Dove ha origine la crisi greca? Quali le ragioni alla base di un braccio di ferro che sembra senza vie d’uscita? Questi alcuni degli interrogativi al centro del primo appuntamento del ciclo Dialoghi con l’Ucid, oggi parliamo di...proposto lo scorso 17 giugno dalla sezione di Padova dell’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti. Un tema oggi ancor più “urgente” e attuale, dopo l’esito del referendum di domenica scorsa.
A offrire spunti e stimoli per la riflessione sono stati in quell’occasione due ricercatori dell’Università di Padova: Alberto Lanzavecchia, docente di Finanza Aziendale dell’Università di Padova e Vincenzo Romania, docente di Sociologia dei Processi Culturali dell’Università di Padova.
Nella sua lucida analisi, che ha suscitato al termine un vivace dibattito, Lanzavecchia ha spiegato come una delle regole base dell’economia internazionale vuole che non sia possibile mantenere in contemporanea un regime di cambi fissi, la libera circolazione dei capitali e una politica monetaria indipendente: ecco che «gli Stati Membri dell’Europa hanno dovuto rinunciare alla sovranità monetaria, delegata a un ente superiore, sottratto alla democrazia (la Bce)».
Se sono ben noti i dati che fotografano gli effetti della crisi e i livello di indebitamento record di Grecia e Italia (rispettivamente al 170% e al 130%), forse non molti sono a conoscenza del fatto che la Grecia, dopo la Germania, è il Paese dell’Ue più virtuoso per quanto riguarda l’avanzo primario: in altre parole, senza la zavorra pesantissima del debito e degli interessi sul debito, il Paese ellenico sarebbe oggi un Paese virtuoso. In termini assoluti, il debito greco ammonta a 330 miliardi, di cui l’80% in mano a istituzioni pubbliche (Bce, FMI, “Fondo Salva Stati”) inclusi circa i 40 miliardi detenuti dal nostro Paese.
Lanzavecchia ha poi spiegato come l’osservatorio Ocse che monitora l’avanzamento delle riforme classifichi la Grecia al primo posto per quanto riguarda il numero di riforme effettuate negli ultimi anni «eppure tutti gli indicatori economici ormai mostrano come la cura delle riforme lacrime e sangue non funziona perché non contribuisce alla ripresa e ha pesanti conseguenze sul piano della coesione sociale e della perdita di sovranità nazionale».
Un elemento interessante per leggere l’attuale crisi Greca è rappresentato anche dall’andamento della bilancia commerciale: i dati presentati da Lanzavecchia mostrano con chiarezza come, in corrispondenza dell’introduzione dell’euro, si sia creato un forte sbilanciamento fra import ed export in quasi tutti i Paesi europei (i c.d. PIGS), mentre a trarne un indubbio vantaggio è stata soltanto la Germania che ha visto lievitare in modo impressionante le proprie esportazioni. In una situazione di cambi fissi, non potendo agire attraverso la svalutazione della moneta, ecco che, nelle economie più “deboli” come quella Italiana, per riequilibrare la competitività si è dovuto ricorrere alla leva dell’abbassamento del costo del lavoro, con inevitabili conseguenze sul piano sociale. Amara l’analisi di Lanzavecchia: «Senza una reale unione politica gli squilibri alla base del funzionamento dell’euro non si potranno mai risolvere. Stiamo pagando un prezzo alto anche in termini di perdita della democrazia, la sfera finanziaria (il regno dei mezzi) ha preso il sopravvento sulla politica (il regno dei fini). Eppure non mi sembra che ci sia alcuna reale volontà di andare verso un’unione politica e percorrere quel sogno dell’Europa dei popoli che era stato dei padri fondatori».
Se in Italia le conseguenze si sono fatte sentire in modo pesante, la situazione greca è di gran lunga peggiore e i dati presentanti da Romania sono impressionanti: dall’inizio della crisi la mortalità infantile è cresciuta del 43%, i suicidi del 100%, è raddoppiato anche il numero di malati di Aids. «Si respira un generalizzato aumento degli atteggiamenti individualisti e campanilistici, con una rottura del legame sociale».
Sia Lanzavecchia sia Romania hanno ribadito come l’austerity, che viene presentata dalla Troika come l’unica via possibile, in realtà «è un sistema di senso che riduce tutta la politica e la misurazione dei risultati dei governi in termini di riduzione del debito pubblico», disinteressandosi degli effetti e delle conseguenze sociali di questa situazione. «Un paradigma che il governo Tsipras sta provando a rompere – è la convinzione di Romania – e per queste ragioni, anche se l’ammontare del debito greco non è poi così rilevante nei bilanci dei creditori, la Troika non appare disposta a scendere a compromessi per non creare precedenti».
Le posizioni dei due analisti hanno suscitato un vivace dibattito e qualche critica: in sala c’è chi ha ricordato come la Grecia non sia certo esente da colpe, per la gestione “improvvida” della finanza pubblica – nascosta anche da “artifizi” per truccare i bilanci dello Stato – che ha portato il Paese sull’orlo del baratro.
«Osservazioni condivisibili – è stata la riflessione di don Marco Cagol, consulente ecclesiastico Ucid Padova – Mettendomi in ascolto della Parola “provoca” però il fatto che nella Bibbia c’è l’istituto sociale del giubileo, che prevedeva il condono dei debiti. Certo non si possono cancellare le responsabilità con un colpo di spugna, ma l’ultima parola non la possono e la devono mai avere i conti: in una situazione come quella che ci hanno descritto Lanzavecchia e Romania, dove la sfera politica non ha il primato ma è subordinata all’economia, il rischio forte è che chi regola l’economia non abbia davvero a cuore il bene comune».