controllata e diretta, e per salvare quindi la stessa civiltà, sia quello di spogliare i governi del loro potere sull’offerta di moneta… C’è perciò un immenso compito didattico da svolgere” (La denazionalizzazione della moneta, pp. 204-206).
Questo pensiero dei grandi economisti austriaci è stato portato avanti negli anni successivi, con notevoli contributi di analisi, da economisti come Milton Friedman e Karl Brunner proponendo precise regole nella gestione dell’offerta di moneta che doveva crescere a tassi prestabiliti o entro determinati intervalli (monetarismo fiscale di Brunner).
Giovanni Scanagatta