Il sottosegretario al lavoro Luigi Bobba, già presidente nazionale Acli, è stato tra i protagonisti del convegno dedicato alla riflessione sul Jobs Act promosso lo scorso 10 luglio da Ucid Padova, Acli Padova e Pastorale sociale e del lavoro. Con lui Christian Ferrari, segretario generale Cgil Padova, l’imprenditore Stefano Pavan e don Marco Cagol, delegato diocesano per la pastorale sociale e del lavoro.
Il dibattito, moderato dal presidente Acli Padova Gianni Cremonese, è stato aperto dall’intervento del presidente Ucid Padova Flavio Zelco. Nel suo intervento, Zelco ha ricordato come i vescovi del Nordest, nel recente messaggio congiunto dedicato al tema del lavoro, hanno evidenziato che non bisogna aver paura del cambiamento, ma di accompagnarlo e, per così dire, anticiparlo investendo sui giovani. Come? Lasciando loro spazi ed opportunità ma dall’altro canto non archiviando i meno giovani, i quali anzi debbono essere portatori e indicatori del discernimento di cosa del passato deve essere custodito e cosa invece può essere lasciato.
Il segretario generale della Cgil ha invece proposto la sua ricetta: «Bisogna rimettere al centro il valore identitario del lavoro, la fase difensiva non è più sufficiente. Al jobs act di Renzi preferisco la ricetta di Obama, che per creare nuovi posti di lavoro ha adottato una politica espansiva attraverso nuovi investimenti. Un primo passo importante sarebbe l’allentamento del patto di stabilità per sbloccare nuovi cantieri da parte degli enti locali e “far ripartire il motore”. A livello cittadino servirebbe invece una cabina di regia per fare sistema fra i diversi soggetti del territorio e “intercettare” i fondi strutturali europei»,
Di segno diverso la ricetta di Pavan, che al governo non chiede tanto investimenti pubblici forti quanto la capacità «di creare le condizioni che facilitino l’imprenditorialità, e in questo senso il giudizio sul jobs act è positivo». Pavan ha poi ricordato come siano fondamentali gli investimenti nel campo della ricerca.
Da don Cagol sono arrivati alcuni spunti di riflessione: il delegato diocesano ha invitato i presenti a misurare il jobs act non solo con i “numeri”, ma secondo i criteri indicati dalla dottrina sociale della chiesa, in primis la capacità di prendersi cura anche dei più deboli rifuggendo alla “cultura dello scarto” .
Il sottosegretario Bobba ha invece riassunto in modo efficace le principali caratteristiche e finalità della riforma del lavoro. In primo luogo il riordino e la semplificazione complessiva dell’insieme dei contratti con la scelta prevalente del contratto a tutele crescenti che Bobba ha descritto come una rivoluzione culturale, perché «nel primo quadrimestre di quest’anno ha portato al raddoppio dei contratti a tempo indeterminato». Per quanto riguarda i sistemi di protezione sociale, ha aggiunto Bobba, la linea seguita è stata quella dell’universalità, eliminando in caso di perdita del lavoro le disparità fra dipendenti con contratti a tempo indeterminato e atipici. «Abbiamo inoltre introdotto la condizionalità della concessione del contributo alla scelta di seguire un percorso di reinserimento lavorativo, perché l’aiuto non si trasformi in assistenzialismo». Bobba ha sottolineato infine la volontà di porre fine allo squilibrio presente nel nostro Paese fra politiche passive e politiche attive di reinserimento, con un forte ricorso degli ammortizzatori cui corrisponde però una proposta molto debole e spesso inefficace in termini di percorsi di ricollocamento. Un intento che dovrà ora trovare risposta nella creazione di un’agenzia per il lavoro nazionale, perché il diritto al ricollocamento sia realmente esigibile e il riordino degli ammortizzatori non appaia come un indebolimento delle tutele.