Tra cristologia storica e simbolismo esistenziale: una critica a “Gesù e Cristo” (Vito Mancuso) di Giovanni Scanagatta
TRA CRISTOLOGIA STORICA E SIMBOLISMO ESISTENZIALE: UNA CRITICA A “GESU’ E CRISTO” DI VITO MANCUSO
Giovanni Scanagatta*
Nel suo ultimo libro, Gesù e Cristo, Vito Mancuso riprende una distinzione che ha attraversato più di un secolo di ricerca biblica e teologica: quella tra il Gesù storico e il Cristo della fede. L’autore non si limita a descrivere la tensione, ma vi costruisce sopra un’intera architettura teologica, restituendo al “Cristo” un valore prevalentemente simbolico e all’etica di Gesù la centralità normativa dell’esperienza cristiana. Proprio questa operazione, alquanto spiazzante, merita un’analisi critica.
- Gesù senza kerygma? Il limite di un’eccessiva polarizzazione
Mancuso adotta una separazione netta tra Gesù e Cristo, presentando il primo come maestro etico e il secondo come elaborazione teologica della comunità credente. Questa impostazione sembra derivare da una linea esegetica analizzata da autori come Bultmann, ma Mancuso la radicalizza ulteriormente sottraendo quasi del tutto a Gesù qualsiasi dimensione escatologica.
Il problema, sul piano teologico, è duplice:
- elimina la continuità tra evento Gesù e proclamazione apostolica, continuità che la maggior parte della ricerca non riduce a una mera invenzione post-pasquale;
- rende difficile spiegare perché una figura considerata solo come maestro morale abbia generato una tradizione cristologica così forte e immediata.
Il rischio è di ricadere in un nuovo Gesù liberale, eticizzato, modellato sull’orizzonte antropologico dell’autore.
- Una cristologia “bassa” che fatica a reggere la struttura del Nuovo Testamento
L’interpretazione del Cristo come “principio simbolico dell’unità dell’essere” permette a Mancuso di proporre una visione inclusiva e universalista, coerente con la sua filosofia della coesione. Tuttavia, da un punto di vista cristologico, questa lettura presenta almeno tre criticità:
- Evidente distanza dal dato neotestamentario:
Le cristologie presenti in Filippesi 2, Colossesi 1, Giovanni 1 e nel corpus paolino non possono essere facilmente ridotte a un’elaborazione simbolica della comunità. La maggior parte degli studiosi rileva che già le prime formulazioni cristiane sono fortemente elevate. - Problema della mediazione salvifica:
Se Cristo diventa simbolo, la domanda rimane senza fondamento ontologico. Che cosa significa “salvare” in un sistema dove non esiste un’azione reale di Dio nella storia, ma solo un simbolo ispiratore? - Perdita del nesso pasquale:
La risurrezione viene interpretata come passaggio simbolico e non come evento. Questo svuota la logica interna del cristianesimo primitivo, che trova nella Pasqua non un archetipo esistenziale, ma un fatto fondativo.
- Antropologia teologica: forza o cedimento?
Uno dei contributi più noti del pensiero di Mancuso è la sua antropologia spirituale, centrata sul concetto di libertà e sull’idea di un universo orientato verso la coesione. Nel libro, questa visione sincretista diventa la chiave per reinterpretare Cristo come “forma suprema dell’umanizzazione”.
La prospettiva solleva questioni teologiche importanti:
- teleologia cosmica non dimostrata: la concezione evolutiva dell’essere verso l’armonia non trova un fondamento né nelle Scritture né in una teologia della creazione classica;
- insufficiente distinzione tra ordine naturale e soprannaturale: Mancuso rifiuta la trascendenza ontologica del Logos, ma mantiene un linguaggio spirituale che sembra richiedere proprio ciò che teologicamente esclude;
- riduzione del mistero cristiano al paradigma etico: l’esperienza sacramentale, ecclesiale ed escatologica risulta marginale, come se la dimensione morale potesse esaurire l’intera esperienza cristiana.
- Ecclesiologia implicita: l’assenza problematica
La posizione di Mancuso implica un modello di Chiesa radicalmente decentrato rispetto alla tradizione: comunità etica, non corpo di Cristo; luogo di ricerca spirituale, non spazio sacramentale della presenza. Questa impostazione risulta teologicamente problematica:
- contraddice la struttura sacramentale della fede cristiana, basilare in tutte le confessioni storiche (non solo cattolica);
- svuota di significato la nozione di Tradizione come trasmissione vivente dell’esperienza apostolica;
- rende superflua l’istituzione ecclesiale, ridotta a “facilitatore morale”.
Il risultato è una cristologia che regge solo in una Chiesa che non è più Chiesa.
- Conclusione
Gesù e Cristo di Mancuso è un testo provocatorio e molto discutibile sul piano teologico. In Mancuso il linguaggio religioso tradizionale sembra diventare opaco. Dal punto di vista teologico, il suo progetto presenta limiti sostanziali:
- riduce la cristologia a un’antropologia spirituale,
- indebolisce la dimensione ontologica del Cristo,
- sottrae alla Pasqua il suo carattere di evento,
- e propone un cristianesimo senza vera ecclesiologia.
Il risultato è un sistema difficilmente compatibile con il cristianesimo storico nelle sue forme bibliche, patristiche e conciliari.
Un libro, in definitiva, che lascia aperta la domanda decisiva:
“se Cristo è solo simbolo, cosa resta del Cristianesimo come evento”? La risposta è una sola: “la vera Fede non può separare la figura e il messaggio di Gesù di Nazareth dalla realtà del cristianesimo nei suoi duemila anni di storia”.
*Professore di Politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”
