Mettiamo a disposizione qui di seguito l’intervento del cardinal Angelo Comastri lo scorso 25 febbraio, in occasione dell’incontro del Comitato tecnico-scientifico dell’Ucid.
1) Mi sembra utile una premessa. La principale causa dello sbandamento dell’attuale società sta nei modelli sbagliati, ai quali la gente e soprattutto i giovani guardano per sognare la vita. E mi spiego. Un tempo si guardava ai santi per prendere ispirazione nella vita e dai Santi si imparava l’onestà, la fedeltà, la generosità, la passione per l’educazione dei figli, lo spirito di sacrificio che è necessario per affrontare le prove inevitabili della vita, la limpidezza dei sentimenti, la lealtà e l’impegno per costruire e ricostruire continuamente la pace (nella famiglia, tra le famiglie e nell’intera città): e questi valori sono indispensabili per formare una società veramente degna dell’uomo. Permettetemi una confidenza. Nel 1950 avevo sette anni, ma ricordo benissimo la partenza, nel cuore della notte tra il 23 e il 24 giugno, di un pullman scassato (eravamo nel dopoguerra) che portava a Roma 50 giovani del mio paese (ragazzi e ragazze) che andavano a partecipare alla canonizzazione di Maria Goretti in Piazza San Pietro. Partecipò una folla immensa di giovani. Perché? Perché si riconoscevano negli ideali per i quali Maria Goretti aveva dato la vita.
Oggi non sarebbe così. Leonardo Sciascia (1921 – 1989), celebre scrittore siciliano, negli anni ’70 esclamò: “Tutti parlano di evoluzionismo (e, forse, in un certo ambito è vero). Però, guardando all‟attuale società, io mi convinco che è sempre più vero l‟involuzionismo”. Aveva ragione. Infatti, la devozione ai santi esternamente è rimasta, ma è accaduto un fatto strano e preoccupante: i santi, oggi, non sono più i modelli dai quali si trae ispirazione per progettare la propria vita. Oggi i modelli sono le persone di successo. Non importa se tali persone sono vuote o frivole o corrotte: se sono persone di successo, automaticamente diventano “sogno, “mito”, “stella” o “star” (come abitualmente si dice). Vi confido, a conferma, un fatto che mi ha profondamente turbato. Alcuni mesi fa, in attesa del TG delle 20:00, mi sono fermato a guardare la parte finale di un gioco chiamato “L’eredità”. Erano in palio 42.000 euro e il conduttore si è permesso di dire allo sfidante: “È una bella sommetta! Se dovessi vincere (come ti auguro) cosa ci faresti?”. Lo sfidante ha risposto: “Vorrei realizzare il sogno della mia vita”. “E, qual è, se è lecito saperlo”. “Vorrei andare a Los Angeles per visitare la casa dove è vissuto Michael Jackson, vorrei respirare l‟aria che lui ha respirato e vorrei adorare il suo genio”. Vedo ancora il volto sorpreso del conduttore televisivo, che si è affrettato a concludere: “Ognuno ha i suoi gusti!”. Ho voluto raccontarvi questo episodio per farvi capire quanto sia pericoloso il momento che stiamo vivendo, soprattutto in rapporto ai giovani: infatti i modelli ai quali essi si ispirano … faranno il nostro futuro. Possiamo stare tranquilli? Giorgio La Pira, onesto e limpido sindaco di Firenze, un giorno disse: “Molti, per aggiustare il mondo, dicono che ci vorrebbe questo o quest‟altro! Sapete che cosa ci vorrebbe? Ci vorrebbero più santi e il mondo prenderebbe subito un volto più bello e più giusto per tutti”.
2) Torniamo a guardare ai santi se vogliamo alzare il livello di dignità della nostra società. Per questo vi propongo la vita di Giovanni Paolo II, per farvi toccare con mano quanto bene può fare una sola persona. E questo vale anche per ciascuno di noi, perché ognuno di noi ha una personale missione di bene da compiere. Lo ricordava spesso Madre Teresa di Calcutta. A tale proposito vi racconto un episodio illuminante. Nel 1980, stando accanto a Madre Teresa di Calcutta, ho assistito a una scena che ancora mi fa riflettere. Madre Teresa tornava da Oslo dove aveva appena ricevuto il premio Nobel per la Pace. Alcuni giornalisti la attesero davanti alla porta delle Missionarie della Carità a San Gregorio al Celio. Tante domande e, alla fine, un giornalista di lingua inglese disse a Madre Teresa: “Madre, mi permetta di essere impertinente: lei ha settant‟anni, ha faticato tanto, ma che cosa è cambiato nel mondo? Madre Teresa, si riposi, perché non ne vale la pena”. 4 Madre Teresa rimase serena e rispose: “Io non ho mai preteso di cambiare il mondo da sola: io cerco soltanto di essere una goccia di acqua pulita. Lo sia anche lei e saremo in due. È sposato?”. “Sì, sono sposato”. “Con sua moglie siate due gocce di acqua pulita”. “Ha dei figli?”. “Sì, ho tre figli”. “Lo insegni anche ai suoi figli … e saremo in sei. Più crescono le gocce di acqua pulita, più cresce la possibilità di rendere pulito il mare”. Giovanni Paolo II, usando un altro esempio, a Toronto disse ai giovani la stessa cosa: “Non siate come le lumache che lasciano dietro di sé soltanto un po‟ di bava, che la prima pioggia cancella. Lasciate un solco di bene, impiegate bene la vita, perché ognuno di voi è un investimento di Dio. Non deludete Dio, perché così facendo vi condannate alla tristezza e alla frustrazione”. Come aveva ragione! Paul Ricoer, un grande pensatore contemporaneo, ha osservato: “Oggi c‟è tanta inquietudine, perché molti la sera vanno a letto senza sapere perché si sono alzati. E il giorno dopo si alzano senza sapere perché. Questo non è vivere, ma soltanto vegetare: e non può produrre gioia”. Per molti, oggi la vita è come una sigaretta che si trasforma in cenere: non possiamo rassegnarci a questa deriva.
3) Giovanni Paolo II ha vissuto una vita intensa, guidata dal desiderio di lasciare nel mondo un solco di bene: e ci è riuscito. Nei giorni in cui la sua salma è rimasta esposta nella Basilica di San Pietro per l’ultimo saluto di una folla incontenibile, ho assistito a scene indimenticabili. Ne racconto due. Quando la venerata salma del Pontefice venne trasferita nella Basilica vaticana, iniziò un pellegrinaggio mondiale, che sembrava un abbraccio di affetto e di riconoscenza verso l’uomo che instancabilmente aveva camminato come pellegrino del Vangelo per le strade del mondo intero. Durante la prima notte, mentre la folla silenziosamente e lentamente passava davanti al Papa, mi sento chiamare da un uomo che si era avvicinato alle transenne collocate per delimitare lo spazio tra la folla e il feretro. Mi dice: “Padre, debbo inginocchiarmi davanti al Papa! Mi aiuti, mi faccia passare! La prego!”. Con gentilezza, ma anche con un po’ di fermezza rispondo: “Se apriamo le transenne, e finita! Cerchi di capire! La gente è tantissima. Non è possibile. Bisogna che vi accontentiate del solo passaggio”. L’uomo insiste, mi prende la mano e, quasi piangendo, mi ripete: “Debbo inginocchiarmi davanti al Papa. Debbo dirgli grazie. Io avevo perso la fede e mi ero totalmente allontanato dalla Chiesa. La fede di quell’uomo – e indicò il Papa – mi ha riportato alla fede”. Lascio passare l’uomo, il quale si inginocchia e prega: resto alle sue spalle e noto, dal sussulto, che sta piangendo in preda ad un’irrefrenabile emozione. Poi si alza, si allontana: ricordo il suo volto, ma non so chi sia; lo saprò in Cielo. Due giorni dopo. Continua il pellegrinaggio, anzi l’onda sembra che cresca di numero e di intensità. Un giovane, tra i venti e i venticinque anni, mi fa cenno che vuole parlarmi. Esito ad accostarmi, perché temo che anche lui voglia un’eccezione al necessario servizio d’ordine. Ma l’insistenza è tale che devo ascoltarlo. Quando sono accanto a lui, arrotola la 6 camicia fino a denudare tutto il braccio destro: scorgo in modo inequivocabile i segni lasciati da un uso ripetuto di siringa per droga. Il giovane mi sussurra piangendo: “Io sono vecchio, mentre quel vecchio era giovane! Me l‟ha fatto capire lui! Non chiedo di avvicinarmi. Gli baci i piedi per me: è il mio grazie!”. Evidentemente, con le lacrime agli occhi, ho compiuto la missione affidatami dal giovane sconosciuto: ho baciato i piedi e ho detto «grazie».
4) Chi era Giovanni Paolo II? Mi sembra doveroso sottolineare un fatto: Una decisione presa in gioventù ha orientato tutta la sua vita. Come è accaduto? Giovanni Paolo II ha conosciuto tante sfaccettature del dolore, ma non si è mai scoraggiato: ogni prova lo spingeva a credere di più e a spendere di più la propria vita per fare del bene. A 9 anni perde la mamma. Sentirà moltissimo la mancanza della mamma. Negli anni giovanili scrisse: “Mamma, sulla tua bianca tomba spuntano i fiori bianchi della primavera. Mamma, quanti anni sono spariti senza di te. Quanti anni, mamma!” Ma, ecco come vince la prova. La mancanza della mamma lo spingerà ad approfondire la missione della donna e della mamma (scriverà pagine bellissime!) e lo spingerà a sviluppare una devozione filiale e profonda verso la Madonna: e questa sarà una caratteristica inconfondibile di tutta la sua vita. A 12 anni muore l’unico fratello. E sentirà in modo acuto la mancanza del fratello, ma la supererà sviluppando un’intensa e fraterna rete di amicizie. … Voleva sempre qualcuno a tavola con sé e spesso chiedeva al Segretario: “Quante persone ci sono oggi a pranzo?”. Le prove per lui diventavano trampolino per nuovi orizzonti: perché era un uomo dalla fede forte come la roccia . Viene il 1941: Karol Wojtyla aveva 21 anni. Torna a casa dal lavoro in Fabbrica e trova il padre accasciato sul tavolo con accanto una tazza di tè che non era riuscito a bere. Era morto per infarto. Karol resta solo: non ha più un parente stretto. Si interroga: che devo fare della mia vita? Domanda fondamentale, che ogni giovane dovrebbe porsi. Erano gli anni drammatici della seconda guerra mondiale: Karol vede attorno a sé tanta crudeltà, tanto orrore. In Polonia muore il 20% della popolazione. Si chiede “Perché?”. E dà la sua risposta: “Gli uomini si sono allontanati da Gesù: l‟Europa è scristianizzata e non ha più né un volto né un cuore. Gesù, ti metto a disposizione la mia vita per aprirti strade nella storia degli uomini. Questo è il modo migliore per impegnare la mia vita”. Decisione formidabile, che dà un senso alla vita. E Karol Wojtyla sarà fedele a questa decisione presa in gioventù … per tutta la vita. Qui sta il meraviglioso della vita di quest’uomo. Passano gli anni. 16 ottobre 1978: viene eletto Papa e si affaccia alla loggia della facciata della Basilica di San Pietro. Vuole parlare e la sua voce riempie la piazza con un grido che esce dal cuore: “Sia lodato Gesù Cristo!”. Sono state le prime parole del suo pontificato, attraverso le quali egli ha confermato la decisione presa in gioventù: vivere per Gesù, vivere per aprirgli strade nella storia degli uomini… Con quel grido egli ha voluto dire che, anche da Papa, viveva la decisione presa in gioventù: aprire strade a Gesù! E il 22 ottobre successivo, nella prima Messa di inizio ufficiale del pontificato, con accenti decisi e convinti disse: “Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo. Egli solo è il Salvatore. Egli solo sa cosa c‟è nel cuore dell‟uomo: Lui solo lo sa!”. Questo è stato il programma del suo Pontificato. 2 – 10 giugno 1979: compie il primo viaggio in Polonia superando tantissime difficoltà. Celebra la Santa Messa in Piazza della Vittoria a Varsavia e grida: “Nessuna autorità in nessuna parte della terra ha il diritto di escludere Cristo dalla vita dei popoli. Chi lo fa, lo fa contro la dignità e contro la libertà dei popoli”. Sapete che cosa accadde? Tutti i giovani che erano in Piazza (erano più di 20.000) tirarono fuori il Crocifisso che tenevano nascosto per paura della polizia e lo alzarono per gridare la loro fede in Gesù. La fede di un solo uomo diede coraggio alla fede di oltre ventimila giovani. Che cosa può fare l’esempio! Pensate che cosa può fare un buon esempio!
5) 13 maggio 1981: due spari in Piazza San Pietro sembrano bloccare la storia e fermare l’entusiasmo di Giovanni Paolo II. Dieci anni dopo, ho avuto modo di parlare con Giovanni Paolo II a tu per tu. Ricordo che mi feci coraggio e gli chiesi: “Se non sono indiscreto … mi permetto di chiederle: come ha fatto a ritornare in Piazza San Pietro dopo l‟attentato? Io avrei avuto tanta paura!”. La sua risposta mi aprì un velo sulla grandezza della sua anima. Mi disse: “E lei crede che io non abbia avuto paura? Si ricordi che i coraggiosi non sono quelli che non hanno paura, ma sono quelli che, pur avendo paura, vanno avanti nell‟impegno e nella missione della vita. Dopo l‟attentato, mi hanno suggerito di portare un giubbotto anti-proiettile: non ho voluto perché la mia vita è nelle mani di Dio e sono pronto a donarla per la causa del Vangelo. Il 13 maggio, mentre una mano assassina sparava per uccidermi, io ho sentito una mano materna che mi fermava sulla soglia della morte. Da quel momento debbo ancora di più spendere la mia vita per il Signore … aggrappato alla mano di Maria”. E il 29 dicembre 1983 (due anni dopo l’attentato) Giovanni Paolo II volle incontrare l’uomo che gli aveva sparato. Volle restare solo con lui nella cella senza paura. E Alì Agca spudoratamente gli chiese: “Io avevo progettato tutto alla perfezione. Perché non sei morto?”. Giovanni Paolo II, senza esitazione, rispose: “Perché c‟è un potere superiore a quello della tua rivoltella: c‟è il potere di Dio e c‟è la mano materna di Maria”. Alì Agca scosse la testa e non capì. 10 E Giovanni Paolo II continuò a viaggiare per vivere coerentemente la vocazione di seminatore del Vangelo in mezzo a tutti i popoli e per il bene di tutti i popoli. La decisione presa in gioventù ha orientato tutta la sua vita. Com’è bello questo fatto! E quanto fa pensare! Ha fatto 104 viaggi internazionali visitando 129 nazioni: è stato San Paolo dei tempi moderni. L’attentato del 13 maggio 1981 lasciò tuttavia una ferita nella sua anima, ma non fermò il suo coraggio e la volontà di realizzare la sua missione. Nel Giugno 1982 (l’anno dopo l’attentato!), Giovanni Paolo II si reca in Argentina. Quando il Papa scende dall’aereo appena atterrato all’aeroporto di Buenos Aires e si inginocchia per baciare la terra, si sentono alcuni colpi di cannone sparati a salve. Il Papa ha un sussulto di paura, ma, poi, quando si rende conto di ciò che stava accadendo, si rivolge a Padre Roberto Tucci, che gli stava accanto e gli dice: “Padre, questa volta non sparano a me, Deo Gratias”. Giovanni Paolo II aveva destro di sé la ferita psicologica dell’attentato subito, ma tale ferita non l’ha fermato nel suo slancio missionario. Durante la preparazione di un viaggio in una nazione europea piuttosto ostile, i collaboratori consigliarono al Papa di rinunciare al viaggio perché erano prevedibili contestazioni e umiliazioni. Il Papa ascoltò in silenzio e poi rispose: “Se gli Apostoli, prima di lasciare Gerusalemme avessero considerato tutti i rischi a cui andavano incontro, 11 non sarebbero mai partiti. Io non devo avere paura delle difficoltà e neppure delle umiliazioni: per Cristo, devo essere pronto a dare la vita”. E aggiunse: “Le ragioni che voi mi portate, sono ragioni per andare e non per non andare. E io andrò”. E così fece.
6) Il coraggio della fede è stato la caratteristica della sua vita. Giovanni Paolo II ha avuto il coraggio di annunciare Cristo in una Europa scristianizzata e quindi svuotata di ogni senso alto della vita. Egli conosceva bene l’affermazione del filosofo tedesco Martino Heidegger (1974) che negli anni ’70 esclamò: “Nessuna epoca ha saputo meno della nostra che cosa sia l‟uomo!”. Che triste primato! E conosceva ugualmente l’allarme lanciato da Hans Jonas (1993) che giustamente disse: “Io tremo davanti a questa situazione: oggi il massimo potere si unisce al massimo vuoto spirituale. È una situazione pericolosissima”. Giovanni Paolo II lesse con profondo dolore l’affermazione di un noto giornalista italiano, che nell’occasione del Giubileo del 2000, con sarcasmo disse: “Io non credo che il ruolo della specie alla quale appartengo sia superiore a quello delle api o delle formiche o dei passerotti”. Parole terribili che aprono la giustificazione ad ogni violenza: infatti, perché rispettare l’uomo, se vale quanto una formica? Giovanni Paolo II conosceva bene anche il giudizio che Gandhi espresse sull’Europa nel 1930 dopo un viaggio nel nostro Continente. Disse: “L‟Europa non rappresenta più né Cristo, né il cristianesimo. In Europa, in verità, adorano il denaro e non Dio!”. Sono parole amare, ma in parte sono vere. Per questo motivo, Giovanni Paolo II nell’Esortazione Apostolica “Ecclesia in Europa” scrisse con lucida onestà: “In Europa è evidente lo smarrimento della memoria e dell‟eredità cristiana … per cui molti europei danno l‟impressione di vivere senza retroterra spirituale e come degli eredi che hanno dilapidato il patrimonio loro consegnato dalla storia”. Il benessere e i divertimenti cercano di colmare questo vuoto spirituale, ma è una illusione. Nel 1970 il giornalista e scrittore Mario Soldati fece un viaggio in Svezia con l’intenzione di cantare il “paradiso svedese”. Il libro che uscì aveva un titolo ben diverso e suonava così: “I disperati del benessere”. E lo scrittore Pietro Citati recentemente ha affermato: “L‟ansia, l‟inquietudine, il mal di vivere è la caratteristica di tutte le società che hanno raggiunto un elevato livello di benessere”. Ed è così. E un sociologo recentemente ha aggiunto: “Mentre cresce il benessere, cresce anche l‟uso di tranquillanti”. Ciò dimostra che il benessere non può riempire il vuoto del cuore umano: Dio è indispensabile ed è insostituibile. Questa situazione spinse Giovanni Paolo II a farsi pellegrino in quasi tutte le nazioni europee per scuotere l’indifferenza e riaccendere il fuoco cristiano. Egli lanciò la “Nuova Evangelizzazione” che è una spinta missionaria che ancora continua: e di questo dobbiamo essergli profondamente grati. La crisi sociale odierna ha una radice nel vuoto spirituale: Giovanni Paolo II lo capì per primo e si spese generosamente per scuotere le coscienze: la sua lezione è attualissima. Giovanni Paolo II ebbe il coraggio di difendere la famiglia in un’epoca di smarrimento del senso e della missione della famiglia. Il poeta Eugenio Montale, in occasione del 25° anniversario dell’esplosione della prima bomba atomica, disse: “È giusto ricordare questo drammatico avvenimento, affinché non si ripeta mai più. Però, attenti bene! Sta esplodendo un‟altra bomba e sta esplodendo dentro la famiglia e farà più vittime delle due bombe atomiche”. Per questo motivo Giovanni Paolo II difese la famiglia e confidò che, dopo la sua morte, voleva essere ricordato come il “Papa della famiglia”. E così l’ha definito Papa Francesco il giorno della Canonizzazione. E, nel libro delle sue memorie, confidò che la famiglia era stata per lui la prima scuola di vita e di fede. E il ricordo più bello della sua giovinezza era il ricordo di suo padre in ginocchio nella Chiesa parrocchiale e spesso in ginocchio accanto al letto durante le ore della notte per pregare per il figlio. Come è bello questo ricordo! Fëdor Dostoevskij ha detto: “Educare significa lasciare buoni ricordi ai figli. Questi ricordi, al momento opportuno, si accenderanno come lampade e illumineranno il cammino”. Oggi, tanti figli, quali ricordi hanno della loro famiglia? Massimo D’Azeglio acutamente ha osservato: “Siamo tutti fatti di una stoffa nella quale le prime pieghe restano per sempre”. Quali pieghe ricevono i figli nelle loro famiglie? A titolo di testimonianza, vi confido lo sfogo di un figlio al quale è mancato il calore e la luce di una vera famiglia. Un giovane detenuto, durante una visita al Carcere di Regina Coeli, in occasione del Natale del 1970, mi consegnò un foglio nel quale aveva sfogato la pena della sua anima. Ecco il testo: “Tra pochi giorni è Natale! È la festa della famiglia, ma non è la mia festa, perché io non ho mai avuto una famiglia. Sono figlio di una prostituta e non conosco mio padre: talvolta mi sembra di essere nato senza genitori. Chi sono? E non riesco a trovare neppure le poche parole che riempiono la carta d‟identità di ogni uomo normale: per me, figlio di N.N. Signore, a volte dubito anche di te, del cielo: di tutto! Mi dà fastidio sperare perché mi sembra un atto vile e indegno dell‟ingiustizia che sto soffrendo. Talvolta urlo e invoco ciò che la vita mi ha tolto violentemente; e vorrei, come un pazzo, correre per le strade almeno per vedere le mamme. Vorrei incantarmi guardandole mentre baciano i loro figli e poi guardare i loro figli per intuire cosa provano in quei beati momenti che per me non potranno mai esistere. Ho bisogno di una mamma, di una carezza, di una dolce voce che mi chiami „figlio‟! O Signore, ascolta il mio pianto. Tu hai avuto la fortuna di avere anche una mamma, una mamma fatta su misura per te. A me ne bastava una qualsiasi, una modesta, povera, semplice. Ma per me no, neanche così. Mamma! Mamma del Signore, mi vuoi bene almeno tu?Anche se sono un pezzente? Mamma di Gesù, se dici di sì, baciami questa sera, quando mi addormenterò e portami in cielo con te. Fallo tranquillamente! Non danneggerai nessuno e nessuno piangerà. Perché io non esisto”. Questo giovane due anni dopo si è suicidato impiccandosi. Giovanni Paolo II ha difeso la famiglia per impedire queste lacrime e questa disperazione. Giovanni Paolo II ha avuto il coraggio di difendere la pace quando soffiavano cupi venti di guerra in Irak: rimase solo, drammaticamente solo, ma continuò a gridare che la guerra non risolve i problemi, ma li moltiplica. Giovanni Paolo II, in quella occasione, rivelò un coraggio degno di un profeta. Chi può dimenticare le parole accorate contro la guerra pronunciate nell’Angelus del 16 marzo 2003? Se lo avessero ascoltato, oggi la situazione in Medio Oriente sarebbe sicuramente meno esplosiva. Giovanni Paolo II ha avuto il coraggio di difendere la vita contro ogni forma di aggressione; ha avuto il coraggio di affrontare l’inverno mariano e ha rilanciato una robusta e profonda devozione alla Madonna; ha avuto il coraggio di vivere fino in fondo la lunga stagione della malattia spendendosi fino all’ultima briciola delle sue forze. Mercoledì 30 marzo 2005: nonostante fosse gravemente ammalato, alle ore 12 volle essere accompagnato alla finestra per benedire la gente che attendeva. Disse: “La gente aspetta e io non voglio deluderla”. Meraviglioso esempio! Benedetto XVI disse di lui: “Con la sua testimonianza di fede, di amore e di coraggio apostolico, accompagnata da una grande carica umana, questo esemplare figlio della nazione polacca ha aiutato i cristiani di tutto il mondo a non avere paura di dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa, di parlare del Vangelo. In una parola: ci ha aiutato a non avere paura della verità, perché la verità è garanzia della libertà. Ancora più in sintesi: ci ha ridato la forza di credere in Cristo, perché Cristo è Redemptor hominis, Redentore dell’uomo: il tema della sua prima enciclica e il filo conduttore di tutte le altre. L’esempio della sua preghiera mi ha sempre colpito ed edificato: egli si immergeva nell’incontro con Dio, pur in mezzo alle molteplici incombenze del suo ministero. E poi la sua testimonianza nella sofferenza: il Signore lo ha spogliato pian piano di tutto, ma egli è rimasto sempre una “roccia”, come Cristo lo ha voluto. La sua profonda umiltà, radicata nell’intima unione con Cristo, gli ha permesso di continuare a guidare la Chiesa e a dare al mondo un messaggio ancora più eloquente proprio nel tempo in cui le forze fisiche gli venivano meno. Così egli ha realizzato in modo 17 straordinario la vocazione di ogni sacerdote e vescovo: diventare un tutt’uno con quel Gesù, che quotidianamente il sacerdote riceve e offre nella Messa. Beato te, amato papa Giovanni Paolo II, perché hai creduto! Continua – ti preghiamo – a sostenere dal Cielo la fede del popolo di Dio”.