“L’intelligence economica nell’incertezza geopolitica mondiale” a cura di Giovanni Scanagatta

L’INTELLIGENCE ECONOMICA NELL’INCERTEZZA GEOPOLITICA MONDIALE

Giovanni Scanagatta*

La guerra commerciale con i dazi di Trump e la crisi del multilateralismo stanno evidenziando sempre di più l’importanza dell’intelligence economica per la sicurezza degli Stati e la competitività delle imprese.  

L’intelligence economica è la ricerca e l’elaborazione di notizie finalizzate alla tutela degli interessi economici, finanziari, industriali, scientifici e tecnologici di un Paese ad opera dei suoi servizi di informazione (M. Ortolani, Intelligence economica e conflitto geoconomico, goWare, Firenze, 2020).

In un mondo sempre più interconnesso e al tempo stesso instabile, l’intelligence economica emerge come uno strumento strategico fondamentale per affrontare l’incertezza geopolitica. Guerre commerciali, conflitti armati, crisi energetiche e mutamenti nelle alleanze internazionali pongono nuove sfide sia agli Stati che alle imprese. In questo scenario, la capacità di raccogliere, analizzare e utilizzare informazioni economiche in modo tempestivo e mirato può fare la differenza tra sopravvivenza e fallimento.

Più precisamente, l’intelligence economica è un insieme di attività che mirano a raccogliere, elaborare e proteggere informazioni rilevanti per il vantaggio competitivo e la sicurezza economica. Essa comprende: raccolta di informazioni su mercati, concorrenti, regolamentazioni e rischi; analisi strategica per supportare decisioni aziendali o politiche pubbliche; protezione del patrimonio informativo (contro spionaggio industriale, cyber attacchi, fuga di dati); influenza per orientare decisioni e descrizioni nei mercati e presso gli attori istituzionali.

Il sistema internazionale sta vivendo un periodo di instabilità e frammentazione. Alcuni elementi chiave che alimentano l’incertezza sono:

  • la guerra su larga scala in Europa, con l’invasione russa dell’Ucraina;
  • La crescente rivalità USA-Cina, che ha forti ripercussioni su commercio, tecnologia e finanza;
  • La crisi del multilateralismo, con istituzioni internazionali spesso paralizzate o delegittimate;
  • L’uso strumentale delle risorse energetiche e alimentari come leve di pressione politica;
  • Il rischio crescente di cyber-attacchi e guerre ibride, che colpiscono infrastrutture critiche e sistemi economici.

In questo contesto, le imprese si trovano esposte a minacce asimmetriche che non derivano solo dai tradizionali rischi di mercato, ma anche da decisioni politiche, sanzioni, instabilità sociale e conflitti.

Nei Paesi con una visione avanzata dell’intelligence economica (come Francia, Stati Uniti e Cina), le istituzioni pubbliche collaborano attivamente con il settore privato. Si crea così un ecosistema di sicurezza economica e competitività nazionale. In altri contesti, l’intelligence economica è ancora vista come un’attività elitaria o legata esclusivamente alla sicurezza statale.

Le imprese, in particolare quelle che operano su scala internazionale, devono dotarsi di strutture interne o collaborare con partner esterni per l’elaborazione di scenari geopolitici, analisi di rischio-paese, valutazione delle catene di fornitura e gestione della reputazione.

L’intelligence economica deve affrontare diverse sfide: etica e legalità cioè come raccogliere informazioni in modo legittimo, senza cadere in pratiche illecite; sovraccarico informativo, ovvero distinguere il segnale dal rumore in un mare di dati; competenze cioè formare analisti in grado di integrare economia, geopolitica, tecnologia e comunicazione; cooperazione pubblico-privato, ovvero superare diffidenze e favorire la condivisione di conoscenze.

Nel medio e lungo periodo, l’intelligence economica si consoliderà come funzione chiave in ogni organizzazione complessa, divenendo parte integrante della gestione del rischio e della pianificazione strategica.

In un’epoca segnata da instabilità e grande incertezza, l’intelligence economica non è più un lusso, ma una necessità per le imprese. Essa rappresenta un ponte tra conoscenza e potere, tra analisi e azione. Stati e imprese che sapranno investirvi con visione e competenza saranno in grado non solo di resistere alle turbolenze globali, ma di trasformarle in opportunità per lo sviluppo.

*Professore di Politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”

“Da eccezione a norma: come prepararsi per affrontare la crisi di domani” a cura di Gabriele Genuino

“Da eccezione a norma: come prepararsi per affrontare la crisi di domani” a cura di Gabriele Genuino

Con piacere condividiamo un articolo recentemente pubblicato su Harvard Business Review Italia dal nostro Socio, Dott. Gabriele Genuino, Senior Security Manager CUBE, dal titolo

👉 Da eccezione a norma: come prepararsi per affrontare la crisi di domani

L’articolo affronta il tema di come le crisi stiano diventando una condizione ormai stabile e di come sia possibile prepararsi in modo più consapevole e strutturato ad affrontarle.
Un contributo di grande attualità e interesse, che offre spunti di riflessione utili per il contesto economico e organizzativo che stiamo vivendo.

Un ringraziamento al nostro Socio per aver voluto condividere questo interessante approfondimento.

“Alla ricerca di un nuovo ordine mondiale” a cura di Giovanni Scanagatta

ALLA RICERCA DI UN NUOVO ORDINE MONDIALE

Giovanni Scanagatta*

In un contesto globale segnato da instabilità, transizione e ridefinizione degli equilibri, il mondo si affaccia a una nuova epoca storica. Dopo anni di incertezza geopolitica, shock pandemici, guerre regionali e trasformazioni tecnologiche accelerate, il futuro politico, economico e monetario mondiale si disegna con linee ancora sfocate ma portatrici di tendenze  individuabili.

In questo scenario, Europa e Russia emergono con ruoli cruciali e controversi, mentre il pensiero di figure come Alcide De Gasperi e John Maynard Keynes può offrire ancora oggi spunti fondamentali per orientare le scelte politiche globali.

La questione del riarmo dell’Europa (il piano Readiness 2030), rievoca il progetto della Ced (Comunità europea di difesa), di cui De Gasperi è stato uno strenuo promotore. La creazione di un unico esercito europeo per De Gasperi era la via alla realizzazione di uno Stato federale europeo, a base popolare, che avrebbe dovuto avviare un positivo cambiamento nelle relazioni sociali ed economiche tra i cittadini europei. I forti princìpi ispiratori dell’europeismo degasperiano possono ancora essere un modello per la politica europea.

Venne convocata a Parigi una conferenza per discutere il progetto con i Paesi dell’Europa occidentale. I lavori iniziarono nel 1951 e il 27 maggio dell’anno seguente i sei Paesi già membri della Ceca firmarono il Trattato che istituiva la Comunità economica della difesa (Ced), «uno dei più importanti avvenimenti della nostra epoca», come lo giudicò il segretario di Stato americano Acheson. De Gasperi fu tra i più convinti promotori di questo progetto. Durante i lavori della conferenza così si rivolse agli italiani, parlando alla radio, per spiegare gli ideali con cui il Paese partecipava ai lavori per il Trattato: “Non vi parlerò dell’Italia, ma dell’Europa, dell’Europa di domani, di quell’Europa che vogliamo ideare e costruire. Che cosa si intende fare quando si parla di una Federazione europea? Ecco all’ingrosso di cosa si tratta: di una specie di grande Svizzera, che comprende italiani, francesi e tedeschi. […] Ma taluno domanderà perché, a proposito di questa impresa pacifica, si parli sempre di eserciti, di organizzazione militare, di armamenti. Rispondo che così si presentano le cose nella storia. La Svizzera come è nata? Da una necessità di comune difesa. Gli Stati Uniti come sono nati? Da una guerra d’indipendenza, da un ideale di libertà. […] Ecco perché non c’è nulla di strano che questa possibilità si apra proprio nel momento in cui si discute di armi, di necessità di difesa, di mettersi insieme per la difesa delle proprie libertà. Ma non bisogna confondere l’occasione, il mezzo, la via per la costruzione, cioè il punto di partenza, con la costruzione stessa, con il nostro ideale.

La fase unipolare dominata dagli Stati Uniti è in via di superamento. Al suo posto si afferma un multipolarismo fragile, con Stati Uniti, Cina, Unione Europea, India e Russia che competono su scala globale per l’influenza politica, l’accesso alle risorse e il controllo delle tecnologie strategiche.

La transizione energetica, quella digitale e le tensioni sui mercati del lavoro e la frammentazione delle catene globali di approvvigionamento hanno minato le basi del modello neoliberista affermatosi dagli anni ’80. Si delinea un’economia più protezionista, più statalista, dove il potere monetario è sempre più uno strumento geopolitico.

In questo quadro, l’Unione Europea si trova di fronte a un bivio: o rilanciarsi come potenza autonoma, in grado di coniugare solidarietà interna e proiezione esterna, oppure restare marginale nel nuovo scacchiere mondiale.

La crisi dell’Est Europa, l’attrito con la Russia e le sfide migratorie hanno accentuato le divisioni tra Nord e Sud, Est e Ovest del continente. Tuttavia, lo spirito federalista e lungimirante di Alcide De Gasperi torna oggi di grande attualità. De Gasperi vedeva nell’unità europea non solo un argine alla guerra, ma una necessità economica e culturale. Il suo messaggio è chiaro: “senza una vera politica estera, di difesa e industriale comune, l’Europa rimarrà incompiuta e vulnerabile”.

Il rafforzamento dell’eurozona e il dibattito su un Tesoro europeo e sugli Eurobond possono rappresentare il primo passo verso un’autonomia strategica europea, anche nel campo monetario. Ma servirà una governance rinnovata, capace di superare gli egoismi nazionali.

Dopo anni di conflitto e sanzioni, la Russia resta un attore geopolitico centrale, ma in cerca di un nuovo posto nel mondo. Il Paese è oggi fortemente legato a Cina, Iran e India, ma paga un crescente isolamento dal blocco occidentale.

Mosca, però, ha risorse naturali immense, un apparato militare rilevante e una visione euroasiatica alternativa. Il futuro della Russia dipenderà dalla sua capacità di evolvere da potenza “di resistenza” a “potenza costruttiva, capace di dialogare con Europa e Asia su basi nuove. In questo contesto, l’idea keynesiana della cooperazione economica internazionale potrebbe rappresentare un ponte. A questo riguardo, sono illuminanti le parole di Keynes all’indomani della fine della prima guerra mondiale con il Trattato di Versailles. “Il blocco della Russia, recentemente proclamato dagli Alleati è perciò un provvedimento stolido e miope: blocchiamo non tanto la Russia quanto noi stessi” 

In sintesi: la doppia eredità di Keynes e di De Gasperi suggerisce la strada di un mondo cooperativo, inclusivo, con l’Europa protagonista responsabile e la Russia integrata su basi economiche sostenibili. Solo così si potrà sperare in un ordine mondiale solido, una stabilità politica ed economica condivisa e una crescita sociale diffusa.

 *Professore di Politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”

 

 

“Un terzo grande polo bancario italiano?” a cura di Giovanni Scanagatta

UN TERZO GRANDE POLO BANCARIO ITALIANO?

Giovanni Scanagatta*

Si sta discutendo molto sulla nascita di un terzo grande polo bancario italiano, accanto a Unicredit e Banca Intesa San Paolo. Per un terzo polo, si parla dell’acquisizione o del controllo da parte di Monte dei Paschi di Siena di Mediobanca che detiene una quota significativa di Assicurazioni Generali. Naturalmente, Mediobanca cerca di resistere contro questa operazione con vari mezzi, tra cui la possibile acquisizione della banca in seno a Generali e la contestazione del rapporto di scambio (OPS) tra azioni Mediobanca e azioni MPS. Si tratta certo di una operazione che stupisce, ricordando che Mediobanca ha sempre rappresentato il salotto buono della finanza italiana. In questo contesto, va considerato anche il ruolo futuro di Milano come capitale economica italiana, alla luce dei recenti problemi di Milano riguardanti il suo sviluppo immobiliare: villaggio olimpico, stazione centrale, san Siro e coì via. Quale idea abbiamo del ruolo futuro di Milano sul piano nazionale e internazionale?

Ma andiamo con ordine restando sul tema.

  1. Premessa

La notizia di un possibile interesse di Monte dei Paschi di Siena (MPS) per Mediobanca ha sicuramente colto molti di sorpresa, soprattutto considerando la storia recente di MPS, spesso associata a difficoltà finanziarie, interventi pubblici e ristrutturazioni. Tuttavia, per comprendere meglio il contesto, è importante distinguere tra percezione pubblica e realtà finanziaria e strategica attuale.

Ecco i punti chiave per spiegare come e perché MPS potrebbe “comprare” o puntare a una fusione con Mediobanca:

MPS non è più la banca fallimentare del passato

  • Dopo il salvataggio pubblico del 2017, in cui lo Stato italiano è diventato azionista di maggioranza (oggi detiene circa il 39%), MPS ha attraversato un processo di risanamento.
  • Negli ultimi anni, ha chiuso i bilanci in utile, ha migliorato la qualità del credito (riducendo le sofferenze) e ha abbattuto costi con operazioni di efficientamento.
  • Anche le agenzie di rating hanno aggiornato i giudizi in positivo.

 

  1. Ma che tipo di operazione si tratta?

Non si parla necessariamente di “acquisizione classica”

È più probabile che si tratti di un’operazione di fusione o aggregazione tra pari, magari con una regia pubblica/politica, che coinvolga anche altri attori.

Il Tesoro italiano potrebbe usare la quota pubblica in MPS come leva per creare un polo bancario nazionale.

In questo scenario, MPS potrebbe diventare una “piattaforma” per aggregare altri istituti.

  1. Mediobanca è un obiettivo strategico

Mediobanca ha partecipazioni importanti (es. Generali), influenza su Piazze Affari e un business ben diversificato tra wealth management, corporate & investment banking.

Avere il controllo (o anche solo una forte alleanza) con Mediobanca vuol dire avere accesso a leve finanziarie e politiche significative nel sistema economico italiano.

 

  1. La mano pubblica e il “progetto sistema”

Da tempo si parla della volontà dello Stato italiano di creare un terzo polo bancario per affiancare Intesa Sanpaolo e UniCredit.

Un’aggregazione tra MPS e un’altra realtà (come Mediobanca o Banco BPM) potrebbe essere parte di questa strategia.

Operazioni di questo tipo possono essere indirizzate o facilitate dal MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze), anche per valorizzare la partecipazione pubblica e poi uscire dal capitale MPS.

  1. Le risorse ci sono?

MPS da sola non ha la forza finanziaria per lanciare un’OPA (offerta di pubblico acquisto) su Mediobanca.

Tuttavia, con alleanze strategiche (con fondi, banche d’affari o altri soggetti come Cassa Depositi e Prestiti), o tramite fusione per scambio di azioni, si può realizzare un’operazione di integrazione.

È anche possibile che si stia valutando una partecipazione incrociata o accordi di governance, non una vera e propria acquisizione.

La reazione scettica del mercato ( calo del titolo MPS alla notizia) riflette le perplessità su chi comanda chi, e se ci sia coerenza industriale e strategica. Ma dal punto di vista della logica politica e finanziaria (non solo bancaria), un’operazione simile potrebbe rientrare in una logica di sistema per rafforzare la finanza italiana.

  1. Sviluppi recenti

La Banca centrale europea (BCE) ha autorizzato MPS a presentare un’offerta su Mediobanca, anche per acquisire una partecipazione fino al 50%, o addirittura una quota di controllo in modo “de facto”.

L’offerta è totalmente in azioni (OPS): 2,533 azioni MPS per ogni azione Mediobanca (equivalente a una valutazione di circa 14,6 miliardi di euro.

Mediobanca ha contestato il valore: secondo i suoi advisor, il fair value si aggira su 3,71 azioni MPS per azione Mediobanca, circa il 32% in più rispetto all’offerta (per un valore di circa 20 miliardi di euro).

Mediobanca definisce l’operazione “non razionale” e potenzialmente distruttiva di valore per il proprio modello di business . In risposta, ha presentato un’alternativa strategia focalizzata su Banca Generali, e si è impegnata a un piano di ritorno agli azionisti da 5,7 miliardi di euro in tre anni.

MPS punta a ottenere almeno il 35 % del capitale Mediobanca, soglia sufficiente a esercitare influenza dominante senza necessità del 66 %.

Lo Stato italiano ha ancora una partecipazione diretta (circa il 12%) in MPS.

Il governo e forti istituzioni (famiglie Delfin/Del Vecchio e Caltagirone) appoggiano MPS come parte della strategia per creare un “terzo polo” bancario nazionale, dopo Intesa e UniCredit.

Esistono indagini in corso su alcuni passaggi, tra cui la vendita del 15 % di MPS e il ruolo della BCE nella gestione dell’OPS.

L’offerta è partita ufficialmente il 14 luglio e resterà aperta fino all’8 settembre.

Se MPS raggiungerà il 35–50 % del capitale, potrà presentare alla BCE un piano di integrazione industriale entro sei mesi.

  1. Sintesi finale

7.1 La BCE ha approvato la manovra, MPS ha lanciato l’offerta di scambio azionario (OPS).

7.2 Mediobanca la ha rigettata come sottostimata e strategicamente rischiosa, difendendosi con alternative.

7.3 MPS punta al controllo “de facto” con una quota del 35 %.

7.4 L’operazione è parte di un piano politico e di consolidamento del sistema bancario italiano, ma non mancano i rischi legali, regolamentari e di governance.

       

      *Professore di Politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”.

      “Papa Leone XIV e la Dottrina Sociale della Chiesa per la costruzione del Bene Comune universale” a cura di Giovanni Scanagatta

      PAPA LEONE XIV E LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA PER LA COSTRUZIONE DEL BENE COMUNE UNIVERSALE

      Giovanni Scanagatta*

      Introduzione

      L’elezione di Papa Leone XIV nel maggio 2025 ha suscitato un rinnovato interesse per la Dottrina Sociale della Chiesa, un campo teologico e pastorale che affonda le sue radici nell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII (1891). Con la scelta del nome, Leone XIV ha voluto riaffermare l’impegno della Chiesa nella promozione della giustizia sociale, della dignità umana e del bene comune universale, rispondendo alle sfide contemporanee poste dalla globalizzazione, dalla digitalizzazione e dalle disuguaglianze crescenti.

      La Dottrina Sociale della Chiesa: Fondamenti e Sviluppi

      La Dottrina Sociale della Chiesa si è evoluta nel tempo, affrontando le questioni sociali emergenti e adattandosi ai cambiamenti storici e culturali. A partire dalla Rerum Novarum, che trattava della condizione dei lavoratori nel contesto della prima rivoluzione industriale, i successivi pontefici hanno approfondito temi come la giustizia sociale, la solidarietà, la sussidiarietà e la destinazione universale dei beni.

      Il Bene Comune Universale: Un Concetto Fondamentale

      Il bene comune universale è un principio centrale nella Dottrina Sociale della Chiesa. Esso si riferisce all’insieme delle condizioni sociali che permettono a ogni individuo e comunità di raggiungere la propria perfezione più pienamente. Papa Leone XIV ha sottolineato che la Chiesa offre il suo patrimonio di Dottrina Sociale per rispondere alle sfide della nuova rivoluzione industriale e degli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro.

      La Destinazione Universale dei Beni: Un Principio Fondamentale

      Un principio fondamentale della Dottrina Sociale è la destinazione universale dei beni. Questo principio afferma che Dio ha destinato la terra e tutto ciò che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e popoli, affinché i beni creati pervengano a tutti con equo criterio, guidati dalla giustizia e accompagnati dalla carità. Papa Leone XIV ha richiamato questo principio, sottolineando che i beni devono essere utilizzati non solo per il profitto individuale, ma per il bene di tutta l’umanità.

      La Famiglia come Fondamento del Bene Comune

      Papa Leone XIV ha anche posto l’accento sul ruolo centrale della famiglia nella costruzione del bene comune. Ha esortato i governanti a riconoscere il valore sociale ed economico della famiglia, sostenendola non come privilegio confessionale, ma come infrastruttura naturale del bene comune. Questo messaggio si inserisce in un contesto più ampio, in cui la Chiesa riafferma la propria differenza come servizio all’uomo, non per imporsi, ma per testimoniare.

      La Dottrina Sociale come Cammino Comune

      Nel suo discorso del 17 maggio 2025 alla Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice, Papa Leone XIV ha sottolineato che la Dottrina Sociale della Chiesa non è un insieme di verità imposte, ma un cammino comune verso la verità, frutto di ricerca, dialogo e discernimento. Ha evidenziato la necessità di un approccio aperto e corale, capace di rispondere alle sfide contemporanee con impegno, rigore e serenità.

      Conclusione

      Papa Leone XIV ha riaffermato con forza l’impegno della Chiesa nella promozione della giustizia sociale, della dignità umana e del bene comune universale. La sua visione si inserisce in una tradizione che affonda le radici nell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII e si sviluppa attraverso i successivi insegnamenti dei pontefici. In un mondo segnato da nuove sfide globali e da guerre, la Dottrina Sociale della Chiesa continua a offrire orientamenti per costruire una società più giusta, solidale e orientata al bene di tutti nella pace.

       

       *Professore di Politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”

      “Per una nuova stagione dei rapporti con la Russia” a cura di Giovanni Scanagatta e Stefano Sylos Labini

      PER UNA NUOVA STAGIONE DEI RAPPORTI CON LA RUSSIA

      Giovanni Scanagatta* Stefano Sylos Labini**

      Recentemente, il Commissario europeo per l’Energia, Dan Jorgensen, ha affermato che l’Unione europea non intende riprendere le importazioni di gas russo dopo un potenziale accordo di pace tra Ucraina e Russia. Bruxelles impedirà ai Paesi membri di firmare nuovi contratti di fornitura con Gazprom, cercando al contempo un modo per farli uscire dai contratti esistenti senza dover pagare penali per la violazione degli stessi.

      Nonostante i giudizi molto negativi dell’Unione europea, la Russia è ancora il secondo maggiore fornitore di gas dell’Unione, mentre l’Italia – secondo i dati forniti dall’osservatorio energetico britannico Ember – nel 2024 ha triplicato l’importazione di gas dalla Russia rispetto all’anno precedente, passando da 2,1 a 6,2 miliardi di metri cubi. È stato di gran lunga l’incremento più consistente all’interno dell’Unione europea, dove la crescita ha raggiunto il 18 per cento rispetto al 2023 (da 38 miliardi a 45 miliardi di metri cubi). Inoltre alcuni paesi europei come Ungheria e Slovacchia sono fortemente contrari all’interruzione delle importazioni di gas russo per motivi di costi e di sicurezza energetica.

      L’idea di azzerare le importazioni di gas russo è sorprendente perché siamo convinti che il raggiungimento di un nuovo ordine politico ed economico mondiale non può prescindere da un ristabilimento dei rapporti economici tra l’Unione europea e la Russia. La storia conferma ampiamente questa visione perché quando l’Europa ha provato ad isolare la Russia, la prima a rimetterci è stata l’Europa. Non dimentichiamo poi che l’Italia ha sempre avuto ottimi rapporti economici con la Russia.

      Lo stesso Presidente Trump sembra spingere per un ristabilimento dei rapporti economici tra la Russia e l’Unione europea, con l’obiettivo di creare condizioni favorevoli per una trattativa di pace tra la Russia e l’Ucraina.

      Sul piano economico, l’Unione europea e soprattutto l’Italia, realizzerebbero notevoli risparmi se ripristinassero le importazioni di energia dalla Russia ai livelli esistenti prima della guerra in Ucraina. Nel 2021, l’Unione europea importava dalla Russia circa il 45% del suo consumo di gas. Con l’interruzione delle forniture russe, l’Ue ha dovuto affrontare un aumento dei prezzi del gas e dell’elettricità a causa delle maggiori spese per l’acquisto da altri fornitori. L’Italia è stata particolarmente colpita dal nuovo scenario registrando un’impennata dei prezzi finali dell’energia che ha messo in gravi difficoltà le famiglie e il sistema industriale. Ripristinando gli acquisti di gas russo si potrebbero ridurre significativamente questi costi, accrescendo la competitività delle imprese e il potere d’acquisto delle famiglie.

      Per quanto riguarda la Russia, la sua economia è stata colpita duramente dalla perdita di gran parte del mercato europeo del gas. Attualmente il combustibile di Mosca soddisfa il 19% della domanda europea, in calo di oltre la metà rispetto al periodo precedente alla guerra. Le esportazioni di gas verso l’Europa sono costituite principalmente dal gas naturale liquefatto via mare e dal gas trasportato attraverso la Turchia lungo il gasdotto TurkStream.

      La Turchia importa molto gas russo: ne utilizza una parte in patria ed esporta il resto verso l’Europa sud-orientale. Ankara ha in programma di diventare un importante hub regionale di gas naturale, sia attraverso le importazioni dalla Russia e dall’Asia centrale, sia attraverso l’esplorazione e la produzione locali. Il governo turco ha anche reso pubblici i piani per sostituire sostanzialmente l’Ucraina come via di transito tra i giacimenti di gas russo e i consumatori europei. Per questo Bruxelles, pur volendo liberarsi definitivamente dall’energia russa, non può impedire che la Turchia si trasformi in un hub del gas, con grandi quantitativi provenienti da Mosca.

      In questo quadro, l’Unione europea dovrebbe impegnarsi per favorire i negoziati volti a concludere il disastroso conflitto in Ucraina e dovrebbe riprendere ad acquistare gas e petrolio russo, passo fondamentale per dare sollievo a famiglie e imprese che sono state messe a dura prova dall’aumento dei prezzi dell’energia negli ultimi tre anni. Una tale strategia presuppone un cambio radicale del modo di pensare della classe politica europea che non deve più considerare la Federazione Russa come un pericoloso nemico pronto a far scoppiare nuove guerre bensì come un partner economico e commerciale che può garantire una nuova stagione di pace e di prosperità.

      *Professore di Politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”

      **Gruppo Moneta Fiscale