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La meditazione, in vista delle Festività natalizie, del Consulente Ecclesiastico don Alberto Giacomello.

Ormai mi sono reso conto che l’incontro prima di Natale non è solo un’occasione ulteriore per un banchetto e Io scambio formale degli Auguri, ma per noi è sempre un momento di formazione e di riflessione attorno ai grandi temi del nostro Tempo per tentare di rileggere la storia attraverso gli occhi della Dottrina Sociale della Chiesa riletta con gli occhi del Vangelo.

Vorrei quindi partire dal discorso che Papa Leone XIV ha fatto il 23 agosto scorso ai parlamentari e funzionari pubblici cattolici (International Catholic Legislator Network).

In quel discorso il Papa ebbe a dire: «Il futuro della prosperità umana dipende da quale “amore” scegliamo per organizzarvi intorno la nostra società: un amore egoistico, l’amore di sé, o l’amore di Dio e del prossimo». Il Papa aveva iniziato questo discorso riguardante la politica e l’arte del governo con un tema inaspettato: i desideri del cuore umano. Per capire quale spirito sorregge il mondo è necessario prima sondare quali moti dell’anima spingono gli uomini nelle più grandi dimensioni politiche.

Agostino è maestro in questo: la distinzione tra due orientamenti, o se vuoi verso due amori differenti: “l’amore di sé fino al disprezzo di Dio e del prossimo, e l’amore di Dio (e del prossimo) fino al disprezzo di sé”.

Questi due amori si ripercuotono nella società in tutte le sue forme e manifestazioni. Agostino le chiama “le due città” e tutto si snoda attraverso l’intrecciarsi di queste “due città”.

Ciò porta alla dimensione pubblica della fede e, se volete, certamente alla Dottrina Sociale della Chiesa.

Il Papa si era anche soffermato prima sul concetto di prosperità umana chiarendo che non possiamo ridurla ad un PIL o ad uno SPRED. La prosperità umana – cito Papa Leone –: «… deriva da quello che la Chiesa definisce sviluppo umano integrale, ossia la piena crescita della persona in ogni dimensione: fisica, sociale, culturale, morale e spirituale. Questa prosperità umana si manifesta quando le persone vivono virtuosamente, in comunità sane, godendo oltre di ciò che hanno anche di ciò che sono (figli di Dio)».

Questo tema è caro al Papa perché lo ritroviamo nella sua prima Esortazione Apostolica Dilexi te (Ti ho amato) del 4 ottobre scorso. È una Lettera che si pone in perfetta linea con il suo Predecessore, e idealmente con l’ultima Enciclica di Papa Francesco Dilexit nos (Ci hai amati), almeno certamente sul piano dell’insegnamento sociale della Chiesa.

Lo sviluppo del Magistero della Chiesa sui temi sociali e della povertà ha preso un carattere ancora più marcato in questi anni, verso una teologia del Vaticano Il: fra l’amore a Dio e l’amore al Povero vi è un nesso inscindibile, e a volte indistinguibile. Papa Leone ribadisce – ad una voce con Papa Francesco – che oggi si può parlare di Dio innanzitutto a partire dalla sofferenza degli innocenti. L’amore di Cristo che si fa carne nell’amore ai poveri.

Nella Dilexi te il Papa agostiniano si inserisce sulla scia dei suoi predecessori – a iniziare da Francesco che cita già al n. 2 deII’Esortazione – senza contare che l’incipit non può far che ricordare il Dilexit nos del 2024.

Sono 5 grandi capitoli dove si snodano Duemila anni di Carità della Chiesa di Gesù. Il primo capitolo il più breve, quasi una lunga introduzione per comprendere meglio il lessico e alcuni paradigmi fondamentali da tener presente (11).

Nel secondo capitolo, una lunga carrellata biblica ed evangelica, mentre nel terzo la storia della Carità nella Chiesa attraverso i Padri, i “Grandi Santi” della Carità senza dimenticare gli Ultimi: interessante trovare nel lungo elenco santa Dulce dei poveri «l’angelo buono di Bahia» (78), San Benedetto I, lenni e le suore ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù, santa Katharine Drexel nel nord America (79) e molti altri.

Ma tutto il capitolo 4 è dedicato, interamente, alla Dottrina Sociale della Chiesa dove Papa Leone intreccia magistralmente il magistero degli ultimi 150 anni come «vera miniera di insegnamenti che riguardano i poveri» (83). Una Dottrina Sociale della Chiesa attrezzata e capace di «risolvere le cause strutturali della povertà» (94): «la mancanza di equità – afferma il Papa – è la radice dei mali sociali, e di fatto molte volte si constata che i diritti umani non sono uguali per tutti».

Arriviamo ora ad un pensiero sul Natale. Non c’è un solo Natale; i Natali sono due come due sono le città di Agostino: c’è il Natale della “Città degli Uomini”, un Natale colorato, di pace di bei pensieri e buone intenzioni, fatto di canti di preghiere di belle celebrazioni, pranzi familiari e piccole riconciliazioni. È un Natale che fa bene al cuore ove al centro c’è l’Uomo che celebra il “Dilexit nos” e gode di questo amore, se ne compiace ma per sé stesso, come un bambino che gode nel sentirsi dire dalla mamma che Io ama e che è tutto per Iui.

Ma c’è un secondo Natale quello della “Città di Dio”, che realizza in pienezza il mistero deII’Incarnazione, quello di un Dio che si fa bambino per entrare con pienezza nella storia degli uomini e che pone tanti interrogativi. Quello di Betlemme è un Bambino che non possiede terra, nasce in un luogo che non è di sua proprietà e neanche di suo padre artigiano o della madre, deposto in una mangiatoia per gli animali, non c’era posto neII’aIbergo, nel luogo degli umani.

Nel 1933 Bonhoeffer scriveva: «Cristo nella mangiatoia… Dio non si vergogna della bassezza dell’uomo, vi penetra dentro, sceglie una creatura umana come suo strumento e compie meraviglie lì dove uno meno se Io aspetta. Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato o insignificante, ciò che è emarginato, debole. Dove gli uomini dicono “perduto”, lì egli dice “trovato”. Dove gli uomini dicono “giudicato”, lì egli dice “salvato”. Dove gli uomini dicono “no”, lì egli dice “si”. Dove gli uomini distolgono con indifferenza il Ioro sguardo, lì egli posa il suo sguardo pieno di amore. Dove gli uomini dicono “spregevole”, lì Dio esclama: “beato”. Questo è il miracolo del Natale, del suo amore, della sua vicinanza e della sua grazia. La venuta del Signore ha segnato il tempo che stiamo vivendo, con una novità assoluta: è il tempo ultimo che ci prepara alla vita futura.

Celebrare il Natale nella città di Dio allora è un avvenimento concreto fatto di Lavoro, di casa, di quel “bene avere” che permette un “bene essere” a tutti, perché non vi è benessere senza una dignità umana. Il credente che celebra il Natale è colui che ha colto come la povertà sia luogo teologico, inteso semplicemente quale luogo della manifestazione di Dio, della sua incarnazione, e non può essere indifferente alla situazione esistenziale dei fratelli. Vorrei terminare con una preghiera tratta dal Messale, per la precisione dal Prefazio della riconciliazione II: si riscopra il senso deII’umano che è nel fondo di ogni persona, e soprattutto si possa ritrovare la fraternità che qualifica il nostro essere figli del Padre che è nei cieli, il Padre di tutti.

don Alberto Giacomello, Consulente Ecclesiastico UCID Padova

 

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