Viviamo nell’era dei Social. Momenti di vita, sentimenti, capacità professionali, tutto è in una vetrina virtuale in nome di un fenomeno comunicativo esploso in pochissimi anni che oggi sta “implodendo” rivelando derive e conseguenze insospettate e impreviste.
«Diritti umani e organizzazione sociale. Il ruolo dei media nell’era dei social: fra paladino della verità e fake news» sarà il tema della riflessione proposta dall’Ucid Padova, venerdì 22 febbraio alla Fondazione OIC Nazareth (ore 21.15, ingresso libero).
Relatore dell’incontro, il giornalista Ario Gervasutti, capo redattore centrale del Gazzettino, un professionista dell’informazione e della comunicazione che sulla base della propria esperienza quotidiana articola una profonda e grave riflessione sull’attuale ruolo dei media.
«La questione è epocale – esordisce Gervasutti –. Oggi come mai nella storia, la gente possiede i maggiori strumenti disponibili di conoscenza e informazione, e quindi di democrazia. Ma se questi strumenti dovrebbero consentire una elevazione delle categorie sociali, essi a causa del loro cattivo utilizzo, stanno invece clamorosamente e inaspettatamente ampliando la forbice. Ci troviamo dinanzi ad una massa di persone in grado di comunicare e di informarsi, ma che clamorosamente non lo fa. Fino a 50 anni fa vi erano due categorie sociali: una élite che studiava, leggeva libri e giornali, aveva la Tv, e una maggioranza di persone che non aveva accesso ai mezzi di informazione. Nel mezzo vi era una classe intermedia, quella borghese, che tendeva a seguire la classe elitaria. Per cui i genitori facevano studiare i figli, leggevano i giornali, utilizzavano i mezzi di comunicazione per meglio conoscere il mondo. Ora, improvvisamente, in virtù dei nuovi strumenti a disposizione si riapre la forbice: una gran parte della classe media si illude di potersi formare ed informare utilizzando in maniera inconsapevole e improvvida i nuovi strumenti, considerandoli non una risorsa, ma una scorciatoia. Per diventare medici, avvocati, registi o giornalisti basta consultare internet, postare qualcosa sul web, inserire foto o video sui social. Le capacità professionali non sono più necessarie, e tra tutte la quella di rappresentare gli altri, ovvero la politica. Per fare il politico non è più necessaria la competenza: è sufficiente il consenso che oggi si raccoglie attraverso la visibilità».
Sembrerebbe uno scenario desolante. Ma a chi vanno attribuite le responsabilità?
«Sicuramente alla nostra generazione. E certamente noi operatori dell’informazione e della comunicazione abbiamo le nostre responsabilità, allo stesso modo di altre categorie professionali. Ciò ha causato una sfiducia nei confronti della formazione e in chi ha impegnato la propria vita a studiare per mettersi a disposizione degli altri. E se c’è sfiducia nei corpi intermedi è facile arrivare a teorizzare che lo studio non è più necessario. Grazie all’esasperato accesso ad internet non serve avere una persona capace e valida alla quale affidare, di volta in volta, il compito di informarci, di curarci, di rappresentarci pubblicamente, di guidarci dal punto di vista politico. Sulla rete si trovano tutte le risposte!»
Siamo dunque ad un punto di non ritorno?
«La classe media è ingenuamente scivolata sempre più verso la parte bassa della forbice illudendosi di prendere la scorciatoia: il danno è fatto – prosegue Ario Gervasutti–. Ma sono certo che nei prossimi 4-5 anni ci sarà una presa di coscienza di questo fenomeno da parte delle cosiddette élite, quella parte di popolazione più acculturata ed informata che ha maggiori strumenti a disposizione anche per fare autocritica. A lei il compito di ripristinare la funzione dei corpi intermedi. La deriva è che questa élite sia sempre più ristretta e quindi meno in grado di contribuire alla crescita della società.»
Quale il ruolo dei media e degli operatori dell’informazione per invertire la tendenza?
Innanzitutto giornalisti in grado di tenere la barra dritta, senza colorazioni di parte – afferma Gervasutti –. E poi adeguare gli strumenti: i giornali sono uguali a 30 anni fa; devono cambiare. E ancora, la multifunzionalità che è più della multimedialità. È inconcepibile che nello scenario di oggi un giornalista utilizzi un unico strumento di lavoro: la carta stampata, il web, la radio o la tv. E su questo vanno chiamati in causa gli editori che non investono in questa multifunzionalità. I gruppi editoriali stessi dovrebbero diventare delle company multifunzionali, ma di questo non si discute. Però non sono pessimista – conclude Ario Gervasutti –, perché quando torneranno di moda i giornali, la radio, così come i libri di carta che in questo momento stanno vivendo un boom come mai negli ultimi anni, la massa tenderà a seguire quella élite per imitarla e per farne parte».
CONTRO IL NARCISISMO DIGITALE. Educazione digitale Per il magistrato Vartan Giacomelli sta ai genitori il compito di insegnare il significato di valori come la riservatezza e la relazione diretta
Da Agorà ad Arena. Da luogo di socializzazione a terra di conflitti. Questa la pericolosa deriva che negli ultimi anni ha generato l’uso scorretto dei Social Media. «Esiste un problema di tutela – afferma il magistrato Vartan Giacomelli, quotidianamente alle prese nella sua professione con i reati di diffamazione, cyber bullismo, adescamento via social -. Non c’è la consapevolezza dei rischi che si corrono nel parlare degli altri in pubblico. Ci sono rischi legati all’onore e alla reputazione e l’effetto di amplificazione prodotto dai social provoca conseguenze lesive sulla dignità delle persone, a volte ben superiori alle intenzioni dell’utente. In particolare sul versante dell’uso di questi strumenti tra adolescenti». Come spiegare, da genitore, questo tipo di rischio? «Il tema è quello dell’educazione digitale, di come un genitore possa confrontarsi con un figlio che ha certamente conoscenze tecnologiche maggiori delle sue. Credo ci voglia capacità di dare significato a valori come il riserbo, all’interazione diretta. I giovani vivono in una sorta di narcisismo digitale che fa loro credere di essere in contatto con una rete di amicizie, mentre invece si parlano allo specchio. Bisogna insegnare loro a riconoscere la grande fortuna di potersi confrontare con gli altri attraverso l’incontro diretto e non attraverso una semplice connessione.»
Dopo Youtube, è Facebook il più amato
In Italia, 31 milioni di utenti attivi ogni mese su Facebook, tra giovani e over 35, che restano connessi in media di quasi due ore al giorno. È il Social più diffuso in tutto il mondo: nello scorso anno la sua penetrazione è cresciuta del 15 percento rispetto al 2017, superando Google e secondo solo a Youtube.