“La crisi dell’Unione Europea e il modello dell’Impero degli Asburgo” di Giovanni Scanagatta

Gen 6, 2025 | Attualità, Riflessioni

LA CRISI DELL’UNIONE EUROPEA E IL MODELLO DELL’IMPERO DEGLI ASBURGO

1.Scopo del presente contributo è di presentare un’ipotesi suggestiva e certamente ardita di quanto l’Unione europea potrebbe imparare dal modello dell’impero degli Asburgo per uscire dalla crisi che l’attanaglia.

L’Impero Asburgico, che si estese dal 1278 al 1918, cioè 640 anni, rappresenta una delle realtà politiche più longeve e complesse della storia europea. Sotto il dominio della Casa d’Austria, l’impero seppe mantenere una straordinaria stabilità e prosperità per secoli, attraversando numerosi cambiamenti geopolitici e conflitti. La sua grande forza ed efficienza si manifestarono sia sul piano militare che su quello amministrativo, economico e culturale.

L’inizio dell’era asburgica come potenza imperialista risale al 1278, con la vittoria di Rodolfo I d’Austria nella battaglia di Dürnkrut, che gli permise di divenire imperatore del Sacro Romano Impero. Da questo momento, la Casa d’Austria riuscì a consolidare il proprio potere attraverso matrimoni strategici, alleanze politiche e la gestione abile delle risorse interne. La dinastia asburgica acquisì vasti territori che si estendevano ben oltre i confini dell’Austria, abbracciando aree come i Paesi Bassi, la Spagna, l’Ungheria, la Boemia e la Lombardia.

Uno degli aspetti che più ha caratterizzato la forza dell’Impero Asburgico fu il suo esercito, che si distinse per la sua disciplina, la capacità di adattarsi alle nuove tecniche di guerra e la strategica posizione geografica che permetteva all’impero di affrontare nemici su più fronti. Le guerre di successione, come quella di Maria Teresa d’Austria, o i conflitti contro l’Impero Ottomano e la Francia, mostrarono l’efficacia di un esercito ben equipaggiato e motivato.

Nel XVIII secolo, sotto il governo di Maria Teresa e del figlio Giuseppe II, l’impero si dotò di una riforma militare che garantì una maggiore efficienza nelle operazioni belliche, rafforzando la capacità di difesa e di proiezione del potere oltre i confini. L’esercito austriaco si distinse anche per la sua capacità di combattere contro nemici più grandi, come le forze napoleoniche. La sua resistenza durante le guerre napoleoniche, pur non riuscendo a mantenere intatti i territori imperiali, dimostrò una notevole resilienza.

Uno degli aspetti distintivi dell’Impero Asburgico fu il suo sistema amministrativo e la gestione di un’entità politica così eterogenea. L’impero comprendeva territori che oggi fanno parte di numerosi Stati dell’Europa Centrale e Orientale, e la sua efficienza risiedeva nel riuscire a governare popolazioni con lingue, religioni e tradizioni diverse.

Il sistema amministrativo asburgico si basava su una struttura centralizzata che, pur rispettando la diversità regionale, permetteva un controllo efficace da parte della corte imperiale di Vienna. Le riforme di Maria Teresa e Giuseppe II modernizzarono l’amministrazione, creando una burocrazia efficiente che favorì il progresso sociale ed economico. Tuttavia, l’elemento che garantì la continuità del potere asburgico fu la capacità di adattarsi alle circostanze politiche e di bilanciare i diversi interessi delle sue varie province.

Sul piano economico, l’Impero Asburgico sviluppò un sistema che stimolò sia l’agricoltura che l’industria. Le riforme agrarie di Maria Teresa permisero una maggiore produttività nelle terre, mentre il libero commercio all’interno dell’impero contribuì alla crescita di città come Vienna, Praga e Budapest. Inoltre, il controllo di importanti rotte commerciali tra Oriente e Occidente, grazie alla sua posizione strategica, permise all’impero di accumulare ricchezze e potere.

Il commercio di merci come il sale, il grano, il vino e i tessuti, unito a un sistema bancario che favoriva gli scambi commerciali, rinforzò l’economia asburgica. Le riforme fiscali di Giuseppe II migliorarono l’efficienza della raccolta delle imposte, ma furono anche accompagnate da una crescita delle spese per sostenere un apparato militare sempre più costoso.

L’impero Asburgico si caratterizzava per una solida moneta, come il tallero di Maria Teresa che, come nome, ricorda il dollaro. Si tratta di una condizione fondamentale per uno sviluppo economico sano e solido nel tempo.  Il tallero di Maria Teresa d’Austria è una moneta d’argento coniata a partire dal 1741, durante il regno dell’Imperatrice Maria Teresa, ed è stata ampiamente utilizzata in molte parti d’Europa e nei territori dell’Impero Asburgico. Il tallero pesa circa 28 grammi.

Il recto della moneta presenta il ritratto di Maria Teresa, (Maria Teresa, per grazia di Dio, Imperatrice), mentre il verso mostra l’arma dell’Imperatrice, con una corona e uno scudo araldico, accompagnato dalla data di coniazione e il valore tallero. La moneta divenne simbolo di stabilità economica ed è stata utilizzata come moneta di riferimento in diverse nazioni anche dopo la morte dell’Imperatrice.

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L’Impero Asburgico fu anche un grande centro di produzione culturale. Vienna, la capitale, divenne uno dei principali centri culturali d’Europa, accogliendo artisti, musicisti, filosofi e letterati provenienti da tutta Europa. La musica, in particolare, ha visto un enorme sviluppo, con compositori come Wolfgang Amadeus Mozart, Ludwig van Beethoven e Franz Schubert che contribuirono a fare di Vienna la capitale della musica classica.

L’impero, sotto il governo degli Asburgo, promosse anche la scienza e la filosofia, con l’istituzione di università e accademie. La corte di Vienna fu un luogo di grande fervore intellettuale, in cui si svilupparono idee che influenzarono profondamente l’Europa. Le riforme educative e le iniziative per l’alfabetizzazione aumentarono notevolmente il livello culturale della popolazione.

Nonostante la sua grande forza e l’efficienza amministrativa, l’Impero Asburgico incontrò nel XIX secolo numerose difficoltà. Il nazionalismo crescente, le tensioni tra i vari gruppi etnici e le sfide poste dalle guerre napoleoniche indebolirono l’impero. La crisi del 1848, le guerre contro il Regno di Sardegna e la crescente pressione di potenze emergenti come la Prussia portarono alla fine del dominio degli Asburgo su gran parte dei territori europei.

La Prima Guerra Mondiale segnò la fine definitiva dell’Impero Asburgico nel 1918, con la dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico. Tuttavia, nonostante la sua fine, l’eredità culturale, amministrativa e militare degli Asburgo continua a influenzare l’Europa anche nel XX e XXI secolo.

  1. L’Impero Asburgico, con la sua grande forza militare, la sua efficienza economica e amministrativa e la sua ricca tradizione culturale, rappresenta uno dei modelli più significativi di governo in Europa. La sua capacità di adattarsi ai cambiamenti storici e di gestire una realtà complessa e multiculturale lo ha reso uno degli imperi più longevi della storia. Pur affrontando numerose sfide nel corso dei secoli, la sua eredità è ancora viva in molti aspetti della vita moderna europea.

Gli Asburgo hanno saputo tenere in piedi e amministrare in modo sapiente e illuminato un impero che andava da oriente ad occidente, compresi i Balcani. Su questo l’Europa ha sostanzialmente fallito perché non ha saputo tenere insieme, come affermava Giovanni Paolo II, i due polmoni per respirare e salire in alto, cioè l’oriente e l’occidente dell’Europa, compresa la Russia.

Si doveva andare avanti sulla strada tracciata dall’unificazione delle due Germanie, Est e Ovest, ma non si è stati capaci per mancanza di visione storica e per l’incapacità di superare gli interessi nazionali che era indispensabile per costruire un’Unione europea forte e coesa. Si pensava, erroneamente, che fosse sufficiente la creazione della moneta unica perché tutto il resto sarebbe seguito secondo un meccanismo di tipo automatico, in forza di un pensiero di tipo illuministico. Si tratta della teoria funzionalista tanto cara ai francesi.

Un altro elemento che ha consentito per tanti anni la vita e il buon funzionamento dell’impero asburgico, come fattore di coesione, sono le radici cristiane, che sono invece state svilite con la nascita dell’Unione europea, rifiutando di inserire nella premessa della carta costituzionale questa fondamentale verità, su cui si era battuto con grande forza, ma inutilmente, Giovanni Paolo II.

  1. Il frantumarsi dell’impero asburgico ha avuto conseguenze negative per tutta l’Europa dopo la prima guerra mondiale. A questo contribuì fortemente il nefasto Trattato di Parigi del 1919 che mise in ginocchio la Germania con i pesantissimi pagamenti dei debiti di guerra.

E’ interessante ricordare che contro le ingiustizie del Trattato di Parigi del 1919, il grande economista inglese J.M. Keynes decise di dimettersi dalla Commissione economica, in rappresentanza del governo inglese. Nell’autunno del 1919 pubblicò, come atto di accusa contro il Trattato, la famosa monografia “Le conseguenze economiche della pace”. In tale monografia denunciò, tra l’altro, le gravi conseguenze economiche per tutti i paesi europei degli ostacoli posti alle relazioni commerciali tra la Germania e la Russia. Questo grave errore lo aveva ben capito, molti anni dopo, Angela Merkel che favorì con decisione i rapporti economici e commerciali tra la Russia e la Germania unificata. Poi però la storia ha fatto un salto indietro e l’Europa è ritornata a colpire con le sanzioni economiche la Russia, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.

  1. Ma torniamo al modello dell’impero degli Asburgo e alle conseguenze economiche della sua caduta dopo la prima guerra mondiale. Ne troviamo un’efficace sintesi nell’Introduzione al Bollettino economico della Banca Commerciale Italiana del 1931. Così si legge: “Il frantumarsi della Monarchia d’Asburgo spezzò una vasta unità industriale agrario-finanziaria, la quale serviva come ponte di passaggio tra l’Oriente europeo e l’Occidente, fra il mare del Nord e i paesi balcanici e il Sud. Tutto il commercio europeo si era stabilizzato sulla esistenza del sistema dei trasporti austro-ungarici, con le sue tariffe differenziali, sui metodi creditizi delle banche viennesi specializzate nel finanziamento caratteristico del Balcani; e nell’interno del vasto impero si era creata una perfetta divisione economica della produzione e del lavoro. Così una vasta zona territoriale con circa sessanta milioni di abitanti, posta al centro del sistema economico europeo, venne dopo la guerra a rappresentare uno dei punti di maggiore debolezza del nostro Continente e dal 1922 in poi visse con puntelli e con sistemi di artificio, che la crisi doveva far cadere per primi. Dall’Austria, con la crisi Credit-Anstalt, la situazione odierna doveva avere il proprio punto di partenza. E se gli accordi presi dopo il Rapporto di Parigi hanno dato un respiro a quei paesi, mettendo una parte di essi sotto la tutela amichevole della Lega delle Nazioni, nessuna misura organica però venne presa per ridare ossigeno  a vita ad un gruppo di Stati che, insistiamo su questo punto, rappresentano per la loro situazione geografica uno dei nodi vitali per la vita e i rapporti economici dell’Europa intiera”.

Per la verità, su questa analisi, il giudizio di Keynes nella monografia del 1919 è molto più severa del Bollettino economico della Banca Commerciale Italiana. Secondo Keynes, il Trattato di Parigi rappresenta il trionfo del potere dispotico dei vincitori della prima guerra mondiale, a partire dalla Francia di Clemenceau. E afferma che Clemenceau per portare casa gli interessi della Francia ha ingoiato la costituzione della Società delle Nazioni voluta dal Presidente americano Roosvelt. Ma la Società delle Nazioni avrebbe contato ben poco.

Al termine dell’Introduzione del Bollettino economico del 1931 della Banca Commerciale Italiana troviamo la domanda cruciale che riguarda l’attuale crisi dell’Unione europea. “Quanto durerà la crisi? La domanda va rivolta agli uomini politici, non agli economisti e agli uomini d’affari”. Una cosa è certa: dagli attuali uomini politici dell’Unione europea non possiamo attenderci risposte credibili. Preghiamo Dio che ci mandi uomini politici europei in grado di darci una risposta credibile a questa domanda per un vero futuro all’Unione europea, all’altezza dei padri fondatori dell’Europa che erano dei profondi cristiani.

Giovanni Scanagatta
Professore di Politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”