Tra cristologia storica e simbolismo esistenziale: una critica a “Gesù e Cristo” (Vito Mancuso) di Giovanni Scanagatta

Dic 10, 2025 | Attualità, Riflessioni

TRA CRISTOLOGIA STORICA E SIMBOLISMO ESISTENZIALE: UNA CRITICA A “GESU’ E CRISTO” DI VITO MANCUSO

Giovanni Scanagatta*

Nel suo ultimo libro, Gesù e Cristo, Vito Mancuso riprende una distinzione che ha attraversato più di un secolo di ricerca biblica e teologica: quella tra il Gesù storico e il Cristo della fede. L’autore non si limita a descrivere la tensione, ma vi costruisce sopra un’intera architettura teologica, restituendo al “Cristo” un valore prevalentemente simbolico e all’etica di Gesù la centralità normativa dell’esperienza cristiana. Proprio questa operazione, alquanto spiazzante, merita un’analisi critica.

  1. Gesù senza kerygma? Il limite di un’eccessiva polarizzazione

Mancuso adotta una separazione netta tra Gesù e Cristo, presentando il primo come maestro etico e il secondo come elaborazione teologica della comunità credente. Questa impostazione sembra derivare da una linea esegetica analizzata da autori come Bultmann, ma Mancuso la radicalizza ulteriormente sottraendo quasi del tutto a Gesù qualsiasi dimensione escatologica.

Il problema, sul piano teologico, è duplice:

  • elimina la continuità tra evento Gesù e proclamazione apostolica, continuità che la maggior parte della ricerca non riduce a una mera invenzione post-pasquale;
  • rende difficile spiegare perché una figura considerata solo come maestro morale abbia generato una tradizione cristologica così forte e immediata.

Il rischio è di ricadere in un nuovo Gesù liberale, eticizzato, modellato sull’orizzonte antropologico dell’autore.

  1. Una cristologia “bassa” che fatica a reggere la struttura del Nuovo Testamento

L’interpretazione del Cristo come “principio simbolico dell’unità dell’essere” permette a Mancuso di proporre una visione inclusiva e universalista, coerente con la sua filosofia della coesione. Tuttavia, da un punto di vista cristologico, questa lettura presenta almeno tre criticità:

  1. Evidente distanza dal dato neotestamentario:
    Le cristologie presenti in Filippesi 2, Colossesi 1, Giovanni 1 e nel corpus paolino non possono essere facilmente ridotte a un’elaborazione simbolica della comunità. La maggior parte degli studiosi rileva che già le prime formulazioni cristiane sono fortemente elevate.
  2. Problema della mediazione salvifica:
    Se Cristo diventa simbolo, la domanda rimane senza fondamento ontologico. Che cosa significa “salvare” in un sistema dove non esiste un’azione reale di Dio nella storia, ma solo un simbolo ispiratore?
  3. Perdita del nesso pasquale:
    La risurrezione viene interpretata come passaggio simbolico e non come evento. Questo svuota la logica interna del cristianesimo primitivo, che trova nella Pasqua non un archetipo esistenziale, ma un fatto fondativo.

  1. Antropologia teologica: forza o cedimento?

Uno dei contributi più noti del pensiero di Mancuso è la sua antropologia spirituale, centrata sul concetto di libertà e sull’idea di un universo orientato verso la coesione. Nel libro, questa visione sincretista diventa la chiave per reinterpretare Cristo come “forma suprema dell’umanizzazione”.

La prospettiva solleva questioni teologiche importanti:

  • teleologia cosmica non dimostrata: la concezione evolutiva dell’essere verso l’armonia non trova un fondamento né nelle Scritture né in una teologia della creazione classica;
  • insufficiente distinzione tra ordine naturale e soprannaturale: Mancuso rifiuta la trascendenza ontologica del Logos, ma mantiene un linguaggio spirituale che sembra richiedere proprio ciò che teologicamente esclude;
  • riduzione del mistero cristiano al paradigma etico: l’esperienza sacramentale, ecclesiale ed escatologica risulta marginale, come se la dimensione morale potesse esaurire l’intera esperienza cristiana.
  1. Ecclesiologia implicita: l’assenza problematica

La posizione di Mancuso implica un modello di Chiesa radicalmente decentrato rispetto alla tradizione: comunità etica, non corpo di Cristo; luogo di ricerca spirituale, non spazio sacramentale della presenza. Questa impostazione risulta teologicamente problematica:

  • contraddice la struttura sacramentale della fede cristiana, basilare in tutte le confessioni storiche (non solo cattolica);
  • svuota di significato la nozione di Tradizione come trasmissione vivente dell’esperienza apostolica;
  • rende superflua l’istituzione ecclesiale, ridotta a “facilitatore morale”.

Il risultato è una cristologia che regge solo in una Chiesa che non è più Chiesa.

  1. Conclusione

Gesù e Cristo di Mancuso è un testo provocatorio e molto discutibile sul piano teologico. In Mancuso il linguaggio religioso tradizionale sembra diventare opaco. Dal punto di vista teologico, il suo progetto presenta limiti sostanziali:

  • riduce la cristologia a un’antropologia spirituale,
  • indebolisce la dimensione ontologica del Cristo,
  • sottrae alla Pasqua il suo carattere di evento,
  • e propone un cristianesimo senza vera ecclesiologia.

Il risultato è un sistema difficilmente compatibile con il cristianesimo storico nelle sue forme bibliche, patristiche e conciliari.

Un libro, in definitiva, che lascia aperta la domanda decisiva:
“se Cristo è solo simbolo, cosa resta del Cristianesimo come evento”? La risposta è una sola: “la vera Fede non può separare la figura e il messaggio di Gesù di Nazareth dalla realtà del cristianesimo nei suoi duemila anni di storia”.

*Professore di Politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”