Seminario “Il Lavoro: un’opera di Misericordia” Giovedì 28 aprile alle 17.30
Problemi e prospettive del lavoro.
Come imprenditori cattolici, che seguono i principi e i valori della Dottrina Sociale della Chiesa, crediamo fortemente in un’economia basata sulla centralità della persona, con una forte dimensione sociale a servizio dell’uomo.
La cosa più importante da fare è ricreare le condizioni di sviluppo per far ripartire il Paese e ridare fiducia ai giovani, promuovendo concrete politiche per facilitare il loro inserimento nel mondo del lavoro; e per fare questo bisogna ritornare a un’etica del lavoro e del “fare impresa” basata su principi condivisi e valori comuni, perché solo così ci può essere crescita e sviluppo per l’intera società.
E’ evidente nel nostro Paese la scollatura fra la scuola ed il mondo del lavoro. Occorre pertanto che si instauri sia un collegamento diretto tra Università e scuole secondarie, in modo da favorire scelte consapevoli in merito a prospettive e aspettative occupazionali, sia costruire un legame forte ed efficace tra l’ Università e l’ impresa, di modo che le facoltà formino i ragazzi sulla base delle esigenze delle aziende. E’ questo il problema perché per cogliere le opportunità offerte dal progresso tecnico in termini di sviluppo bisogna avere un capitale umano formato ai più alti livelli. Ci ha pensato, per la verità, un po’ il provvedimento sulla “Buona Scuola” che prevede l’obbligo dell’alternanza scuola-lavoro, con 400 ore per gli istituti tecnici e professionali e 200 ore per i licei. Purtroppo l’attuazione del provvedimento è partito a due velocità, con gli istituiti tecnici che incontrano meno difficoltà ed i licei con molte difficoltà, inventandosi modelli applicativi che non sono una vera alternanza.
C’è la grande difficoltà di trovare un “tutor” in azienda che segua gli studenti e renda fruttuosa l’alternanza. Ma in questo caso la legge non prevede alcun incentivo per il tutor, e alcune associazioni di categoria lo stanno facendo in via privatistica coinvolgendo le imprese aderenti che non sanno neppure che per partecipare al progetto, bisogna iscriversi in una sezione speciale della camera di commercio (a Roma ne sono iscritte solo 2). Forse sarebbe più efficace mantenere tale alternanza solo per gli istituti tecnici e invece per i licei diminuire gli anni di studio da 5 a 4 anni (come avviene nei principali Paesi europei), recuperando l’anno prevedendo un’ esperienza in azienda durante il periodo universitario, quando, essendo lo studente più maturo, anche l’azienda è maggiormente incentivata a formarlo affiancandolo a risorse interne.
Sull’alternanza scuola-lavoro siamo fortemente in ritardo: in Italia solo il 4% degli studenti è interessato, contro una media europea del 13% e un valore della Germania superiore al 20%.
Per un giovane la prospettiva di lavoro fa parte integrante della sua vita e della sua crescita, gli permette un rapporto sano e indipendente dalla famiglia d’origine, ne aumenta l’autostima e diviene una condizione indispensabile per poter progettare il proprio futuro; la possibilità di avere un’occupazione aiuta i giovani a sentirsi parte integrante e attiva della società in cui vivono.
Al contrario oggi un giovane su quattro si è rassegnato a non costruire il proprio futuro, non studia, non lavora e non cerca nemmeno un impiego. È necessario quindi guardare al futuro costruendo nuove opportunità per i giovani.
Negli ultimi giorni si è tornato a parlare di flessibilità in uscita per l’accesso alla pensione anticipata, in modo da fare spazio ai giovani nel mondo del lavoro; o ancora con il recente decreto sul part time previsto dalla legge di Stabilità che consente ai lavoratori dipendenti del settore privato che sono a non più di tre anni dal raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia di fare un accordo con il datore di lavoro per passare dal regime a tempo pieno a un orario parziale (dal 40 al 60% di quello normale) prendendo però una retribuzione pari a circa i due terzi di quella ordinaria e non subendo danni sulla pensione futura a causa del mancato pagamento dei contributi all’Inps, perché sarà lo Stato a farsene carico. Tali provvedimenti potrebbero aprire spazi all’assunzione di giovani, anche se non c’è alcun obbligo in tal senso per le aziende. Si stima che 20.000 lavoratori potrebbero essere interessati all’ opzione part time. In alternativa, si potrebbe pensare ad un meccanismo diverso, quello della staffetta generazionale. Pratica peraltro già utilizzata soprattutto dal mondo bancario (Unicredit, MPS, Intesa, BCC, etc.), dalla Fiat, dalla Ferrari, dalla Nestlè, dalla Coca Cola, dalle Ferrovie, dalle Poste, etc. Certo questo tipo di alternanza potrebbe far indignare più di un illustre accademico, politico o letterato o come diceva Pietro Ichino essa rappresenta una “tipica manifestazione del regime di job property che caratterizza il nostro Paese. Poiché il posto di lavoro è oggetto di diritto di proprietà, pare giusto che lo si possa lasciare in eredità a un figlio o nipote”. A mio avviso, oggi la questione è superata con l’introduzione del “jobs act”. In passato i tentativi di staffetta generazionale fatti da Marini, Treu, Damiano non hanno avuto esiti particolarmente positivi perché si incentivava l’uscita dall’azienda del lavoratore senior con
l’immissione in azienda di un parente non pensando che facendo ciò gli introiti che rappresentavano il sostentamento per tutta la famiglia venivano sostituiti solo parzialmente da quelli del giovane lavoratore.
Partendo dalle parole di Papa Francesco “senza lavoro non c’è dignità” e non c’è dignità per tutti, sia ricchi che poveri, e dalle dichiarazioni della scorsa settimana fatte dal sottosegretario alla presidenza, Tommaso Nannicini, che sostiene che “la flessibilità costerebbe troppo, ed è preferibile parlare di un mix di interventi per platee limitate di lavoratori”, l’idea che vorremmo proporre è quella della staffetta generazionale parzialmente riservata ai soli dirigenti. L’alternanza tra padri e figli sarà proposta dall’azienda ai dirigenti, per il 50% delle assunzioni, riservando l’altro 50% ad altri giovani
senza alcun rapporto di parentela con il dirigente in uscita. Più precisamente le aziende possono proporre ai loro dirigenti che sono a 5 anni dalla pensione e che hanno un reddito annuale di oltre € 150.000,00 di subire una decurtazione del 10% dal proprio reddito (tra i 100.000 e i 200.000 euro di retribuzione lorda annua i dipendenti sono 339.217, sopra i 200.000 euro lordi sono 106.356; dati Istat 2014), in cambio dell’ingresso nell’organico di un figlio o di un parente, sempre che il giovane da assumere possieda i requisiti richiesti dall’azienda. Si recupererebbero tra € 18/20.000,00 annui per lavoratore. Tale importo verrebbe utilizzato dall’azienda (aziende che possono permettersi retribuzioni così elevate sono aziende medio/grandi) per assumere il giovane indicato dal lavoratore (sgravi della
contribuzione per i primi 5 anni per chi assume giovani). Dal 5 anno se il giovane non è capace, non necessario o altro motivo, l’azienda può procedere con il suo licenziamento – per fatti gravi o imprevisti anche prima dei 5 anni – come d’altronde avviene per qualsiasi altra azienda (jobs act).
Quale lavoratore tra i 60/62 anni che ha un ottimo stipendio, che probabilmente è già proprietario di casa/case e che ha già ammortizzato le spese importanti non rinuncerebbe ad una piccola fetta della sua retribuzione (10%) per dare lavoro al figlio o ad un parente da lui indicato. Quale azienda si priverebbe di un giovane lavoratore su cui puntare per i prossimi anni a costo zero, senza dover rinunciare all’ esperienza/capacità del lavoratore senior. Tale manovra potrebbe creare tra 180/200.000 posti di lavoro, ridurrebbe il peso pensionistico all’ INPS, potrebbe essere realmente da stimolo all’economia perché si rimetterebbero in circolo quei capitali che vengono utilizzati prevalentemente per
investimenti tradizionali e non produttivi (BTP/CCT/BTPI, etc.).