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Papa Francesco chiama i laici a una maggiore responsabilità

di Giovani Scanagatta, segretario nazionale Ucid

L’Intervento di Papa Francesco all’Assemblea dei Vescovi di lunedì scorso riveste un’importanza storica per il ruolo che i laici devono avere nella Chiesa e nella Società. Due i messaggi fondamentali: primo bisogna fare spazio ai laici più capaci e con una formazione autenticamente cristiana; secondo, i Vescovi devono fare un passo indietro e lasciare spazio ai laici migliori che si devono occupare delle cose sociali, economiche, legislative e politiche. Il Vescovo deve invece preoccuparsi di fare il Pastore di anime.

Ma ecco le parole di Papa Francesco: “ In realtà, i laici che hanno una formazione cristiana autentica, non dovrebbero aver bisogno del Vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo! Hanno invece tutti la necessità di in Vescovo Pastore! Si nota in alcune parti del mondo un diffuso indebolimento della collegialità, sia nella determinazione dei piani pastorali, sia nella condivisione degli impegni programmatici economico-finanziari. Manca l’abitudine di verificare la recezione di programmi e l’attuazione dei progetti, ad esempio, si organizza un convegno o un evento che, mettendo in evidenza le solite voci, narcotizza le Comunità, omologando scelte, opinioni e persone. Invece di lasciarci trasportare verso quegli orizzonti dove lo Spirito Santo ci chiede di andare”. Facendo riferimento al grande mondo del movimenti e delle associazioni laicali, si nota un calo pericoloso del senso di unità e di coesione, pur nel rispetto delle singole vocazioni. Ognuno coltiva il suo orticello secondo una logica di assoluta autoreferenzialità, che è esattamente il contrario di quello che dice Papa Francesco nella Evangelii gaudium quando si aspetta una “Chiesa in uscita”. I movimenti e le associazioni sono sempre più chiusi in se stessi e manifestano scarsa autonomia decisionale nelle cose che loro competono rispetto alla gerarchia ecclesiastica, come ci dice Papa Francesco.

Solo qualche numero. Nel 1959, l’Azione Cattolica Italiana contava 3,3 milioni di iscritti; oggi ne conta 300mila. I movimenti e le associazioni laicali aderenti alla CNAL (Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali) sono una settantina, con diversi orientamenti sul piano spirituale e della preghiera che si affiancano agli orientamenti più di carattere sociale con specifico riferimento alla Dottrina Sociale della Chiesa. Ci sono poi le Consulte Regionali delle Aggregazioni Laicali (CRAL) e quelle Diocesane (CDAL) che dovrebbero svolgere l’azione di propulsione e di sviluppo del territorio secondo i grandi principi della solidarietà e della sussidiarietà, ma i risultati sono molto deludenti, fatta eccezione per qualche caso sporadico. Le scuole di formazione sociale e politica sono praticamente sparite. Tutto questo ha aperto la strada ad un cortocircuito tra politica e gerarchia ecclesiastica, perché i cattolici sparsi nelle diverse formazioni politiche hanno mostrato la loro insignificanza, non potendo svolgere minimamente quella funzione di lievito e di sale che ci si aspettava.

La ricerca, negli ultimi anni, da parte dei movimenti e delle associazioni, dell’unità pur nella varietà ha dato risultati inconcludenti e ci si chiede se non sia opportuna, come auspicato da alcuni Vescovi, un’azione incisiva della CEI con un efficace indirizzo unitario attraverso gli statuti di tutte le aggregazioni laicali.

Dobbiamo ritornare all’antico spirito di grande unità che animava l’Azione Cattolica fin dalla sua nascita ad opera di uomini illuminatati come Giuseppe Toniolo, fino ad arrivare agli anni sessanta. Il laici devono assolutamente riprendersi, come afferma energicamente Papa Francesco, il loro spazio, con entusiasmo e con impegno nella formazione e nella catechesi, nella discussione e nell’impegno concreto del nostro vivere nella società sul piano sociale, economico e politico.

I cattolici non possono continuare a rimanere nel loro recinto se veramente si vuole inaugurare in Italia una nuova stagione di sviluppo per la diffusione del bene comune, soprattutto per le giovani generazioni che stanno pagando il prezzo più alto della crisi strutturale che stiamo vivendo. Abbiamo poco tempo, ma se valorizziamo in pieno la straordinaria rete delle Diocesi è possibile cogliere l’obiettivo. Lo spirito dovrebbe essere quello di laici non semplici e passivi collaboratori della Chiesa, ma intraprendenti corresponsabili del destino del popolo di Dio. Ne trarrebbe grande giovamento la Chiesa stessa, che non si troverebbe più esposta direttamente, soprattutto sui diritti non negoziabili, perché ci sarebbero i laici cristiani a difendere con energia tali diritti secondo l’etica cristiana e l’insegnamento evangelico.

Queste visioni e speranze non si inventano sull’onda della cronaca spettacolarizzata, ma si nutrono di interiorità e spiritualità lungamente coltivate e accuratamente custodite.

La società italiana non può non confrontarsi con un mondo cambiato, che non concede rendite di posizione. Al tempo stesso, la politica deve assicurare la prospettiva di un rinnovamento profondo che coltivi la speranza, andando incontro alle attese delle giovani generazioni.

 

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