“Divergenze tra le politiche monetarie della BCE e della Federal Reserve americana” di Giovanni Scanagatta

Giu 16, 2024 | Attualità, Riflessioni

Per la prima volta dal 2019, la Banca Centrale Europea (BCE) riduce i tassi di interesse. Come si legge nel comunicato stampa, “i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale saranno ridotti rispettivamente al 4,25%, al 4,50% e al 3,75%, con effetto dal 12 giugno 2024″. Si tratta di un piccolo taglio di un quarto di punto.

Una riduzione attesa dall’Italia per gli effetti riduttivi sul costo del nostro elevato debito pubblico, sulle famiglie per i mutui a tasso variabile e sulle imprese che hanno un elevato quoziente di indebitamento come nel caso delle imprese di piccole e medie dimensioni. Nel 2024 il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo dovrebbe superare il 140%, e una riduzione di un quarto di punto del costo del debito determinerebbe un risparmio intorno ai 7 miliardi di euro.

Un altro aspetto va evidenziato con riferimento alle banche. La riduzione dei tassi, dovrebbe portare come conseguenza alla contrazione del margine di interesse delle banche e quindi dei profitti o extraprofitti. L’effetto lo abbiamo visto con le riduzione delle quotazione di borsa del settore bancario. Si tratta di aspetti controversi che avevano portato all’ipotesi di tassazione degli extraprofitti bancari da parte del Governo, poi rientrata. In ogni caso, il comportamento delle banche riguardante il margine di interesse va analizzato separatamente nella fase ascendente e in quella discendente del costo del denaro.

La cautela nella riduzione dei tassi di policy viene giustificata dalla Presidente della BCE con il fatto che certamente l’inflazione nell’Unione Europea cala, ma rimane ad un livello che non è ancora vicino all’obiettivo del 2%. Ma c’è un’altra variabile che la BCE guarda, anche se non costituisce direttamente obiettivo della Banca Centrale, riguardando il tasso di cambio. Si tratta dei differenziali di interesse tra il dollaro e l’euro, già a favore della moneta americana prima dell’ultima decisione di riduzione da parte del Consiglio Direttivo. Poiché la Federal Reserve americana non ha variato i tassi di politica monetaria, tale differenziale si amplia ulteriormente e incide in modo negativo sul rapporto di cambio tra euro e dollaro. Infatti, il tasso di cambio della moneta europea si è deprezzato in pochi giorni scendendo da 1,09 a 1,07 dollari per euro, con una perdita di circa il 2%. Può aumentare pertanto l’inflazione importata e questo preoccupa la Presidente Lagarde. Ma andrebbe anche considerato l’effetto di un tasso di cambio dell’euro più debole rispetto al dollaro, per gli effetti positivi sulla competitività delle esportazioni europee. Questo è certamente utile per sostenere la bassa crescita dei Paesi dell’Unione, a partire dalla Germania.

Qualche considerazione infine sulla decisione della Federal Reserve americana di lasciare invariati, nella decisione del 12 giugno, i tassi di interesse di policy. Si tratta delle spese federali che tengono sostenuta la domanda, la crescita dei salari orari e il buon andamento del mercato del lavoro. L’inflazione corre ad un tasso superiore al 3% e ciò giustificherebbe la politica prudente della Federal Reserve nell’abbassare i tassi di interesse.

Giovanni Scanagatta

Professore di Politica economica e monetaria all’Università “Sapienza” di Roma

 

Roma, 12 giugno 2024