di Giovanni Scanagatta, segretario generale Ucid
Il dollaro svolge attualmente, a livello di economia globale, il triplice ruolo di mezzo intermediario degli scambi, di fondo di valore, di domanda di moneta per scopi precauzionali. Si tratta dei tre classici scopi della domanda di moneta che dipende dal reddito e dagli scambi internazionali, dalla ricchezza e dal tasso di interesse.
Il livello delle riserve in dollari in mano a grandi Paesi come la Cina e la Russia, ma in generale di tutti i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) conferma l’attuale situazione di predominanza del dollaro come moneta degli scambi internazionali e valuta di riserva. Le cose stanno tuttavia cambiando e si profilano scenari nuovi, alla luce del peso crescente che i Paesi globalizzati (soprattutto i BRICS) hanno sul commercio mondiale e sugli investimenti diretti esteri (IDE). Naturalmente questo viene spiegato dagli elevatissimi tassi di crescita che hanno mostrato i paesi globalizzati negli ultimi trent’anni, con modelli di sviluppo trainati dalle esportazioni. In questi Paesi è cresciuta molto anche la ricchezza (reale e finanziaria), in funzione della differenza positiva tra i tassi di crescita reale delle economie e dei tassi reali di interesse, nonché della propensione media al risparmio. Se ci riferiamo alla Cina, che attualmente ha 1,357 miliardi di persone ( 667,1 milioni nel 1960), e supponiamo un tasso di crescita reale annuo del 10%, un tasso di interesse reale del 3%, una propensione media al risparmio del 20%, dopo 25 anni otteniamo una ricchezza superiore a 150 mila miliardi di dollari, rispetto ad un reddito attuale d circa 12 mila miliardi.
Ma i fattori che sono alla base della domanda di dollari per gli scambi internazionali e per gli altri scopi, stanno cambiando e tenderanno per questo ad imporsi sempre di più nuove monete. Nasce, di conseguenza, la necessità di cambiare le regole delle principali istituzioni monetarie e finanziarie internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale. Più precisamente, si tratta della necessità di cambiare la composizione della moneta del FMI che è rappresentata dai Diritti Speciali di Prelievo (DSP), una moneta-paniere che vede un peso di circa l’80% del dollaro e dell’euro. Il restante 20% è rappresentato dalla sterlina e dallo yen.
Con la crescita delle esportazioni cinesi, l’internazionalizzazione dello yuan ha rimpiazzato sempre più il dollaro negli scambi internazionali. La quota del commercio cinese denominata in yuan dovrebbe passare dal 25% attuale al 50% nei prossimi cinque anni. La valuta cinese è già al quinto posto nelle transazioni globali.
Quattro anni fa, soltanto 900 banche internazionali operavano in yuan, oggi sono più di 10 mila. Si prevede che nel 2020 lo yuan, per una somma di circa 500 miliardi dollari, farà parte delle riserve valutarie delle diverse banche centrali del mondo. Entro la fine dell’anno, lo scontro sulla riforma delle quote del FMI e sulla partecipazione cinese nei DSP dovrebbe essere conclusa positivamente. Si tenga presente che negli ultimi cinque anni lo yuan si è apprezzato del 10% rispetto al dollaro, senza cadere in balia della speculazione internazionale. Contrariamente a tutte le previsioni, dal 2007 le importazioni cinesi dagli USA sono raddoppiate.
In attesa di una nuova Bretton Woods, Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa (BRICS) hanno stipulato un accordo che anticipa una possibile nuova Bretton Woods mondiale , con un fondo di 100 miliardi di dollari. Di questi, 41 li verserà la Cina e 18 miliardi a testa la Russia e l’India. Il fondo dovrebbe servire a risolvere eventuali problemi relativi alle bilance dei pagamenti e a sostenere le valute in caso di attacchi speculativi. La Russia, che ha assunto la presidenza dei BRICS dall’inizio di aprile, è evidentemente molto interessata a questa iniziativa di cui è stata la principale promotrice, in relazione a quello che è successo al prezzo del petrolio e al cambio del rublo.
Il gioco sembra adesso passato in campo europeo. L’Unione Europea è in ritardo su molte riforme strutturali. Pensiamo all’Italia, dove il Governo si sta impegnando con non poche difficoltà per portare avanti le riforme sui diversi campi e che sono la causa della notevole distanza tra il nostro tasso di crescita potenziale e quello effettivo.
La recente decisione di alcuni Paesi Europei, tra cui l’Italia e l’Inghilterra, di partecipare al capitale dell’Asian Infrastructure Investments Bank (AIIB), appare un segnale importante di indipendenza e di iniziativa rispetto agli Stati Uniti d’America. Dopo settant’anni di Bretton Woods, è arrivato il momento del risveglio europeo da un lungo letargo. Non si tratta di abbandonare i cugini americani in mezzo all’Atlantico, ma di aiutarli ad uscire da una difficile situazione di unilateralismo e di egemonia del dollaro, destinata a tramontare di fronte all’avanzare di un nuovo gruppo di Paesi sulla scena mondiale, con una popolazione di 3 miliardi di persone.