La Russia sta combattendo quattro guerre con il mondo: la guerra sul campo che ha scatenato contro l’Ucraina, la guerra delle sanzioni, quella dell’informazione, la guerra valutaria.
E’ certo che quella valutaria l’ha vinta finora la Russia con la richiesta di pagare in rubli il gas e il petrolio. Il rublo si è infatti apprezzato sul dollaro passando da 140 a 75-80 rubli per dollaro: un recupero di quasi la metà del suo potere d’acquisto rispetto alla moneta americana.
Questo recupero rallenta naturalmente l’inflazione importata, considerando che l’incidenza delle importazioni russe sul prodotto interno lordo è del 16%. L’effetto diretto è pertanto un minore impatto inflazionistico di circa il 10%.
La politica monetaria della Banca centrale russa ha inoltre puntato su acquisti ingenti di oro vendendo dollari delle sue riserve. Attualmente il prezzo dell’oro fino supera 1900 dollari per oncia. Questa politica contribuisce naturalmente a rafforzare il rublo rispetto al dollaro.
Anche il prezzo del petrolio si è collocato sopra i 100 dollari al barile, ed è nota la relazione inversa tra il prezzo del petrolio e il cambio del rublo rispetto al dollaro. Quando sale il prezzo del petrolio, tende ad apprezzarsi il cambio del rublo rispetto al dollaro e viceversa.
Va ricordata anche la politica monetaria della Banca centrale russa che ha spinto i tassi di interesse al 20%, determinando afflussi di capitali verso la Russia e un apprezzamento del tasso di cambio del rublo.
Si desidera infine accennare alla politica dei Paesi europei di alzare la spese militari fino al 2% del prodotto interno lordo. Se ci riferiamo alla Germania, alla Francia e all’Italia, si tratta di portare le spese per la difesa fino a 170 miliardi di euro, pari a quasi tre quarti del prodotto interno lordo dei cinquanta Paesi più poveri del mondo.
Il problema è che è segno di divisione tra i principali Paesi dell’Unione europea stabilire prima le risorse da destinare alla difesa e poi sottoscrivere eventualmente un Trattato per una comune politica estera e per una difesa europea comune.
Infatti, come sta avvenendo, la Germania destina le risorse per la difesa alle industrie tedesche che operano nel settore degli armamenti, così come è avvenuto quando la Germania ha acquistato i vaccini contro il covid al di fuori degli accordi europei.
Non può esistere in questo modo una politica industriale comune in un settore delicato come quello degli armamenti, secondo un programma condiviso che coinvolga tutti i settori dei Paesi dell’Unione europea al fine di standardizzare i sistemi di difesa secondo precise scelte tecnologiche che possono avere importanti ricadute nei settori dell’economia civile.
Giovanni Scanagatta
Professore di Politica economica e monetaria alla “Sapienza” di Roma