“Se dovessi dare dei contorni al concetto di giustizia direi che prima di tutto è un dovere e una speranza”. Il presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione Renato Rizzo si è espresso così all’incontro “La dignità e la giustizia”, organizzato dall’Ucid (Unione cristiana imprenditori dirigenti) Padova, che si è tenuto lo scorso 18 novembre all’Antonianum. Si è addentrato nell’argomento rifacendosi in primo luogo all’articolo 3 della nostra Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Le sue analisi, frutto di quarant’anni di lavoro “sul campo”, hanno fatto riflettere il pubblico presente in sala. E’ nell’antica Roma, ha spiegato, che è nato il principio della giustizia. Famosissima la locuzione latina del tempo che recita testualmente: “Ius est ars boni et aequi”. Cioè “Il diritto è l’arte di ciò che è buono ed equo” (Celso, II secolo dopo Cristo). Di pari passo va un’altra locuzione dell’epoca: “Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere”. In Italiano: “Le regole del diritto sono queste: vivere onestamente, non recare danno ad altri, attribuire a ciascuno il suo”. “Serviva un modo per mantenere l’ordine pubblico, una soluzione pratica – ha detto – Tuttavia, i Romani si sono presto accorti che così definita la giustizia risultava impalpabile. Da qui, da questo vuoto, ha mosso i primi passi l’idea di una giustizia trascendente, peraltro propria del Cristianesimo”. In altri termini, ha aggiunto, “una universalità di concetti semplici, morali e condivisibili da tutti. In questo contesto viene considerato giusto ciò che afferisce a Dio”.
Oggi invece siamo passati all’estremo opposto: “C’è la tendenza di trasformare in diritto quello che, in realtà, è soltanto un bisogno personale. Succede così, ad esempio, con la fecondazione assistita o con l’eutanasia”. “I diritti veri sono ben altri. Mi riferisco a quelli inalienabili dell’uomo sanciti dalla Dichiarazione Universale del 1948; nel testo si evince che la giustizia è legata a doppia mandata con la dignità. Il problema è che molto spesso tale principio rimane inapplicato. I diritti umani sono continuamente violati in ogni parte del mondo: assistiamo ad una contraddizione tra quanto prescrive la teoria e la pratica, la vita concreta”. Rizzo ha poi dato alcune pennellate sul funzionamento della giustizia in Italia: “Nel nostro Paese esistono 250mila leggi. Un’enormità se pensiamo che in Inghilterra e in Germania ce ne sono 30mila e in Francia 50mila. Servirebbero poche norme e onnicomprensive. Al contrario, noi preferiamo quelle leggi che rispondono agli umori del momento: così però finisce che le ultime sbugiardano le precedenti. La seconda criticità riguarda la magistratura, una casta secondo molti. Diciamo che talvolta l’imparzialità latita. In ogni caso dovrebbe essere espressione di un servizio, non di un potere”. Il presidente ha pure riservato una stilettata a certa stampa: colpevole, a suo dire, “di travisare la realtà con titoli fuorvianti. Da un lato lo scopo degli editori è vendere i giornali, dall’altro lato si rischia di deformare l’opinione pubblica”. Un passaggio l’ha pure riservato alle strutture penitenziarie. “Dovrebbero essere degli strumenti di rieducazione dei condannati. Purtroppo mancano i mezzi, spesso c’è un assistente sociale ogni 100 detenuti”. Rizzo ha infine ha sottolineato l’importanza di “superare il conflitto fra gli uomini. Il Giubileo della Misericordia ha gettato diversi sprazzi di luce in questo senso”.