Riportiamo qui di seguito il testo integrale di Flavio Zelco, presidente Ucid Padova, all’incontro del vescovo Claudio con le categorie economiche che si è svolto lo scorso 11 dicembre presso la sede della Camera di Commercio di Padova.
E’ doveroso innanzitutto ringraziare il Vescovo Claudio, che ben volentieri ha accettato di proseguire questo tradizionale appuntamento prenatalizio con le categorie economiche, organizzato dall’UCID e che da qualche anno grazie alla sensibilità del suo presidente si svolge nella sede naturale del mondo imprenditoriale ed economico. Come sempre il mio intervento prende il via dal Rapporto CENSIS sulla situazione sociale del paese che esce proprio a ridosso del nostro incontro. Le iniziali Considerazioni Generali, riportando una pensiero di Benedetto Croce: “L’identità di un popolo risiede nella sua storia, in tutta la sua storia, in nient’altro che la sua storia” proseguono dicendo: “E’ una convinzione condivisibile se pensiamo a come negli ultimi decenni gli italiani hanno via via costruito prima la loro saga di ricostruzione post-bellica, poi il loro inatteso miracolo economico con l’industrializzazione di massa, poi la loro presenza attiva in campo internazionale….. Ma è ancora più condivisibile se pensiamo alla inattesa e collettiva reazione vitale alla prolungata crisi degli ultimi anni, quando, di fronte alla temuta regressione verso la povertà, siamo stati capaci di mettere in campo il nostro “scheletro contadino”: un modello più disciplinato e sobrio di comportamenti individuali e collettivi.” Ormai è diffusa la consapevolezza che non si può ritornare alla situazione pre-crisi. Qualche segnale di ripresa inizia finalmente a manifestarsi, ma di certo è evidente che il paradigma dello sviluppo illimitato era ed è un’illusione.
Illuminanti le parole in questo senso di Papa Francesco nella Laudato Si (paragrafo 191): “Dobbiamo convincerci che rallentare un determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo a un’altra modalità di progresso e di sviluppo (…) possiamo scoprire che la diversificazione di una produzione più innovativa e con minore impatto ambientale, può essere molto redditizia. Si tratta di aprire la strada a opportunità differenti, che non implicano di fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma piuttosto di incanalare tale energia in modo nuovo.” E prosegue (paragrafo 193): “In ogni modo, se in alcuni casi lo sviluppo sostenibile comporterà nuove modalità per crescere, in altri casi, di fronte alla crescita avida e irresponsabile che si è prodotta per molti decenni, occorre pensare pure a rallentare un po’ il passo, a porre alcuni limiti ragionevoli e anche a ritornare indietro prima che sia tardi. Sappiamo che è insostenibile il comportamento di coloro che consumano e distruggono sempre più, mentre altri ancora non riescono a vivere in conformità alla propria dignità umana…..”.
In queste parole troviamo un invito a pensare in un modo fuori dagli attuali schemi, che rappresentano un’economia che è prevaricata dalla finanza, la quale sconfina addirittura nella finanza d’azzardo. Voglio ricordare l’assurdo esempio di un emendamento proposto alla legge di stabilità in discussione in questi giorni che vuol stanziare fino a 600 milioni a favore dei Comuni che mettono più slot machine. Non si tratta di adottare un modello di decrescita felice come vorrebbero i seguaci di Latouche, ma una diversa via per la crescita e lo sviluppo, più inclusiva e capace di mettere al centro la persona.
E’ una scelta difficile da accettare: – comporta costi sociali, – comporta un atteggiamento favorevole verso l’immigrazione in un momento come questo di profondi turbamenti, anche se è doveroso sottolineare che l’atteggiamento della maggioranza degli italiani non è aprioristicamente chiuso, – comporta il fare rete per aiutare chi si trova in difficoltà, al di là della delega allo Stato, inteso in tutte le sue declinazioni, come unica risposta al bisogno, – comporta, e questo sì che fa parte dei compiti dello Stato, la messa a regime di iniziative e strumenti che facilitino chi vuole rischiare nell’attività imprenditoriale rimuovendo irragionevoli vincoli burocratici italiani ed europei, non ultimo, ma non solo, nel campo del credito, che è e deve essere un volano facilitatore, e soprattutto avveduto, per la nascita di nuove imprese e non uno strumento di conferma della predominanza della finanza sul vivere civile, e recenti casi ne danno purtroppo conferma, ma ciò non sempre per colpa delle istituzioni bancarie ma di un approccio schizofrenico delle “alte burocrazie”. Si tratta di scelte difficili, che incidono anche profondamente nel tessuto sociale ed economico, ma si deve avere il coraggio di affrontare questa fase di trasformazione, questa “distruzione creativa” come la definisce Shumpeter.
Caro vescovo Claudio, Lei ha posto una domanda importante alla festa dell’Immacolata di martedì scorso: Il fondamento etico del nostro stare insieme è saldo? Proprio perché sono convinto che il nostro tessuto sociale abbia la forza e la capacità di affrontare questo difficile momento, la risposta è pienamente positiva.