Nell’ambito del Ciclo di Incontri organizzati da UCID Padova, giovedì 15 giugno 2023, a Civitas Vitae OIC, si è parlato di Migrazioni: dalle difficoltà del momento alle opportunità per costruire.
Riportiamo integralmente l’intervento di padre Gaetano Montresor Superiore della Comunità dei Comboniani di Padova che ha illustrato, secondo la sua lunghissima esperienza in Africa, le cause del fenomeno migratorio dalle radici nella prospettiva di evoluzione dei progetto missionario della Chiesa.
Intervento padre Montresor UCID Padova
UCID Padova – Giovedì – 15 giugno 2023
Gaetano Montresor
Un missionario d’Africa guarda l’attuale fenomeno migrazione con particolare riferimento alla migrazione africana subsahariana.
Buonasera, grazie dell’invito.
Sono stato in Africa per 25 anni, in Togo (11 anni) Benin (8 anni) e Congo Democratico (6 anni). Sono un sacerdote comboniano.
Il proprio del comboniano, pur con tutti i limiti fisici, psicologici e spirituali, è quello di ‘fare causa comune’ con il popolo in mezzo al quale vive e opera; e quello di contribuire alla ‘rigenerazione dell’Africa con l’Africa’, convinto che in questo modo annuncia e testimonia l’amore di Dio che si rivela in Cristo, Sacro Cuore, per tutta l’umanità. Daniele Comboni (1831 – 1881) scrive:
‘Il cattolico guarda all’Africa “non attraverso il miserabile prisma degli umani interessi, ma al puro raggio della sua Fede” e lì scopre “una miriade infinita di fratelli appartenenti alla sua stessa famiglia, aventi un comun Padre su in cielo…”.
Allora “trasportato egli dall’impeto di quella carità accesa con divina vampa sulla pendice del Golgota, ed uscita dal costato del Crocifisso per abbracciare tutta l’umana famiglia…” sente che si fanno più frequenti i palpiti del suo cuore e “una virtù divina [sembra spingerlo] a quelle barbare terre, per stringere tra le braccia e dare il bacio di pace e di amore a quegl’infelici suoi fratelli…” (S 2742)
Oso dire che ho vissuto l’Africa più che essere vissuto in Africa.
Per cui un certo modo di guardare all’Africa, che ho esperimentato tornando in Italia, mi ha fatto sentire male, un po’ anche fisicamente, come le emozioni forti che prendono lo stomaco.
Subito mi è sembrato che tra i migranti, quelli d’origine africana, fossero trattati in modo molto diverso, con uno sguardo tra il pauroso e il dispregiativo.
Ho chiesto conferma di questa mia sensazione e mi è stato risposto: I xe mori e i se vede!
Sono con voi in modo veramente casuale e per portavi con semplicità il mio pensiero e il mio sguardo di missionario d’Africa, sulla nuova cittadinanza italiana che sta nascendo, anche con l’incontro con i migranti che raggiungono, in modi diversi, il nostro Paese e l’Europa.
– La migrazione si definisce come ricerca di una vita migliore, per sé e per la propria famiglia. È la ricerca di star meglio economicamente, socialmente ed anche politicamente. È fiducia in un futuro più felice. È un diritto.
La migrazione di oggi è un fenomeno che nessuno può ignorare e nemmeno sottovalutare magari cercando di impedirlo.
Provoca un rapido cambiamento che contrasta con una situazione di stabilità acquisita che sta cedendo.
Un non cittadino italiano che arriva è: straniero, extracomunitario, migrante economico, richiedente asilo, profugo, rifugiato, esiliato, turista, diplomatico.
Tutti termini che marcano la differenza.
Nella lingua ewé, del Togo, per definire uno straniero si dice: Amedjro. La persona che desidero e in Fon, lingua del Benin: mewiwi, persona accolta
Papa Francesco: Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!”
Si emigra anche dall’Italia. In totale, negli ultimi 10 anni sarebbero partiti circa 580 mila italiani. Solo 1 italiano su 4 che emigra ha la laurea.
Al 1° gennaio 2022 i cittadini italiani iscritti all’AIRE erano 5.806.068, un dato in continua crescita negli ultimi anni (+6% rispetto al 2019). Migrano soprattutto in Europa (3,2 milioni) e America Latina.
Gli italiani residenti in Italia sono circa 58,9 milioni
Il Veneto ha 4 835 321 abitanti di cui 493 119 stranieri.
Il Triveneto ha 7 208 199 abitanti di cui 650 000. Grosso modo il 10%.
Vengono da 45 Europee, 45 Asiatiche, 52 Africane 52, 33 dall’ America, e 6 dall’Oceania: oltre 80 nazionalità diverse, e con un numero enorme di culture, lingue, storie diverse
La popolazione africana è oggi di circa 1,4 miliardi di persone. Di queste, il 60% ha meno di 24 anni. Un continente stracolmo di bambini e ragazzi, costretti per lo più a vivere sotto la soglia di povertà.
Ma la popolazione africana aumenterà a dismisura. Nel 2050 avrà raggiunto i 2,5 miliardi. E si assesterà, alla fine del secolo, a circa 4,3 miliardi di persone.
Quasi la metà della popolazione terrestre sarà quindi africana.
Una crescita allarmante, che non solo non trova posto all’interno del nostro dibattito pubblico, ma che ignorata dagli stessi governi africani, così come dalla società civile e dalla popolazione.
Nella migrazione interna all’Africa, circa 21 milioni risiedono in un altro paese africano. Spostamenti che riflettono il dinamismo economico dei luoghi di arrivo.
Tra i migranti africani che si sono spostati, invece, fuori dal continente, circa 11 milioni vivono in Europa, quasi 5 milioni in Medioriente e più di 3 milioni in Nordamerica.
Ho vissuto, ripeto, il Congo (109 milioni ab e più di 200 etnie), il Togo (9 milioni ab e 45 etnie)) e il Benin (13 milioni e 40 etnie). Paesi che non sono i principali luoghi da cui si emigra per l’Italia: poco più di 10 000 tra i tre Paesi, con tendenza a diminuire.
È praticabile la strada dei muri, dei respingimenti, dei buoni consigli a star a casa?
Sguardo sull’Africa.
Il missionario parte e incontra un popolo, verso il quale si sente inviato per annunciare il Vangelo perché abbiano vita e vita in abbondanza. Vita in abbondanza riguarda tutto l’uomo e tutti in popoli. Tanti e molto diversi sono i popoli, o gruppi etnici che vivono in Africa.
Il mio sguardo va su l’Africa in generale che è un continente i cui abitanti sono di una grande mobilità, soprattutto interna al continente, ma anche all’esterno e in particolare verso l’Europa.
Perché questa mobilità? La risposta è ovvia per cercare un modo di vita migliore. E questo è un diritto, in armonia con il diritto di tutti di cercare un vivere migliore. Cerca progresso, libertà e pace.
Vivere migliore vuol dire soddisfazione dei bisogni essenziali, tra cui qualità della vita, Tra le condizioni che definiscono la qualità della vita, rientrano reddito e lavoro e la situazione abitativa. Le dimensioni non materiali della qualità di vita, invece, comprendono la salute, la formazione, la qualità dell’ambiente, la sicurezza personale, l’impegno civico e la conciliabilità tra lavoro e vita privata. Non si misura on modo vero la qualità della vita solo guardando al PIL.
Perché l’africano deve muoversi per trovar una qualità di vita migliore, cosa gli impedisce di star bene a casa sua?
La mancanza di libertà per organizzare la sua vita di popolo, con riferimenti culturali propri, maturati nei secoli, anche con l’incontro con altre culture, altre esperienze di società organizzata.
Desidero far solo rifermento a quattro fenomeni storici di incontro tra l’Africa e l’Europa; storici non solo perché sono consegnati al passato, ma storici per stanno facendo la storia comune di Africa, d’Europa e d’Italia.
– La tratta dei neri. Ho vissuto quasi 20 anni sulla Costa degli schiavi, nel Golfo di Guinea, chiamato anche Golfo del Benin. Milioni di schiavi sono stati venduti e portati nelle Americhe con le navi negriere. A Ouidah, Benin, sono ricordati con la Porta del Non ritorno a Ouidah.
A questa tratta occidentale, si aggiunge quella orientale verso i paesi arabi nel Medio Oriente.
Ufficialmente, la tratta dei neri è stata abolita verso al fine del 1700, ma ha continuato, clandestinamente, molto attiva anche successivamente, fin verso al fine del 1800.
Erano schiavi che andavano a lavorare.
Questo lavoro di nero africano schiavo esiste ancora oggi. Accettato o tollerato.
Può un africano dimenticare questo. Certi suoi comportamenti trovano qui la loro origine.
Il continente africano ha vissuto il colonialismo, cioè l’occupazione economica dell’Africa da parte di Europei con inizi nel 1600 ma esplosa nel 1800. Si sono poi aggiunte America, Russia e Cina.
All’inizio aveva anche una organizzazione politica, molto militarizzata e violenta, poi, al tempo delle indipendenze, negli anni 1960, si è mutato in neo colonialismo, con imposizione di regole commerciali e monopoli, con tutele di autorità’ politiche e amministrative, con tanto sostegno militare. Inoltre è sempre attivo il capestro del debito con le istituzioni bancarie mondiali. L’Africa quindi continua a produrre per gli altri, e anche per noi italiani.
A quando il rimborso per i danni della schiavitù e del colonialismo?
L’ Africano, impoverito fino alla miseria, può dimenticare? Difficile.
Il saccheggio delle materie prime e delle terre. Ben protetto da insicurezza alimentata da gruppi di terrore e con tante armi. Il saccheggio inoltre sconvolge la natura e gli eventi climatici avversi aumentano.
Gli impoveriti aumentano così pure coloro che chiedono giustizia, libertà, indipendenza, democrazia nelle scelte politiche, rispetto dei diritti.
Hanno torto? L’Africano è paziente e resistente e non dimentica.
Come stupirsi se nel linguaggio comune, il bianco, in certi paesi, dove ho vissuto, viene chiamato yovo, termine che è la contrazione di una frase che significa: il cane furbo che ci imbroglia. Termine che, se un bambino, innocentemente rivolgeva a me, vedendomi passare nel suo villaggio, subito era corretto da un adulto: Ao, menye yovo è, fada è! no… lui non è un bianco, è un padre!
Aggrediti da un cane ci si difende, con un calcio se è piccolo, con un bastone, se occorre…o con il mitra!
Che l’Africa perdoni, quando sarà….
È in questo periodo che è iniziato l’incontro tra l’Africa subsahariana e il Vangelo. Una relazione diversa, fraterna, rispettosa e disinteressata e che mira al bene comune. La predicazione è sempre stata accompagnata da opere sociali, soprattutto scuole e centri di salute. Spesso questa azione era la metodologia per fare cristiani. Certamente è sempre stata la testimonianza della carità, cioè della preoccupazione di Dio per l’uomo che soffre e che non può sviluppare tutte le sue capacità, perché povero di conoscenze intellettuali nel senso stretto del termine e scientifiche, quelle che più si sono sviluppate nel mondo ‘bianco’.
Per uno sviluppo dell’Africa i soldi non sono tutto, come per voi il solo capitale non fa l’impresa.
Ed erano gli stessi uomini bianchi ma con due sguardi diversi sull’Africa. Così si esprimeva Daniele Comboni: ‘Or mentre che gl’intrepidi investigatori si occuparono fino ai dì nostri di quella inesplorata parte del globo, …. collo scoprire i tesori che loro stanno ascosi per arricchire la storia naturale ed il commercio, il filantropo cristiano, volgendo lo sguardo alle condizioni spirituali e sociali di quei popoli incurvati sotto l’impero di Satana, profuse a sua volta gli effetti di fraterna commiserazione, e l’efficacia della sua cooperazione pel miglioramento della triste lor sorte. Leggiamo liberi dal linguaggio proprio dell’800.
La missione evangelizzatrice della Chiesa è un contributo a creare relazioni di fraternità, paradigma necessario per ogni tipo di rapporto che si voglia positivo, rispettoso, umano, finalizzato al bene comune.
Il fenomeno migrazione vissuto con il criterio fraternità, genera percorsi virtuosi, di rispetto e di progresso reciproci. In un contratto giusto, onesto, le due parti devono tutte e due, guadagnare, se non sul corto almeno sul lungo termine. Il fenomeno migratorio è in attesa che si scriva un contratto giusto, dove giusto coincide con fraterno.
Oggi questo contratto non c’è e la migrazione, provocata e non controllata, resta solo un problema, molto serio e non un movimento di popoli che può diventare opportunità, per tutti, creando una nuova cittadinanza attiva.
Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!” Papa Francesco. FT
La “cittadinanza“, che si basa sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri sotto la cui ombra tutti godono della giustizia.
Molto di questa nuova cittadinanza esiste, ma sembra non essere molto valorizzato sia nella pratica che nella riflessione e nemmeno valutato come opportunità.
– Le scuole e in genere i luoghi di educazione, anche la catechesi. In queste situazioni reali, quanta normalità nello stare insieme dei bambini e giovani? Nel film Indovina chi viene a cena? in una scena in cui un adulto chiede a un bambino bianco che aveva fatto amicizia con una bambina nera: qual è la differenza tra te e lei, il bambino risponde: io sono un bambino e lei è una bambina!
– Lo sport, da quello di quartiere a quello professionista. Si chiamano le giocatrici e i giocatori per nome o per ruolo e non conta l’origine.
– Gli artisti e grandi professionisti.
– Gli operai, gli infermieri, i lavoratori in genere.
Per questo è necessario impegnarsi per stabilire nelle nostre società il concetto della piena cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze.
Nel pensiero del Papa, rifugiati e migranti non sono però soltanto i beneficiari di azioni di accoglienza, ma l’arrivo di persone diverse si trasforma in un dono, perché «quelle dei migranti sono anche storie di incontro tra persone e tra culture: per le comunità e le società in cui arrivano sono una opportunità di arricchimento e di sviluppo umano integrale di tutti». Papa Francesco.
Aggiungo, anche a livello cristiano, cattolico, sono dono, vitalità, gioia, sia nelle celebrazioni liturgiche che nei loro comportamenti.
La crescita in umanità della nostra società passa anche attraverso lo studio della storia, della cultura, dell’antropologia, della filosofia, della psicologia, dell’economia dei popoli.
La sola crescita scientifica, tecnologica è insufficiente è rendere umano il nostro vivere insieme.
Guardando solo alla migrazione africana, chi ora riesce, con una certa facilità, dire quali sono le caratteristiche proprie dei popoli africani, quali sono i loro punti di forza, le loro debolezze.
Quale è stato il contributo culturale che gli schiavi deportati nelle Americhe, hanno dato alle attuali società del quel continente? O il contributo delle colonie a tanti Stati europei?
La missione della Chiesa, e per Chiesa intendo tutti i battezzati, deve essere più impegnata in questo ambito: essere ponte culturale e operativo, tra l’Europa e l’Africa, come vero servizio al Vangelo, per un mondo più giusto e quindi più in pace, vista la stretta relazione che c’è tra giustizia e pace.
Nell’assemblea sinodale, parliamo di questo: ministeri battesimali sia al servizio della comunità cristiana che è al servizio dell’umanità, in un territorio preciso.
Noi, tutti, abbiamo un nome e un cognome, non solo per l’anagrafe.
Io sono missionario (nome) comboniano (cognome) sacerdote (secondo cognome) …
Io sono marito (nome) cristiano (cognome). Io sono mamma (nome) cristiana (cognome). Io genitore (nome) cristiano (cognome). Io sono imprenditore (nome) cristiano (cognome) e io sono dirigente (nome) cristiano (cognome). E prendo decisioni, agisco in modo unico, armonioso con quello che sono, ben definito dal mio nome e cognome.
Ispirazione e fedeltà al Vangelo e alla Dottrina sociale della Chiesa sono i vostri cognomi.
Questo al netto di tutte le fragilità personali e di società. Il peccato personale sociale non è un’invenzione: è una realtà che si vive giorno per giorno e che spesso paralizza, perché più forte e grande di noi. Ma nonostante questo costruiamo una società e un mondo nuovo. Golia e Davide, Venerdì santo e Pasqua, ci sono ancora oggi e li viviamo. Negli anni ’80 al vescovo di Trento che parlava agli imprenditori e industriali, di solidarietà, è stato risposto che, con la solidarietà, si chiedevano imprese, industrie e finiva il commercio.
Ultima riflessione.
Art. 1 – L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Perché fare del lavoro il fondamento della Repubblica democratica? Perché il lavoro è il segno concreto della possibilità, affidata a ogni cittadino e a ogni cittadina, di contribuire, giorno per giorno, alla costruzione della società, mettendo a frutto l’irripetibilità e la vocazione di ognuno di noi.
Non dice solo che ogni cittadino deve lavorare, dice anche che il lavoro deve essere fatto.
Se il lavoro non lo fanno italiani di nascita, perché sono pochi, o incapaci di farlo, per la malattia e l’età, possono o devono farlo altri ‘italiani’ che abitano questo suolo, o perché vi sono nati, o perché vi sono arrivati.
Voi potete fare qualche conto economico sulle spese dello Stato legate alla migrazione. Quelle per impedire, respingere, e salvare in mare, riuscendoci solo in piccola parte, e quelle per l’accoglienza, o per l’avviamento al lavoro.
Di questo ne sapete più di me e molto di più e soprattutto, potete agire, perché ne va del vostro futuro di imprenditori e dirigenti. Portare ancor il lavoro all’estero o continuare a produrre in Italia?
Grazie della vostra attenzione.