“Abbiamo scoperto che esiste anche l’inflazione” a cura di Giovanni Scanagatta

Sono sette anni che la Banca Centrale Europea usa tutti i mezzi per sconfiggere la deflazione.
 
E poi ci siamo finalmente accorti che esiste anche l’inflazione. E’ un’inflazione che arriva da fuori, complice anche la ripresa dell’economia mondiale del 2021 che ha messo a dura prova le forniture internazionali e le catene del valore.
 
Si tratta fondamentalmente di un’inflazione da costi, connessa al forte rincaro delle materie prime energetiche.
 
Si discute sulla natura transitoria o meno di questa inflazione, con conseguenti differenti intonazioni delle politiche monetarie, soprattutto da parte della Banca Centrale Europea e della Federal Reserve americana.
 
La Federal Reserve ha già annunciato tre successivi rialzi dei tassi ufficiali di interesse, per un totale di 0,75 punti percentuali, dopo l’azzeramento degli acquisti netti di titoli sul mercato per la fine di marzo. La Banca Centrale Europea è invece attendista, ritenendo che il ritmo inflazionistico sia destinato a rientrare entro un periodo di tempo abbastanza breve.
 
E’ utile ricordare che le due banche centrali partono da basi differenti: la Banca Centrale Europea da tassi di interesse nulli o negativi e la Federal Reserve da tassi che sono sempre rimasti in area positiva.
 
Attualmente l’inflazione al consumo negli Stati Uniti d’America viaggia ad un ritmo del 7% annuo, contro circa il 5% dell’Unione Europea, ma forse quest’ultimo dato è sottostimato. Sulla base di tali valori, il tasso di interesse reale americano presenta un valore negativo di circa il 6%, contro il 5% di quello europeo.
 
La posizione attendista della Banca Centrale Europea solleva alcuni dubbi che si ritiene utile qui riassumere.
 
L’abbondante liquidità creata, con la famosa politica monetaria “non convenzionale”, si è diretta non verso il settore reale dell’economia ma verso il settore finanziario, con gravi pericoli di “bolle speculative”.
 
C’è poi la questione dei tassi di interesse reali negativi che possono creare problemi al tasso di accumulazione e sviluppo dei sistemi economici. Inoltre, il risparmio viene penalizzato a causa dell’iniqua tassa da inflazione, con effetti particolarmente negativi per il nostro Paese che ha un’alta propensione al risparmio. Ma non va dimenticato anche il differenziale di interesse reale a favore dell’euro che potrebbe fare apprezzare la moneta unica rispetto al dollaro, con effetti negativi sulle esportazioni europee.
 
Connesso al tasso di inflazione, vanno considerati anche gli effetti sui salari reali che nel nostro Paese hanno mostrato una dinamica negativa negli ultimi 10 anni, assieme alla Spagna, al Portogallo e alla Grecia. Nello stesso periodo, i salari reali sono saliti a tassi molto significativi soprattutto in Germania, ma anche in Francia.    
 
Altri effetti collaterali negativi di tassi di interesse nulli o con segno meno, hanno riguardano l’intermediazione bancaria con un restringimento forte del margine di interesse e una spinta a creare redditività attraverso la vendita di servizi e cioè il margine di intermediazione. Il rapporto tra impieghi bancari e titoli si è spostato decisamente a favore dei secondi, trasformando il sistema bancario nella “longa manus” della Banca Centrale Europea, rafforzata dalla vigilanza unica. 
 
L’intermediazione tende inoltre a spostarsi al di fuori del perimetro delle banche europee soggette a vigilanza, con operatori esterni non bancari che praticano tassi di interesse tra  il 7 e il 10%.  Si tratta naturalmente non solo di un trasferimento di profitti, ma anche di rischi, con problemi per la stabilità del sistema.
 
La Federal Reserve americana, come già accennato, non ha invece mai voluto spingersi nell’area negativa dei tassi di interesse, favorendo l’intermediazione bancaria attraverso gli impieghi e il margine di interesse e quindi a sostegno del tasso di accumulazione e sviluppo del sistema economico. 
 
Giovanni Scanagatta

“Un nuovo ordine monetario mondiale: oro o criptovalute? a cura di Giovanni Scanagatta

Si discute molto sulla configurazione che potrà avere il sistema monetario internazionale alla luce delle criptovalute che già ora vengono accettate come mezzo di pagamento.
 
Naturalmente, a fronte di questa tendenza, le banche centrali frenano e mettono in evidenza i gravi rischi delle criptovalte, a cominciare dalla grande variabilità del loro valore. Senza parlare della politica monetaria che cesserebbe di essere loro monopolio e senza considerare il fatto che anche le banche centrali potrebbero adottare una loro criptovaluta.
 
Per inquadrare il problema, è opportuno fare un breve excursusstorico sul monopolio delle banche centrale nella creazione e nella gestione della moneta. Nel 1800 esistevano più banche di emissione e vigeva quindi un sistema di tipo concorrenziale. Successivamente si unificarono le banche e gli istituti di emissione dando origine al monopolio pubblico della creazione di moneta e della gestione della politica monetaria. Negli ultimi anni, con la comparsa delle criptovalute, si torna a privatizzare la moneta con la sua smaterializzazione e gestione basata sui grandi sistemi digitali. Viene eroso il monopolio delle banche centrali, ma è presto ancora per dire quale sarà la nuova configurazione del sistema monetario mondiale, Come afferma Saccomani nel suo ultimo libro, il nuovo mondo non lo vedremo noi ma i nostri nipoti.
 
Nello scenario che abbiamo davanti, non dobbiamo trascurare il ruolo che potrà avere l’oro, tenuto conto che le banche centrali hanno nei loro forzieri notevoli quantità del prezioso metallo. Esse spiegano una parte importante della domanda di oro, assieme alla domanda per scopi finanziari, per scopi di gioielleria e per usi industriali. A questo proposito, è interessante ricordare che la Banca d’Italia è la quarta a livello mondiale per detentrice di riserve auree.
 
Rispetto alle criptovalute, l’oro presenta il vantaggio di una minore variabilità. Dalla dichiarazione di inconvertibilità del dollaro in oro del 1971 ad oggi, il prezzo in dollari dell’oro è cresciuto di oltre l’8% medio annuo. Una percentuale quindi significativamente superiore al tasso medio di inflazione americana.
 
Il tallone aureo potrebbe essere pertanto la base comune di partenza riconosciuta da tutti i Paesi del mondo per un nuovo ordine monetario internazionale. Si tratterebbe di un riferimento neutro ed accettabile da tutti, con un livellamento del terreno di gioco. Successivamente si potrà pensare ad un diverso ordine monetario internazionale su basi completamente nuove.
 
Facciamo pertanto il seguente esercizio riferito al dollaro e all’euro. L’obiettivo è quello di dare una base aurea a queste due monete. Prendiamo a riferimento il prezzo attuale dell’oro che si colloca intorno a 1.850 dollari per oncia, che corrisponde al contenuto aureo del dollaro in 0,01681 grammi. Il contenuto aureo dell’euro è invece di 0,01849 grammi. Il rapporto tra i due contenuti aurei fornisce naturalmente il cambio attuale del dollaro rispetto all’euro, pari a 1,10.
 
Naturalmente tutte le banche centrali aderenti dovrebbero sottoscrivere questi accordi, cioè una specie di nuova Bretton Woods, dichiarando la parità della loro moneta con l’oro e impegnandosi a mantenerla fissa in modo irrevocabile. Si tratta quindi di un gold exchange standard allargato e non solo riservato al dollaro come è avvenuto con i primi accordi di Bretton Woods del 1944. Il signoraggio sarebbe privilegio non solo di un Paese egemone come è avvenuto in passato, ma di tutti i Paesi aderenti.
 
Il nuovo sistema avrebbe il grande vantaggio di introdurre una disciplina comune nel governo della moneta, essendo tutti agganciati all’oro. La moneta cesserebbe di essere gestita in modo discrezionale e costituirebbe un grande presidio per la salvaguardia del suo potere d’acquisto . Si realizzerebbe quello che sostenevano grandi economisti della scuola austriaca come von Mises e von Hayek. Ecco le parole di Hayek che si leggono nella sua monografia La denazionalizzazione della moneta, ora disponibile in italiano presso Rubbettino Editore. “Da quando la propaganda keynesiana è penetrata nelle masse, rendendo rispettabile l’inflazione e dando agli agitatori argomenti che i politici di professione non possono rifiutare, temo che l’unica via per evitare di essere spinti dalla continua inflazione verso un’economia controllata e diretta, e per salvare quindi la stessa civiltà, sia quello di spogliare i governi del loro potere sull’offerta di moneta… C’è perciò un immenso compito didattico da svolgere” (La denazionalizzazione  della moneta, pp. 204-206).
 
Questo pensiero dei grandi economisti austriaci è stato portato avanti negli anni successivi, con notevoli contributi di analisi, da economisti come Milton Friedman e Karl Brunner proponendo precise regole nella gestione dell’offerta di moneta che doveva crescere a tassi prestabiliti o entro determinati intervalli (monetarismo fiscale di Brunner).
 
Giovanni Scanagatta