“La grande rivoluzione dell’Intelligenza Artificiale: siamo solo agli inizi” a cura di Giovanni Scanagatta

LA GRANDE RIVOLUZIONE DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE: SIAMO SOLO AGLI INIZI

Giovanni Scanagatta*

Alcuni hanno definito l’intelligenza artificiale (IA) una grande rivoluzione simile a quella della scoperta dell’elettricità. E siamo solo agli inizi, per cui l’affermazione non appare esagerata.

Negli ultimi anni abbiamo avuto una forte accelerazione del progresso scientifico e tecnico in diversi campi: tecnologie dell’informazione e della comunicazione, biotecnologie, nanotecnologie, nuovi materiali, robotica, nuove fonti di energia con sviluppi del nucleare. Tutte queste aree verranno penetrate in modo orizzontale dall’intelligenza artificiale con grandi convergenze dagli esiti inimmaginabili. Avremo robot intelligenti in grado di badare alle faccende domestiche, ad assistere gli anziani e a colloquiare con loro per non farli sentire soli. E questo è un esempio per indicare che in futuro tutto sarà letteralmente rivoluzionato: nuovi modi di vivere, di produrre, di consumare, di lavorare. Aumenterà il tempo libero perché l’intelligenza artificiale ci libererà dalla fatica della mente, dopo che le varie rivoluzioni industriali ci hanno liberato dalla fatica delle braccia. La speranza è che il maggiore tempo disponibile sia dedicato all’arricchimento culturale e spirituale della persona e non ad uno sfrenato consumismo.

Tutto questo è stato intuito da un grande economista austriaco già agli inizi del secolo scorso:  Joseph Schumpeter che nel 1911 ha pubblicato un’opera fondamentale intitolata “Teoria dello sviluppo economico”. L’artefice dello sviluppo, secondo Schumpeter è l’impreditore innovatore, da distinguere dal manager. L’innovazione va intesa in modo molto ampio. Non solo innovazione di processo e di prodotto, ma anche scoperta di nuovi mercati, di nuovi metodi di comunicazione e di trasporto, di nuovi modelli organizzativi e gestionali delle imprese e così via. Quindi un’economia dinamica, e non statica, in cui il progresso scientifico e tecnico è endogeno. Nell’economia statica, il flusso circolare del reddito si ripete in modo costante e i prezzi sono governati dai costi, con profitti tendenzialmente nulli sotto la spinta della concorrenza. L’economia dinamica, con la scoperta di innovazioni rivoluzionarie, si caratterizza per mercati di tipo oligopolistico in cui i prezzi possono essere stabilmente mantenuti al di sopra dei costi medi, realizzando profitti.

Senza sviluppo, cioè economia dinamica, non ci sono profitti e senza profitti non c’è sviluppo. Questo processo naturalmente determina grandi ricchezze tipiche del sistema capitalistico e quindi possibili grandi disuguaglianze. E qui entra in scena il grande economista inglese Davide Ricardo che afferma che lo scopo fondamentale dell’economia è quello di spiegare le cause che determinano la ripartizione dei redditi e della ricchezza tra i fattori della produzione. Ma entra in scena anche J.M. Keynes con la sua domanda effettiva che determina lo sviluppo del reddito e dell’occupazione. Se la ricchezza è troppo concentrata in poche mani, con forti disuguaglianze, le propensioni totali al consumo sono troppo basse, determinando un moltiplicatore degli investimenti ridotto e quindi un livello del reddito insufficiente per assicurare la piena occupazione. Keynes propone allora l’intervento dello Stato con investimenti pubblici, per risollevare la domanda effettiva, il reddito e l’occupazione.

E’ interessante notare che la distinzione schumpeteriana tra economia statica ed economia dinamica la troviamo ben presente nell’economista italiano Marco Fanno che parla di economie progressive (M. Fanno, La teoria delle fluttuazione economiche, UTET, 1956).

Un altro punto fondamentale dell’opera di Schumpeter riguarda l’innovazione e la creazione di nuovi prodotti. Essi non sono, nella maggior parte dei casi, conseguenza della domanda dei consumatori ma frutto dell’imprenditore innovatore che li offre al mercato con intense campagne di marketing. Pensiamo al telefonino: non è che i consumatori abbiano chiesto alle imprese di produrli, ma sono le imprese che li hanno offerti al mercato.

Un terzo pilastro dello sviluppo è rappresentato per Scumpeter dalle banche che creano credito, consentendo all’imprenditore innovatore di creare beni e servizi per il mercato.

L’ IA è uno degli sviluppi tecnologici più rivoluzionari della nostra epoca. Essa sta cambiando profondamente il nostro modo di lavorare, di vivere e di pensare. Ecco alcuni aspetti chiave di questa rivoluzione:

  1. Avanzamenti nella tecnologia dell’IA

Negli ultimi anni, l’IA ha fatto enormi progressi grazie all’uso di modelli di apprendimento automatico (machine learning) e deep learning, che sono stati alimentati da enormi quantità di dati e da capacità computazionali sempre più potenti. Tecniche come il riconoscimento vocale, l’elaborazione del linguaggio naturale, la visione artificiale e la generazione automatica di contenuti sono diventate sempre più sofisticate e accurate.

  1. Trasformazione delle industrie

L’IA sta, ad esempio, trasformando settori come la sanità, i trasporti, l’energia, la finanza e la produzione:

  • Sanità: l’IA è utilizzata per diagnosticare malattie, analizzare immagini mediche, predire trattamenti e personalizzare le cure.
  • Trasporti: i veicoli autonomi sono un esempio di come l’IA possa rivoluzionare la mobilità, riducendo gli incidenti e ottimizzando i trasporti.
  • Finanza: l’IA è utilizzata per analizzare grandi volumi di dati finanziari, migliorando la gestione dei rischi, il trading e la prevenzione delle frodi.
  • I vantaggi delle grandi imprese rispetto alle piccole e medie imprese si possono, con l’IA, ridursi notevolmente. Le relazioni con i clienti  e con i fornitori possono essere ottimizzate indipendentemente dalla dimensione delle imprese; i rischi di natura ambientale, sociale e di governance possono essere notevolmente ridotti con l’ausilio dell’IA; lo stessa cosa dicasi per le campagne di marketing. Aumentano, in definitiva, con l’IA i vantaggi del modello “piccole imprese e grandi reti” rispetto al modello alternativo “grandi imprese integrate”. Tutto questo offre grandi opportunità al nostro sistema economico fondato sulle imprese di piccole e medie dimensioni. Per coglierlo dobbiamo soddisfare una serie di condizioni, tra cui lo snellimento burocratico che appesantisce enormemente il sistema e una maggiore autonomia delle imprese.
  1. Cambiamento nel lavoro e nelle professioni

L’IA ha il potenziale di automatizzare molte attività ripetitive e di routine, portando a una trasformazione dei posti di lavoro. Sebbene ciò possa aumentare l’efficienza e ridurre i costi, solleva anche preoccupazioni relative alla perdita di posti di lavoro, richiedendo una maggiore attenzione alla riqualificazione e alla formazione delle persone.

  1. Etica e regolamentazione

Con l’aumento dell’uso dell’IA, emergono fondamentali preoccupazioni etiche. La trasparenza, la responsabilità e la privacy sono temi cruciali. Le decisioni prese dall’IA devono essere comprensibili e spiegabili, specialmente in ambiti come il diritto, la sanità e la finanza, dove gli errori possono avere conseguenze gravi.

E qui sono di grande aiuto i grandi valori della Dottrina sociale della Chiesa che sono lo sviluppo integrale dell’uomo e la sua dignità, la solidarietà, la sussidiarietà, la destinazione universale dei beni, il bene comune. Il Papa che ha dedicato maggiore attenzione agli aspetti morali ed etici della tecnica è stato Benedetto XVI, con un intero capitolo, il sesto, che parla dello sviluppo dei popoli e la tecnica. Non era mai successo nella lunga storia del pensiero sociale della Chiesa, dalla Rerum novarum di Leone XIII del 1891 ad oggi. Ecco le parole di Benedetto XVI che troviamo nel punto 70 della Caritas in veritate: “La tecnica attrae fortemente l’uomo, perché lo sottrae alle limitazioni fisiche e ne allarga l’orizzonte. Ma la libertà umana è propriamente se stessa, solo quando risponde al fascino della tecnica con decisioni che siano frutto di responsabilità morale”.

  1. Futuro dell’intelligenza artificiale

Il futuro dell’IA è affascinante e pieno di possibilità. Ci sono speranze per applicazioni sempre più avanzate in vari campi, ma anche preoccupazioni riguardo alla creazione di intelligenze artificiali troppo potenti e incontrollabili. La cosiddetta intelligenza artificiale generativa (AGI), che sarebbe in grado di svolgere qualsiasi compito cognitivo umano, è ancora lontana, ma gli sviluppi in quella direzione potrebbero cambiare radicalmente la nostra civiltà.

La grande rivoluzione dell’IA non riguarda solo la tecnologia in sé, ma anche come essa interagisce con la società, influenzando la nostra vita quotidiana, le nostre decisioni politiche e le nostre strutture economiche. In definitiva, siamo solo all’inizio di una trasformazione che potrebbe avere un impatto rivoluzionario sul nostro futuro.

  

Nota. La relazione stimata tra variazioni percentuali della popolazione mondiale e variazioni percentuali della produttività mondiale in più di 2 mila anni di storia dalla nascita di Cristo, è la seguente: ∆%POP = 0,15 + 0,67 (∆%RED – ∆%POP), dove POP rappresenta la popolazione mondiale e RED il reddito mondiale. Il coefficiente di determinazione tra le due variabili risulta elevato e pari a 0,90. Secondo tale relazione lineare, un aumento del reddito mondiale del 3% porta ad un aumento della popolazione mondiale dell’1,29%. Quindi una produttività dell’1,71%.

 *Professore di Politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”

 Roma 3 marzo 2025

“La bassa crescita delle imprese italiane rispetto alle imprese americane” a cura di Giovanni Scanagatta

LA BASSA CRESCITA DELLE IMPRESE ITALIANE RISPETTO ALLE IMPRESE AMERICANE

Giovanni Scanagatta*

Ci sono diversi metodi per misurare la crescita delle imprese e qui viene proposto il metodo delle quotazioni di borsa. Secondo tale metodo, il rapporto tra prezzo delle azioni e utili per azione è uguale al reciproco del tasso di interesse reale meno il tasso di crescita atteso dell’impresa, al netto della variabilità di questo tasso. Il secondo termine va poi moltiplicato per il rapporto tra dividendi e utili.

Il metodo presenta alcuni problemi connessi alla variabilità del prezzo delle azioni sul mercato di borsa e alla politica dei dividendi da parte delle imprese. In relazione alla politica dei dividendi, l’impresa dovrebbe mandare segnali “corretti” al mercato con una relazione equilibrata tra gli stessi e la redditività dell’impresa. Perché, al limite, l’impresa potrebbe essere in perdita e distribuire ugualmente dividendi attraverso l’indebitamento.

Sul tema della distribuzione dei dividendi è interessante ricordare la diatriba tra H. Ford e il fratelli Dodge all’inizio del novecento con l’avvio della motorizzazione diffusa. I fratelli Dodge, che avevano investito capitali nella società automobilistica, avevano fatto causa a Ford perché distribuiva scarsi utili agli azionisti. Ford giustificava questa politica affermando che era importante remunerare adeguatamente i dipendenti per consentire loro l’acquisto delle automobili fabbricate dalla Ford, piuttosto che distribuire lauti dividendi agli azionisti. Ford perse la causa e questo fa capire l’orientamento del capitalismo americano di quell’epoca. Emerge qui l’importanza della domanda effettiva keynesiana per raggiungere un livello di produzione compatibile cn una bassa disoccupazione. In questo modo viene rovesciata la teoria degli sbocchi di Say: non è l’offerta che crea la propria domanda ma l’inverso.

Ci si propone ora di confrontare la crescita attesa di tre imprese americane con tre italiane utilizzando il metodo delle quotazioni di borsa. Le imprese americane sono Apple, Starbucks e Nike; quelle italiane sono Enel, Eni e Leonardo.

Apple ha un rapporto prezzo delle azioni/utili di 39 (18/02/2025), un prezzo delle azioni di 241 dollari e una capitalizzazione di borsa di 3674 miliardi. Colpisce la capitalizzazione di borsa di Apple, pari al 50% in più del prodotto interno lordo italiano. In questo caso, il rendimento istantaneo delle azioni Apple è del 2,6%, naturalmente nell’ipotesi che venga acquistata un’azione Apple prima del pagamento del dividendo e venga venduta subito dopo, nell’ipotesi che in questo breve lasso di tempo non ci siano variazioni del prezzo del titolo. SE invece il titolo viene tenuto per un tempo superiore, bisogna aggiungere al rendimento connesso al dividendo, il guadagno o la perdita in relazione all’andamento del titolo stesso. Per esempio, nelle ultime 52 settimane, la differenza tra il prezzo massimo e quello minimo delle azioni Apple è stato notevole, 260 contro 164, con una variazione percentuale in un anno del 59%. Se, ipoteticamente, un investitore avesse comperato il titolo Apple a 164 all’inizio dell’anno e venduto a 260 alla fine dell’anno, il rendimento complessivo sarebbe di quasi il 62%, compreso il dividendo di circa 6 dollari per azione.

Starbucks presenta un rapporto prezzo delle azioni/utili di 36, un prezzo delle azioni di 113 dollari e una capitalizzazione di borsa di 128 miliardi.

Nike ha un rapporto prezzi/utili di 23, una quotazione di 73 dollari per azione e una capitalizzazione di borsa di 108 miliardi.

Calcoliamo ora, usando la formula sopra indicata, il tasso di crescita atteso delle tre società americane, supponendo un tasso di interesse reale del 3% e una distribuzione dei dividendi pari al 50% degli utili.

La crescita attesa di Apple è del 2,7%, quella di Starbucks del 2,6% e la crescita attesa di Nike dell’1,8%.

Vediamo ora i rapporti prezzi/utili di Enel, Eni e Leonardo, nonché i rispettivi prezzi delle azioni e le capitalizzazioni.

Enel ha una capitalizzazione di borsa di 69 miliardi, un prezzo delle azioni di 6,8 euro e un rapporto tra prezzo e utili delle azioni di 10.

Eni ha una capitalizzazione di borsa di 46 miliardi, un prezzo per azione di 14 euro e un rapporto tra prezzo delle azioni e utili di 18.

Leonardo presenta una capitalizzazione di borsa di 17 miliardi, un prezzo per azione di 35 euro e un rapporto prezzo/utili di 19.

Sulla base di questi dati, la crescita attesa di Enel è di -0,1%, di Eni dell’1,2%, di Leonardo dell’1,4%.

Come si nota, la crescita attesa delle tre società americane è decisamente superiore a quella delle tre società italiane.

Vediamo ora la crescita attesa delle sei società considerate nell’ipotesi di un rapporto tra dividendi e utili non più pari al 50% ma al 30%.

Ecco i risultati:

Apple: 3,2%

Nike: 2,7%

Starbucks: 3,1%

 Il grafico seguente illustra le crescite attese delle sei società analizzate sulla base del rapporto tra prezzo e utili per azione nelle due ipotesi di dividendi del 50 e del 30%.

 GRAFICO

Il grafico mostra che quando le società trattengono una maggiore quota degli utili, aumenta la crescita attesa. In questo modo le imprese hanno maggiore risorse per gli investimenti, soprattutto per finanziare le spese in ricerca e sviluppo, e in questo modo si può accrescere lo sviluppo dell’impresa.

Riferendoci al caso Apple, se la società avesse trattenuto tutti gli utili, il tasso di crescita atteso salirebbe al 4%.

In definitiva, il tasso di crescita atteso di una società, secondo il metodo delle quotazioni di borsa, dipende dal rapporto tra prezzo delle azioni e utili per azione, dal rapporto tra dividendi e utili e dal rischio connesso alla variabilità della crescita attesa, a parità di tasso di interesse reale. Naturalmente, maggiore è il tasso di variabilità della crescita attesa, che va visto come un indicatore di rischio, maggiore sarà la crescita attesa con una relazione positiva con il rischio.

*Professore di Politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”

 

 

“L’alto prezzo dell’oro: la storia si ripete” a cura di Giovanni Scanagatta e Stefano Sylos Labini

L’ALTO PREZZO DELL’ORO: LA STORIA SI RIPETE

Giovanni Scanagatta*  Stefano Sylos Labini**

Nel 1811, il grande economista inglese Davide Ricardo ha scritto un’importante monografia sull’alto prezzo dell’oro. Sulle cause, si contrapponevano due scuole: banking school e currency school. Ricardo era sostenitore della currency school e attribuiva l’alto prezzo dell’oro all’eccesso di creazione di moneta che determinava una svalutazione della sterlina rispetto all’oro. La banking school riteneva invece che l’alto prezzo dell’oro dipendesse dal deficit della bilancia commerciale britannica, a causa soprattutto del cattivo raccolto.

Negli ultimi 50 anni il prezzo dell’oro ha mostrato un trend stabilmente crescente, con contenute oscillazioni attornio al trend. Attualmente (21/1/2015) il prezzo dell’oro fino ha raggiunto la punta di 85 euro al grammo e si prevede che fra non molto arriveremo ai 100 euro. Il prezzo a termine ad un anno supera il valore della parità al tasso d’ interesse, con un prezzo vicino ai 90 euro al grammo.

L’oro, come è noto, costituisce il bene rifugio per eccellenza contro l’inflazione e le incertezze di tipo geopolitico e geoeconomico. Altrettanto succede per le criptovalute, a partire dalla più conosciuta: il bitcoin. Il novo Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha lanciato una sua criptovaluta che in pochi giorni è aumentata del 600%. Ma le criptovalute, a differenza dell’oro, hanno un prezzo che mostra un’alta volatilità.

Trump ha anche disposto che la Federal reserve detenga bitcoin nelle proprie riserve valutarie e questo offre la possibilità di intervenire sul mercato aperto per stabilizzarne il prezzo.

La svolta verso le criptovalute della politica americana offre anche l’opportunità di allentare lo scontro con i BRICS che non tollerano più il dollaro come moneta egemone mondiale. Questa tendenza può consentire agli USA di subire meno i contraccolpi sul cambio della propria moneta a causa di eventi difficilmente controllabili. Le criptovalute diventerebbero in questo modo moneta privata (peer to peer) mondiale indipendente dalle politiche monetarie discrezionali delle banche centrali, a partire dalla Federal reserve americana, Anche la Banca centrale europea (BCE) dovrebbe riflettere a fondo su queste problematiche pensando ad un nuovo ordine monetario mondiale.

Un aspetto interessante riguarda la relazione tra i prezzi dell’oro e quelli dei bitcoin. L’evidenza empirica mostra che in alcuni periodi la correlazione è positiva e significativa. Ma in altri, la correlazione è nulla e anche negativa. E’ quindi opportuno, per gli avversi al rischio, diversificare i portafogli detenendo una quota di oro assieme ai bitcoin.

Un’ultima considerazione riguarda il tasso di cambio del dollaro che si è apprezzato in concomitanza con la presidenza Trump, raggiungendo quasi la parità con l’euro. E questo è un problema per Trump perché deve fare fronte all’enorme deficit della bilancia commerciale  americana. Può ricorrere ai dazi, ma questo risulta problematico perché i dazi aumentano le spinte inflazionistiche a causa della rigidità della domanda, chiamando in causa politiche monetarie restrittive che frenano la crescita e l’occupazione.

La corsa all’oro e alle criptovalute dovrebbe frenare l’apprezzamento del dollaro, contribuendo al riequilibrio della bilancia commerciale americana.

*Professore di Politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”

**Gruppo Moneta Fiscale

“Quale sarà la politica monetaria della Federal Reserve e della BCE nel 2025?” a cura di Giovanni Scanagatta

QUALE SARA’ LA POLITICA MONETARIA DELLA FEDERAL RESERVE E DELLA BCE NEL 2025?

Giovanni Scanagatta*

Siamo agli inizi del 2025 ed è utile chiedersi quale potrebbe essere la politica monetaria della Federal reserve americana e della Banca Centrale Europea nel corso dell’anno. Naturalmente, le valutazioni vanno fatte alla luce del nuovo scenario che si è venuto a creare con l’elezione di Donald Trump a nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America.

Uno degli obiettivi fondamentali dichiarati da Trump in campagna elettorale è quello del riequilibrio della bilancia commerciale americana che presenta un enorme e crescente deficit, soprattutto nei confronti dell’Europa e della Cina. Per questo, ha minacciato l’introduzione di dazi all’importazione, anche se tale misura tende a spingere verso l’alto l’inflazione, in presenza di una domanda sostanzialmente rigida dei beni importati. Ciò chiamerebbe in causa politiche monetarie restrittive con il rialzo dei tassi di interesse di policy, con conseguenze negative per la crescita e l’occupazione. Ma esiste anche lo strumento del tasso di cambio del dollaro che Trump vuole abbastanza debole per favorire le esportazioni.

Come abbiamo visto, prima e subito dopo l’insediamento del nuovo Presidente americano, il dollaro si è notevolmente apprezzato rispetto all’euro, raggiungendo quasi la parità. Negli ultimi giorni, invece, la forza del dollaro si è notevolmente attenuata con un deprezzamento in poco tempo di quasi il 4%. Le quotazioni a termine ad un anno mostrano livelli ancora più alti della parità del cambio a termine sulla base del differenziale d’interesse tra gli Usa e l’Europa, indicando aspettative di ulteriore deprezzamento del dollaro.

Queste tendenze del dollaro si possono collegare ai notevoli acquisti di oro da parte delle principali banche centrali e, in particolare, della Cina e della Russia. Ma anche alla grande domanda di criptovalute, in primis il bitcoin. Tutto ciò può attenuare il conflitto americano con i BRICS che vogliono creare un sistema di pagamenti non più basato sull’egemonia mondiale del dollaro, ma sulle criptovalute, sull’oro e su monete paniere. Anche l’oro ha subito dei forti aumenti negli ultimi mesi, con un trend regolare e stabile di crescita e modeste oscillazioni attorno al trend, a differenza del bitcoin che mostra un’alta volatilità.

L’economia europea ristagna e la crescita trainata dalle esportazioni, pensiamo alla Germania, incontra sempre maggiori ostacoli, soprattutto alla luce della politica dei dazi di Trump. L’Europa deve pensare ad un grande programma di investimenti pubblici e privati per migliorare la sua competitività e la crescita, piuttosto che pensare solo all’introduzione di nuove regole che appesantiscono e ingessano l’economia. Non dimentichiamo che Trump ha creato un nuovo Ministero per sburocratizzare il sistema economico e sociale.

In questo quadro negativo per l’Europa, l’economia italiana è quella che va meglio, anche se non mancano i problemi come, ad esempio, la realizzazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Sono troppi gli impacci burocratici a livello statale e locale che frenano l’esecuzione veloce ed efficace del PNRR. Va inoltre ricordata che gran parte delle risorse del PNRR va rimborsata, trattandosi di debiti. La parte a fondo perduto è molto più bassa, in confronto alla Spagna che è la seconda beneficiaria dell’Unione europea in termini di risorse ricevute.

Se il dollaro si deprezza, sono danneggiate le esportazioni europee e quindi quelle italiane. C’è quindi da chiedersi come potrebbe reagire la BCE di fronte a questa situazione, anche se bisogna ricordare che l’obiettivo primario della BCE è quello di difendere il potere d’acquisto della moneta. Ma non può dimenticare l’obiettivo della crescita e dell’occupazione e quindi dovrebbe continuare ad allentare la politica monetaria con un continuo ribasso dei tassi di interesse. Si profila pertanto, come del resto sta già avvenendo, uno scenario di riduzione parallela dei tassi di interesse di policy da parte della Federal reserve americana e della Banca Centrale Europea.     

*Professore di Politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”  

 

Roma, 1 febbraio 2025

“La crisi dell’Unione Europea e il modello dell’Impero degli Asburgo” a cura di Giovanni Scanagatta

LA CRISI DELL’UNIONE EUROPEA E IL MODELLO DELL’IMPERO DEGLI ASBURGO

1.Scopo del presente contributo è di presentare un’ipotesi suggestiva e certamente ardita di quanto l’Unione europea potrebbe imparare dal modello dell’impero degli Asburgo per uscire dalla crisi che l’attanaglia.

L’Impero Asburgico, che si estese dal 1278 al 1918, cioè 640 anni, rappresenta una delle realtà politiche più longeve e complesse della storia europea. Sotto il dominio della Casa d’Austria, l’impero seppe mantenere una straordinaria stabilità e prosperità per secoli, attraversando numerosi cambiamenti geopolitici e conflitti. La sua grande forza ed efficienza si manifestarono sia sul piano militare che su quello amministrativo, economico e culturale.

L’inizio dell’era asburgica come potenza imperialista risale al 1278, con la vittoria di Rodolfo I d’Austria nella battaglia di Dürnkrut, che gli permise di divenire imperatore del Sacro Romano Impero. Da questo momento, la Casa d’Austria riuscì a consolidare il proprio potere attraverso matrimoni strategici, alleanze politiche e la gestione abile delle risorse interne. La dinastia asburgica acquisì vasti territori che si estendevano ben oltre i confini dell’Austria, abbracciando aree come i Paesi Bassi, la Spagna, l’Ungheria, la Boemia e la Lombardia.

Uno degli aspetti che più ha caratterizzato la forza dell’Impero Asburgico fu il suo esercito, che si distinse per la sua disciplina, la capacità di adattarsi alle nuove tecniche di guerra e la strategica posizione geografica che permetteva all’impero di affrontare nemici su più fronti. Le guerre di successione, come quella di Maria Teresa d’Austria, o i conflitti contro l’Impero Ottomano e la Francia, mostrarono l’efficacia di un esercito ben equipaggiato e motivato.

Nel XVIII secolo, sotto il governo di Maria Teresa e del figlio Giuseppe II, l’impero si dotò di una riforma militare che garantì una maggiore efficienza nelle operazioni belliche, rafforzando la capacità di difesa e di proiezione del potere oltre i confini. L’esercito austriaco si distinse anche per la sua capacità di combattere contro nemici più grandi, come le forze napoleoniche. La sua resistenza durante le guerre napoleoniche, pur non riuscendo a mantenere intatti i territori imperiali, dimostrò una notevole resilienza.

Uno degli aspetti distintivi dell’Impero Asburgico fu il suo sistema amministrativo e la gestione di un’entità politica così eterogenea. L’impero comprendeva territori che oggi fanno parte di numerosi Stati dell’Europa Centrale e Orientale, e la sua efficienza risiedeva nel riuscire a governare popolazioni con lingue, religioni e tradizioni diverse.

Il sistema amministrativo asburgico si basava su una struttura centralizzata che, pur rispettando la diversità regionale, permetteva un controllo efficace da parte della corte imperiale di Vienna. Le riforme di Maria Teresa e Giuseppe II modernizzarono l’amministrazione, creando una burocrazia efficiente che favorì il progresso sociale ed economico. Tuttavia, l’elemento che garantì la continuità del potere asburgico fu la capacità di adattarsi alle circostanze politiche e di bilanciare i diversi interessi delle sue varie province.

Sul piano economico, l’Impero Asburgico sviluppò un sistema che stimolò sia l’agricoltura che l’industria. Le riforme agrarie di Maria Teresa permisero una maggiore produttività nelle terre, mentre il libero commercio all’interno dell’impero contribuì alla crescita di città come Vienna, Praga e Budapest. Inoltre, il controllo di importanti rotte commerciali tra Oriente e Occidente, grazie alla sua posizione strategica, permise all’impero di accumulare ricchezze e potere.

Il commercio di merci come il sale, il grano, il vino e i tessuti, unito a un sistema bancario che favoriva gli scambi commerciali, rinforzò l’economia asburgica. Le riforme fiscali di Giuseppe II migliorarono l’efficienza della raccolta delle imposte, ma furono anche accompagnate da una crescita delle spese per sostenere un apparato militare sempre più costoso.

L’impero Asburgico si caratterizzava per una solida moneta, come il tallero di Maria Teresa che, come nome, ricorda il dollaro. Si tratta di una condizione fondamentale per uno sviluppo economico sano e solido nel tempo.  Il tallero di Maria Teresa d’Austria è una moneta d’argento coniata a partire dal 1741, durante il regno dell’Imperatrice Maria Teresa, ed è stata ampiamente utilizzata in molte parti d’Europa e nei territori dell’Impero Asburgico. Il tallero pesa circa 28 grammi.

Il recto della moneta presenta il ritratto di Maria Teresa, (Maria Teresa, per grazia di Dio, Imperatrice), mentre il verso mostra l’arma dell’Imperatrice, con una corona e uno scudo araldico, accompagnato dalla data di coniazione e il valore tallero. La moneta divenne simbolo di stabilità economica ed è stata utilizzata come moneta di riferimento in diverse nazioni anche dopo la morte dell’Imperatrice.

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L’Impero Asburgico fu anche un grande centro di produzione culturale. Vienna, la capitale, divenne uno dei principali centri culturali d’Europa, accogliendo artisti, musicisti, filosofi e letterati provenienti da tutta Europa. La musica, in particolare, ha visto un enorme sviluppo, con compositori come Wolfgang Amadeus Mozart, Ludwig van Beethoven e Franz Schubert che contribuirono a fare di Vienna la capitale della musica classica.

L’impero, sotto il governo degli Asburgo, promosse anche la scienza e la filosofia, con l’istituzione di università e accademie. La corte di Vienna fu un luogo di grande fervore intellettuale, in cui si svilupparono idee che influenzarono profondamente l’Europa. Le riforme educative e le iniziative per l’alfabetizzazione aumentarono notevolmente il livello culturale della popolazione.

Nonostante la sua grande forza e l’efficienza amministrativa, l’Impero Asburgico incontrò nel XIX secolo numerose difficoltà. Il nazionalismo crescente, le tensioni tra i vari gruppi etnici e le sfide poste dalle guerre napoleoniche indebolirono l’impero. La crisi del 1848, le guerre contro il Regno di Sardegna e la crescente pressione di potenze emergenti come la Prussia portarono alla fine del dominio degli Asburgo su gran parte dei territori europei.

La Prima Guerra Mondiale segnò la fine definitiva dell’Impero Asburgico nel 1918, con la dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico. Tuttavia, nonostante la sua fine, l’eredità culturale, amministrativa e militare degli Asburgo continua a influenzare l’Europa anche nel XX e XXI secolo.

  1. L’Impero Asburgico, con la sua grande forza militare, la sua efficienza economica e amministrativa e la sua ricca tradizione culturale, rappresenta uno dei modelli più significativi di governo in Europa. La sua capacità di adattarsi ai cambiamenti storici e di gestire una realtà complessa e multiculturale lo ha reso uno degli imperi più longevi della storia. Pur affrontando numerose sfide nel corso dei secoli, la sua eredità è ancora viva in molti aspetti della vita moderna europea.

Gli Asburgo hanno saputo tenere in piedi e amministrare in modo sapiente e illuminato un impero che andava da oriente ad occidente, compresi i Balcani. Su questo l’Europa ha sostanzialmente fallito perché non ha saputo tenere insieme, come affermava Giovanni Paolo II, i due polmoni per respirare e salire in alto, cioè l’oriente e l’occidente dell’Europa, compresa la Russia.

Si doveva andare avanti sulla strada tracciata dall’unificazione delle due Germanie, Est e Ovest, ma non si è stati capaci per mancanza di visione storica e per l’incapacità di superare gli interessi nazionali che era indispensabile per costruire un’Unione europea forte e coesa. Si pensava, erroneamente, che fosse sufficiente la creazione della moneta unica perché tutto il resto sarebbe seguito secondo un meccanismo di tipo automatico, in forza di un pensiero di tipo illuministico. Si tratta della teoria funzionalista tanto cara ai francesi.

Un altro elemento che ha consentito per tanti anni la vita e il buon funzionamento dell’impero asburgico, come fattore di coesione, sono le radici cristiane, che sono invece state svilite con la nascita dell’Unione europea, rifiutando di inserire nella premessa della carta costituzionale questa fondamentale verità, su cui si era battuto con grande forza, ma inutilmente, Giovanni Paolo II.

  1. Il frantumarsi dell’impero asburgico ha avuto conseguenze negative per tutta l’Europa dopo la prima guerra mondiale. A questo contribuì fortemente il nefasto Trattato di Parigi del 1919 che mise in ginocchio la Germania con i pesantissimi pagamenti dei debiti di guerra.

E’ interessante ricordare che contro le ingiustizie del Trattato di Parigi del 1919, il grande economista inglese J.M. Keynes decise di dimettersi dalla Commissione economica, in rappresentanza del governo inglese. Nell’autunno del 1919 pubblicò, come atto di accusa contro il Trattato, la famosa monografia “Le conseguenze economiche della pace”. In tale monografia denunciò, tra l’altro, le gravi conseguenze economiche per tutti i paesi europei degli ostacoli posti alle relazioni commerciali tra la Germania e la Russia. Questo grave errore lo aveva ben capito, molti anni dopo, Angela Merkel che favorì con decisione i rapporti economici e commerciali tra la Russia e la Germania unificata. Poi però la storia ha fatto un salto indietro e l’Europa è ritornata a colpire con le sanzioni economiche la Russia, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.

  1. Ma torniamo al modello dell’impero degli Asburgo e alle conseguenze economiche della sua caduta dopo la prima guerra mondiale. Ne troviamo un’efficace sintesi nell’Introduzione al Bollettino economico della Banca Commerciale Italiana del 1931. Così si legge: “Il frantumarsi della Monarchia d’Asburgo spezzò una vasta unità industriale agrario-finanziaria, la quale serviva come ponte di passaggio tra l’Oriente europeo e l’Occidente, fra il mare del Nord e i paesi balcanici e il Sud. Tutto il commercio europeo si era stabilizzato sulla esistenza del sistema dei trasporti austro-ungarici, con le sue tariffe differenziali, sui metodi creditizi delle banche viennesi specializzate nel finanziamento caratteristico del Balcani; e nell’interno del vasto impero si era creata una perfetta divisione economica della produzione e del lavoro. Così una vasta zona territoriale con circa sessanta milioni di abitanti, posta al centro del sistema economico europeo, venne dopo la guerra a rappresentare uno dei punti di maggiore debolezza del nostro Continente e dal 1922 in poi visse con puntelli e con sistemi di artificio, che la crisi doveva far cadere per primi. Dall’Austria, con la crisi Credit-Anstalt, la situazione odierna doveva avere il proprio punto di partenza. E se gli accordi presi dopo il Rapporto di Parigi hanno dato un respiro a quei paesi, mettendo una parte di essi sotto la tutela amichevole della Lega delle Nazioni, nessuna misura organica però venne presa per ridare ossigeno  a vita ad un gruppo di Stati che, insistiamo su questo punto, rappresentano per la loro situazione geografica uno dei nodi vitali per la vita e i rapporti economici dell’Europa intiera”.

Per la verità, su questa analisi, il giudizio di Keynes nella monografia del 1919 è molto più severa del Bollettino economico della Banca Commerciale Italiana. Secondo Keynes, il Trattato di Parigi rappresenta il trionfo del potere dispotico dei vincitori della prima guerra mondiale, a partire dalla Francia di Clemenceau. E afferma che Clemenceau per portare casa gli interessi della Francia ha ingoiato la costituzione della Società delle Nazioni voluta dal Presidente americano Roosvelt. Ma la Società delle Nazioni avrebbe contato ben poco.

Al termine dell’Introduzione del Bollettino economico del 1931 della Banca Commerciale Italiana troviamo la domanda cruciale che riguarda l’attuale crisi dell’Unione europea. “Quanto durerà la crisi? La domanda va rivolta agli uomini politici, non agli economisti e agli uomini d’affari”. Una cosa è certa: dagli attuali uomini politici dell’Unione europea non possiamo attenderci risposte credibili. Preghiamo Dio che ci mandi uomini politici europei in grado di darci una risposta credibile a questa domanda per un vero futuro all’Unione europea, all’altezza dei padri fondatori dell’Europa che erano dei profondi cristiani.

Giovanni Scanagatta
Professore di Politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”