“Papa Leone XIV e la Dottrina Sociale della Chiesa per la costruzione del Bene Comune universale” a cura di Giovanni Scanagatta

PAPA LEONE XIV E LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA PER LA COSTRUZIONE DEL BENE COMUNE UNIVERSALE

Giovanni Scanagatta*

Introduzione

L’elezione di Papa Leone XIV nel maggio 2025 ha suscitato un rinnovato interesse per la Dottrina Sociale della Chiesa, un campo teologico e pastorale che affonda le sue radici nell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII (1891). Con la scelta del nome, Leone XIV ha voluto riaffermare l’impegno della Chiesa nella promozione della giustizia sociale, della dignità umana e del bene comune universale, rispondendo alle sfide contemporanee poste dalla globalizzazione, dalla digitalizzazione e dalle disuguaglianze crescenti.

La Dottrina Sociale della Chiesa: Fondamenti e Sviluppi

La Dottrina Sociale della Chiesa si è evoluta nel tempo, affrontando le questioni sociali emergenti e adattandosi ai cambiamenti storici e culturali. A partire dalla Rerum Novarum, che trattava della condizione dei lavoratori nel contesto della prima rivoluzione industriale, i successivi pontefici hanno approfondito temi come la giustizia sociale, la solidarietà, la sussidiarietà e la destinazione universale dei beni.

Il Bene Comune Universale: Un Concetto Fondamentale

Il bene comune universale è un principio centrale nella Dottrina Sociale della Chiesa. Esso si riferisce all’insieme delle condizioni sociali che permettono a ogni individuo e comunità di raggiungere la propria perfezione più pienamente. Papa Leone XIV ha sottolineato che la Chiesa offre il suo patrimonio di Dottrina Sociale per rispondere alle sfide della nuova rivoluzione industriale e degli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro.

La Destinazione Universale dei Beni: Un Principio Fondamentale

Un principio fondamentale della Dottrina Sociale è la destinazione universale dei beni. Questo principio afferma che Dio ha destinato la terra e tutto ciò che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e popoli, affinché i beni creati pervengano a tutti con equo criterio, guidati dalla giustizia e accompagnati dalla carità. Papa Leone XIV ha richiamato questo principio, sottolineando che i beni devono essere utilizzati non solo per il profitto individuale, ma per il bene di tutta l’umanità.

La Famiglia come Fondamento del Bene Comune

Papa Leone XIV ha anche posto l’accento sul ruolo centrale della famiglia nella costruzione del bene comune. Ha esortato i governanti a riconoscere il valore sociale ed economico della famiglia, sostenendola non come privilegio confessionale, ma come infrastruttura naturale del bene comune. Questo messaggio si inserisce in un contesto più ampio, in cui la Chiesa riafferma la propria differenza come servizio all’uomo, non per imporsi, ma per testimoniare.

La Dottrina Sociale come Cammino Comune

Nel suo discorso del 17 maggio 2025 alla Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice, Papa Leone XIV ha sottolineato che la Dottrina Sociale della Chiesa non è un insieme di verità imposte, ma un cammino comune verso la verità, frutto di ricerca, dialogo e discernimento. Ha evidenziato la necessità di un approccio aperto e corale, capace di rispondere alle sfide contemporanee con impegno, rigore e serenità.

Conclusione

Papa Leone XIV ha riaffermato con forza l’impegno della Chiesa nella promozione della giustizia sociale, della dignità umana e del bene comune universale. La sua visione si inserisce in una tradizione che affonda le radici nell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII e si sviluppa attraverso i successivi insegnamenti dei pontefici. In un mondo segnato da nuove sfide globali e da guerre, la Dottrina Sociale della Chiesa continua a offrire orientamenti per costruire una società più giusta, solidale e orientata al bene di tutti nella pace.

 

 *Professore di Politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”

“Per una nuova stagione dei rapporti con la Russia” a cura di Giovanni Scanagatta e Stefano Sylos Labini

PER UNA NUOVA STAGIONE DEI RAPPORTI CON LA RUSSIA

Giovanni Scanagatta* Stefano Sylos Labini**

Recentemente, il Commissario europeo per l’Energia, Dan Jorgensen, ha affermato che l’Unione europea non intende riprendere le importazioni di gas russo dopo un potenziale accordo di pace tra Ucraina e Russia. Bruxelles impedirà ai Paesi membri di firmare nuovi contratti di fornitura con Gazprom, cercando al contempo un modo per farli uscire dai contratti esistenti senza dover pagare penali per la violazione degli stessi.

Nonostante i giudizi molto negativi dell’Unione europea, la Russia è ancora il secondo maggiore fornitore di gas dell’Unione, mentre l’Italia – secondo i dati forniti dall’osservatorio energetico britannico Ember – nel 2024 ha triplicato l’importazione di gas dalla Russia rispetto all’anno precedente, passando da 2,1 a 6,2 miliardi di metri cubi. È stato di gran lunga l’incremento più consistente all’interno dell’Unione europea, dove la crescita ha raggiunto il 18 per cento rispetto al 2023 (da 38 miliardi a 45 miliardi di metri cubi). Inoltre alcuni paesi europei come Ungheria e Slovacchia sono fortemente contrari all’interruzione delle importazioni di gas russo per motivi di costi e di sicurezza energetica.

L’idea di azzerare le importazioni di gas russo è sorprendente perché siamo convinti che il raggiungimento di un nuovo ordine politico ed economico mondiale non può prescindere da un ristabilimento dei rapporti economici tra l’Unione europea e la Russia. La storia conferma ampiamente questa visione perché quando l’Europa ha provato ad isolare la Russia, la prima a rimetterci è stata l’Europa. Non dimentichiamo poi che l’Italia ha sempre avuto ottimi rapporti economici con la Russia.

Lo stesso Presidente Trump sembra spingere per un ristabilimento dei rapporti economici tra la Russia e l’Unione europea, con l’obiettivo di creare condizioni favorevoli per una trattativa di pace tra la Russia e l’Ucraina.

Sul piano economico, l’Unione europea e soprattutto l’Italia, realizzerebbero notevoli risparmi se ripristinassero le importazioni di energia dalla Russia ai livelli esistenti prima della guerra in Ucraina. Nel 2021, l’Unione europea importava dalla Russia circa il 45% del suo consumo di gas. Con l’interruzione delle forniture russe, l’Ue ha dovuto affrontare un aumento dei prezzi del gas e dell’elettricità a causa delle maggiori spese per l’acquisto da altri fornitori. L’Italia è stata particolarmente colpita dal nuovo scenario registrando un’impennata dei prezzi finali dell’energia che ha messo in gravi difficoltà le famiglie e il sistema industriale. Ripristinando gli acquisti di gas russo si potrebbero ridurre significativamente questi costi, accrescendo la competitività delle imprese e il potere d’acquisto delle famiglie.

Per quanto riguarda la Russia, la sua economia è stata colpita duramente dalla perdita di gran parte del mercato europeo del gas. Attualmente il combustibile di Mosca soddisfa il 19% della domanda europea, in calo di oltre la metà rispetto al periodo precedente alla guerra. Le esportazioni di gas verso l’Europa sono costituite principalmente dal gas naturale liquefatto via mare e dal gas trasportato attraverso la Turchia lungo il gasdotto TurkStream.

La Turchia importa molto gas russo: ne utilizza una parte in patria ed esporta il resto verso l’Europa sud-orientale. Ankara ha in programma di diventare un importante hub regionale di gas naturale, sia attraverso le importazioni dalla Russia e dall’Asia centrale, sia attraverso l’esplorazione e la produzione locali. Il governo turco ha anche reso pubblici i piani per sostituire sostanzialmente l’Ucraina come via di transito tra i giacimenti di gas russo e i consumatori europei. Per questo Bruxelles, pur volendo liberarsi definitivamente dall’energia russa, non può impedire che la Turchia si trasformi in un hub del gas, con grandi quantitativi provenienti da Mosca.

In questo quadro, l’Unione europea dovrebbe impegnarsi per favorire i negoziati volti a concludere il disastroso conflitto in Ucraina e dovrebbe riprendere ad acquistare gas e petrolio russo, passo fondamentale per dare sollievo a famiglie e imprese che sono state messe a dura prova dall’aumento dei prezzi dell’energia negli ultimi tre anni. Una tale strategia presuppone un cambio radicale del modo di pensare della classe politica europea che non deve più considerare la Federazione Russa come un pericoloso nemico pronto a far scoppiare nuove guerre bensì come un partner economico e commerciale che può garantire una nuova stagione di pace e di prosperità.

*Professore di Politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”

**Gruppo Moneta Fiscale

 

“Piccole Imprese e grandi Reti nell’era dell’Intelligenza Artificiale: il modello italiano tra resilienza e innovazione” a cura di Giovanni Scanagatta

PICCOLE IMPRESE E GRANDI RETI NELL’ERA DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE: IL MODELLO ITALIANO TRA RESILIENZA E INNOVAZIONE

Giovanni Scanagatta*

Nell’epoca dell’Intelligenza Artificiale (IA), le modalità organizzative e produttive stanno attraversando una trasformazione profonda. In questo contesto, il modello italiano delle piccole imprese collegate in reti flessibili si presenta non solo come un’alternativa al paradigma dominante delle grandi imprese integrate, ma in alcuni casi come un modello potenzialmente più adatto ad affrontare le sfide del nuovo scenario tecnologico.

  1. Il modello italiano: radici e caratteristiche

Il tessuto imprenditoriale italiano è storicamente composto da una miriade di piccole e medie imprese (PMI), spesso a conduzione familiare, che operano in distretti industriali e reti territoriali. Questo modello ha mostrato nel tempo una straordinaria capacità di adattamento, innovazione incrementale e specializzazione verticale.

Le reti di imprese italiane si basano su una logica collaborativa: le aziende condividono conoscenza, competenze, commesse e, sempre più spesso, anche tecnologie. Questa struttura decentralizzata permette un alto grado di flessibilità, velocità di risposta ai cambiamenti di mercato e capacità di personalizzazione dei prodotti.

  1. Il confronto con il modello delle grandi imprese integrate

Il modello delle grandi imprese integrate, tipico di economie come quella tedesca, americana o cinese, si fonda su un’elevata centralizzazione, economie di scala, controllo diretto sull’intera filiera produttiva e investimenti massicci in R&D e infrastrutture.

Questo modello è particolarmente efficace nei settori ad alta intensità di capitale e nelle industrie tecnologiche, dove le dimensioni permettono di sfruttare al massimo l’automazione, l’intelligenza artificiale e la raccolta su larga scala di dati. Tuttavia, risulta spesso meno agile e meno adattabile in contesti ad alta variabilità o nei mercati di nicchia.

  1. L’IA come leva per le reti di PMI

L’avvento dell’IA può rappresentare un punto di svolta per le reti di PMI italiane. Ecco alcune potenzialità:

  1. Automazione intelligente su scala ridotta: Grazie all’accessibilità crescente di soluzioni IA as-a-service, anche le PMI possono automatizzare processi, ottimizzare la logistica, prevedere la domanda e migliorare la gestione delle risorse senza dover sostenere investimenti proibitivi.
  2. Personalizzazione e flessibilità: L’IA consente una produzione sempre più su misura. Le PMI, già strutturate per lavorare su commesse personalizzate, possono integrare sistemi IA per analizzare i bisogni dei clienti, adattare i prodotti e rendere più efficiente la produzione just-in-time.
  3. Intelligenza collettiva: Le reti di PMI possono utilizzare piattaforme IA condivise per scambiare dati, coordinare le attività e prendere decisioni in modo più efficiente, trasformando la frammentazione in una risorsa.
  4. Innovazione distribuita: Le tecnologie IA generative (come il design assistito, il machine learning applicato alla progettazione e l’analisi predittiva) possono stimolare l’innovazione diffusa in tutto il network, rafforzando la competitività delle singole imprese e del sistema nel suo complesso.
  5. Riduzione del digital divide: Le policy europee e italiane stanno puntando su programmi di digitalizzazione (come il PNRR), che offrono alle PMI l’accesso a competenze, tecnologie e infrastrutture digitali, riducendo il gap con le grandi imprese.

    4. Criticità e sfide

Tuttavia, il modello italiano presenta anche vulnerabilità da affrontare:

  • Frammentazione e governance debole: Le reti di PMI spesso mancano di una regia strategica e di strumenti solidi di coordinamento.
  • Capacità di investimento limitata: L’adozione dell’IA richiede competenze e risorse che molte PMI faticano ancora ad acquisire.
  • Formazione e cultura digitale: Il capitale umano deve essere aggiornato, superando il ritardo culturale e formativo in ambito tecnologico.
  1. Conclusioni

L’era dell’Intelligenza Artificiale non decreta la fine del modello delle piccole imprese: al contrario, lo trasforma in una potenziale risorsa strategica. Se sostenuto da un a politica industriale mirata, investimenti in formazione e infrastrutture digitali, il modello italiano delle piccole imprese in rete può rappresentare una forma avanzata di resilienza e innovazione diffusa.

In un contesto in cui la personalizzazione, l’agilità e la sostenibilità diventano sempre più centrali, le grandi reti di piccole imprese possono non solo coesistere con le grandi multinazionali integrate, ma anche anticiparne i bisogni, offrendo soluzioni su misura in tempo reale. L’intelligenza artificiale, lungi dall’essere una minaccia per le PMI, può diventare l’elemento catalizzatore di un nuovo Rinascimento industriale italiano.

 *Professore di Politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”

“La grande incertezza degli scenari mondiali e il prezzo dell’oro” a cura di Giovanni Scanagatta

LA GRANDE INCERTEZZA DEGLI SCENARI MONDIALI E IL PREZZO DELL’ORO

Giovanni Scanagatta*

E’ dalla fine della seconda guerra mondiale che il mondo non vive scenari così incerti per l’esistenza di molte guerre sparse in tutto il mondo, in primis la guerra tra Russia e Ucraina e quella tra israeliani e palestinesi, e per lo scossone che il Presidente americano Trump ha impresso a tutta l’economia mondiale.

L’oro, tipico bene rifugio, ha puntualmente registrato tutto questo con spettacolari aumenti di prezzo: circa il 38% dall’inizio dell’anno. Negli ultimi cinque anni il prezzo dell’oro è aumentato del 65%, del 560% dal 2000 e del 9688% negli ultimi cento anni.

Quali le cause di questa spettacolare serie di aumenti? Le cause possono essere riassunte in tre gruppi: lo stato di incertezza geopolitica e geoeconomica; il tasso di interesse reale sulla moneta americana; il tasso di cambio del dollaro. Al crescere dell’incertezza aumenta la domanda di oro sia di parte dei privati che da parte delle banche centrali che detengono oro nelle loro riserve. Negli ultimi anni è particolarmente cresciuta la domanda di oro da parte delle banche centrali, soprattutto della Cina e dalla Russia che tendono a liquidare le attività in dollari per acquistare oro. Questo ha il duplice effetto di aumentare il prezzo dell’oro e di deprimere il tasso di cambio del dollaro. Dall’inizio dell’anno la moneta americana ha perso quasi il 15% del suo valore rispetto all’euro. Il secondo fattore è rappresentato dal tasso di interesse reale sul dollaro. L’oro non rende interessi e la sua attrattività aumenta quando questi si riducono e c’è l’aspettativa di una politica monetaria americana espansiva. Infine, esiste normalmente una correlazione inversa tra il tasso di cambio del dollaro e il prezzo dell’oro. Questa relazione la stiamo osservando soprattutto dall’inizio dell’anno.  

Ma quali sono gli scenari futuri del prezzo dell’oro? Da questi scenari possiamo inferire le aspettative sulle configurazioni degli assetti geopolitici e geoconomici mondiali, nonchè le aspettative sui tassi di interessi reali della moneta americana e del tasso di cambio del dollaro?  

Nel medio periodo, il prezzo dell’oro sarà determinato da una complessa interazione tra i seguenti fattori: a) tassi d’interesse reali USA: un eventuale rallentamento dell’economia statunitense (recessione tecnica o soft landing) potrebbe indurre la FED a mantenere o ridurre i tassi nominali, mentre l’inflazione potrebbe rimanere persistente e ciò implicherebbe tassi reali negativi, molto favorevoli all’oro; b) domanda delle banche centrali: i paesi emergenti, soprattutto quelli del blocco BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e nuovi aderenti come Iran e Arabia Saudita), stanno accumulando oro per diversificare le riserve e ridurre la dipendenza dal dollaro. Questo trend potrebbe accelerare. c) riallocazione strategica degli investimenti: in presenza di mercati azionari volatili e di crescente instabilità obbligazionaria, gli investitori istituzionali potrebbero accrescere la componente in oro dei portafogli per protezione. d) tecnologia e domanda industriale: anche se minore rispetto alla domanda finanziaria, l’oro ha applicazioni in elettronica, fotonica e tecnologie avanzate (quantum computing, semiconduttori), che potrebbero rafforzarne la domanda strutturale.

Possibile evoluzione dei prezzi: i) Scenario base: 3.500–4.000 USD/oncia entro fine 2026; ii) Scenario espansivo (forte instabilità geopolitica e tassi reali USA negativi): 4.000–4.500 USD/oncia; iii) Scenario correttivo (riduzione delle tensioni e aumento dei tassi reali USA): ritorno verso 3.000 USD/oncia.

Riflessioni sugli assetti geopolitici e geoeconomici. L’oro è sempre più una cartina al tornasole delle tensioni internazionali. Alcune tendenze strutturali che potrebbero influenzare il suo prezzo includono: 1) Rapporti USA–Cina: la frammentazione del commercio globale e il ridisegno delle supply chain spingono molti paesi a creare riserve in oro per ridurre rischi sistemici legati al dollaro e alla finanza occidentale; 2) Monetizzazione multipolare delle riserve: i BRICS stanno esplorando la creazione di una valuta comune garantita da oro o altre risorse reali. Questa dinamica, se realizzata, aumenterebbe la domanda strutturale di oro e la sua funzione monetaria; 3) Conflitti e instabilità politica: qualsiasi escalation in Medio Oriente, Taiwan, o nell’Est Europa rafforzerebbe il ruolo dell’oro come bene rifugio, alimentando nuovi rialzi.

Tassi d’interesse reali e dollaro USA Nel medio periodo, i tassi d’interesse reali (tasso nominale meno inflazione) sono più rilevanti dei tassi nominali per determinare l’andamento dell’oro. Se la FED abbassa i tassi in risposta a un rallentamento economico, e l’inflazione non scende proporzionalmente, i tassi reali diventeranno o resteranno negativi e l’oro ne beneficerà. Un dollaro debole, legato a un ammorbidimento della politica monetaria o a una perdita di fiducia nel sistema USA (debito pubblico, bilancia commerciale, polarizzazione politica), renderebbe l’oro più economico in valuta locale per gli investitori esteri, sostenendone il prezzo.

Considerazioni finali. Il prezzo dell’oro nel medio periodo sarà strettamente correlato a: tensioni geopolitiche e assetti multipolari; percezione della stabilità macro-finanziaria americana; politiche delle banche centrali sia in Occidente che nei mercati emergenti; tassi reali USA e forza del dollaro.

L’oro, oggi più che mai, si sta riconfigurando da semplice “bene rifugio” a strumento strategico e geopolitico, in grado di segnalare il grado di frammentazione e sfiducia nel sistema economico mondiale.

*Professore di Politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”

“Dottrina sociale della Chiesa, Europa, futuro dell’economia mondiale” a cura di Giovanni Scanagatta

DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA, EUROPA, FUTURO DELL’ECONOMIA MONDIALE

Giovanni Scanagatta*

  1. Dottrina sociale della Chiesa. La DSC è un insieme di valori etici e morali per lo sviluppo integrale dell’uomo e per il bene comune. IL bene comune della DSC è un concetto diverso dall’ottimo paretiano della teoria economica. Il bene comune è di tutti e di ciascuno e si realizza quando tutti, senza esclusione alcuna, beneficiano dello sviluppo. E’ un concetto moltiplicativo e se solo una persona sta a zero, quindi non ha nulla, azzera tutto il prodotto e non si realizza il bene comune. L’ottimo paretiano è invece un concetto additivo e l’importante è massimizzare la somma anche se molti rimangono a zero e non possiedono nulla, non realizzando in questo modo la giustizia distributiva.
    La DSC ha molti punti di contrasto con la teoria economica che prescinde dall’etica e dalla morale. Luigi Pasinetti elenca dieci punti di contrasto tra la DSC e la teoria economica tra cui il bene comune, la destinazione universale dei beni e la funzione sociale della proprietà privata, la superiorità del lavoro sul capitale, la solidarietà, la sussidiarietà, la componente di gratuità e di dono per la costruzione del bene comune.

  1. Europa. Il punto di partenza dell’Unione europea può essere fatto risalire al 1957 con la firma dei Trattati di Roma, con la nascita del Mercato Comune Europeo, tra Germania, Francia, Italia, Belgio, Olanda, Lussemburgo. Prima era nata la Comunità del Carbone e dell’Acciaio (CECA) che risolveva storici problemi economici tra Francia e Germania. Facciamo un grande salto con il Trattato di Maastricht del 1992, Trattato dell’Unione europea (Ue) che fissa il parametri di convergenza per entrare nell’Unione. Si tratta di parametri monetari e fiscali, tra cui il limite massimo per il rapporto deficit/PIL e per il rapporto debito pubblico/PIL. Nel 1999 nasce l’euro come moneta di conto, che entra in circolazione effettiva all’inizio del 2002. Si parte dalla moneta unica, pensando che poi, secondo la teoria funzionalista, tutto il resto sarebbe seguito. Ma questa fiducia illuministica si è rivelata vana; in più, si è commesso l’errore di allargare indiscriminatamente l’Unione europea fino a 27 membri con il principio dell’unanimità del voto, con Paesi molto diversi per livello di sviluppo, caratteristiche istituzionali e di storia. Si è ignorata la legge di Pareto del 20/80 secondo la quale il 20% delle cause determina l’80% degli effetti. Bisognava invece puntare sul nucleo storico e molto integrato economicamente dei sei Paesi fondatori della Comunità Economica Europea, aggregando gli altri con la necessaria gradualità. Per i sei si poteva proseguire con una integrazione rafforzata con politica fiscale comune, politica monetaria comune, debito comune. Debito comune magari garantito dalle enormi riserve auree dei sei Paesi fondatori, pari a oltre 9 mila tonnellate di oro, rispetto alle 8 mila degli USA. Storicamente non va dimenticato che l’Italia chiese un prestito alla Germania di un miliardo di euro, garantito con parte delle riserve auree italiane. Si tratterebbe di una vera e propria federazione tra i sei stati fondatori del 1957. Era naturalmente molto difficile governare in modo unitario 27 Paesi così diversi tra loro perché bloccati dalla regola del voto unanime e da molte altre differenze e così l’Unione europea si è più caratterizzata nel creare regolamenti e impacci burocratici che realizzare investimenti per lo sviluppo, l’innovazione e la competitività. Si è solo agito in stato di necessità per fronteggiare situazioni di grave crisi che ricordiamo sinteticamente: a) crisi dei debiti sovrani del 2011 con acquisti di enormi quantità di titoli del debito pubblico da parte della Banca Centrale Europea (BCE) e tassi di interesse negativi (politiche monetarie non convenzionali); b) crisi pandemica con la creazione del Recovery Fund per 750 miliardi di euro e debito comune; c) crisi della difesa europea con ReaArm Europe con un programma di 800 miliardi di euro. Questo programma potrebbe anche presentare degli aspetti positivi se consentisse di recuperare il ritardo tecnologico e di competitività dell’Europa rispetto agli Stati Uniti d’America e alla Cina, con forti ricadute sul settore civile. Non dobbiamo dimenticare che INTERNET e il GPS sono nati nel mondo militare. Dovrebbe trattarsi di una specie di Programma Spaziale Apollo degli Stati Uniti d’America, realizzato dalla NASA tra il 1961 e il 1972, e che ha consentito di recuperare il ritardo iniziale rispetto all’Unione Sovietica, superandola con lo sbarco americano sulla luna. Il Programma prevedeva commesse pubbliche alle imprese private, con una forte spinta all’innovazione e con una ricaduta sul settore civile. Un modo altamente efficace per fare politica industriale.
  1. Futuro dell’economia mondiale. Siamo di fronte al tramonto del multilateralismo e al prepotente emergere degli imperialismi di Stati Uniti, Cina e Russia e democrazia sempre più debole in Europa. Il nuovo Presidente degli USA Trump ha dato il colpo finale alle istituzioni economiche e finanziarie internazionali nate dopo gli accordi di Bretton Woods del 1944, a partire dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Trump impone dazi sulle importazioni nella speranza di riequilibrare il pesante deficit americano degli scambi commerciali con l’estero. E l’Europa è una delle prime ad essere sul banco degli imputati. Nella realtà può trattarsi solo di minacce, anche perché non è sicuro che l’introduzione dei dazi garantisca il riequilibrio della bilancia commerciale. Trattandosi prevalentemente di importazioni che interessano le fasce alte di reddito degli americani, la domanda di importazioni è rigida e questo non fa diminuire le importazioni e nel contempo accresce l’inflazione importata. Maggiore inflazione spinge la Federal reserve verso politiche monetarie restrittive e rialzo dei tassi di interesse, con effetti negativi sulla crescita del reddito e sull’occupazione. Quindi grandi difficoltà di cui Trump si rende conto.
    La politica di Trump di apertura verso la Russia ha naturalmente lo scopo di impedire che la Russia cada sempre di più nella braccia della Cina. E ciò è avvenuto sia a causa della chiusura europea verso il petrolio e il gas russo che ci ha costretto a diversificare verso altri fornitori a prezzi più elevati rispetto a quelli praticatici dalla Russia e a causa delle sanzioni che ha colpito pesantemente le attività della Banca centrale russa attraverso il congelamento e la tassazione totale del rendimento delle attività stesse.
    In questo quadro, l’Unione europea avrebbe interesse a ristabilire migliori rapporti sia con gli Stati Uniti d’America che con la Russia.
  1. Conclusioni. Siamo partiti all’inizio sottolineando i contrasti tra il pensiero sociale della Chiesa e la teoria economica. Per il futuro della nostra Europa abbiamo bisogno di una convergenza verso i valori della DSC: sviluppo integrale dell’uomo e sua dignità, solidarietà, sussidiarietà, destinazione universale dei beni, bene comune. I padri fondatori dell’Europa erano tutti autentici cristiani: De Gasperi, Schuman, Adenauer ed è a loro che dobbiamo ispiraci per un autentica rinascita dell’Europa. Fondare l’Europa solo sulla moneta e sui valori economici ci ha portato in un vicolo cieco e ora dobbiamo uscirne, altrimenti, come affermava Benedetto XVI, l’Europa è destinata ad uscire dalle grandi traiettorie della storia. E non dimentichiamoci il grande insegnamento di Giovanni Paolo II: l’Europa per potere respirare e salire in alto ha bisogno di due polmoni: l’orientale e l’occidentale.

 

*Professore di Politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”