Riceviamo e volentieri condividiamo la riflessione del Professor Giovanni Scanagatta proposta dal Comitato Tecnico Scientifico UCID Nazionale per il mese di aprile, dedicata al Codice di Camaldoli.
Per info: https://ctsucid.it/
Il Codice di Camaldoli
di Giovanni Scanagatta, Professore di politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”
Il codice di Camaldoli, costituisce ancora oggi, come allora, un ponte tra la cultura cattolica e le altre culture protagoniste della vita sociale in Italia, per potere dialogare, anche nel presente, delle strutture fondamentali del vivere civile, attraverso la promozione di azioni che tutelino i diritti inviolabili delle persone.
I protagonisti di Camaldoli seppero trasferire importanti valori della Dottrina sociale della Chiesa, testimoniando la vitalità e l’attualità degli insegnamenti di una storia secolare, ben consapevoli del valore della laicità dello Stato che deve essere aperto a tutte le istanze.
Redattori furono, tra altri, Pasquale Saraceno, Sergio Paronetto, Ludovico Montini, Aldo Moro, Giorgio La Pira, Paolo Emilio Taviani, Ezio Vanoni, Giuseppe Capograssi.
Il codice si compone di sette sezioni, con una introduzione, una presentazione e una postfazione: I. Lo Stato – II. La famiglia – III. L’educazione – IV. Il lavoro – V. Destinazione e proprietà dei beni materiali: produzione e scambio – VI. L’attività economica pubblica – VII. La vita internazionale.
Il codice parte da una premessa “forte” indicando il fondamento spirituale della vita sociale, in una comunità ormai smarrita e prigioniera di logiche di conquista e di potere; è questo il punto in cui il discorso degli esperti segna una rottura con il passato e si ritorna a parlare di dignità dell’uomo, cioè di un mondo degno dell’uomo, fondato sulla giustizia, ma anche sulla carità verso il prossimo, in un contesto nazionale e internazionale.
Lo Stato (sez. I) viene visto come un organo di garanzia che tutela e armonizza le libere attività umane, le quali sono “indipendenti nella loro natura dallo Stato stesso”, ordinandole secondo il principio del bene comune, ma a condizione del rispetto della persona umana che deve “conseguire la sua perfezione fisica, intellettuale e morale… ora dando e ora ricevendo per il bene suo e degli altri”.
Ma lo Stato è anche promotore della giustizia sociale “in modo che siano eliminate le situazioni di privilegio derivanti da differenze di classe, di ricchezza, di educazione e simili”. I cittadini devono partecipare alle forme giuridiche dell’attività legislativa, amministrativa e giudiziaria e designare i rappresentanti della pubblica autorità.
La famiglia (sez. II) è presentata come base di ogni sano ordinamento sociale secondo l’impostazione del diritto canonico e come istituto della legge naturale, ma si avvertono segnali di decadimento. Le politiche familiari proposte risentono naturalmente del contesto storico in cui si era evoluta la famiglia patriarcale in Italia; pur tuttavia si prende coscienza dell’autonomia e della responsabilità del “nucleo familiare” rispetto alla sua “rete” di legami.
Il tema dell’educazione (sez. III) si sviluppa intorno al valore e al fine della persona umana ed è liberato dalle ideologie, della sua subordinazione a “qualunque collettività: classe, razza, nazione, Stato, umanità”. Viene raccomandata una collaborazione scuola-famiglia nell’educazione dei figli e l’istituzione di “un numero sufficiente di scuole per la formazione dei cittadini”. Ma viene reclamato il diritto della “libertà della scuola” e un insegnamento libero e raccomandata per la ricerca scientifica e la cultura superiore “una vita autonoma e la indipendenza da ogni indebita influenza politica e della pubblica amministrazione”.
È reclamato il diritto al lavoro, che diventa “bene costituzionale”, (sez. IV) “per conseguire un reddito sufficiente alle necessità proprie e della famiglia” , ma anche l’esercizio dei diritti ad esso collegati, consentendo al lavoratore “per il buon andamento aziendale, anche al di fuori dello specifico compito ad essi assegnato di partecipare effettivamente ed attivamente, attraverso appropriati istituti, alla formulazione delle condizioni di lavoro e alla determinazione dei criteri di retribuzione”.
Il capitolo della destinazione e proprietà dei beni materiali, produzione e scambio (sez. V) si occupa della destinazione dei beni materiali a vantaggio comune di tutti gli uomini, in una logica di collaborazione tra i gruppi sociali, ma anche con intervento di mediazione o diretto dell’autorità nelle attività economiche. Si riconosce la proprietà privata e la proprietà collettiva con approfondimenti motivazionali nel campo della legge naturale, da cui si ricava il principio che “la proprietà privata dei beni strumentali ha una funzione sociale” e pertanto occorre ricercare “la più appropriata utilizzazione dei mezzi di produzione… in relazione ai bisogni comuni”.
L’attività economica pubblica (sez. VI) deve essere coordinata con l’iniziativa privata.
Lo Stato favorisce la formazione professionale dei giovani e disciplina lo statuto professionale dei lavoratori, “promuovendo eventualmente attività economiche trascurate dalla iniziativa privata, giudicate profittevoli al bene comune”. Incentiva la struttura agraria fondata sulla piccola proprietà, tenuto conto delle particolari colture ed esigenze tecniche. Lo Stato regola la concorrenza, tutela il risparmio mediante l’attività finanziaria, raccoglie i mezzi necessari per organizzare e per sostenere la spesa pubblica, “in rapporto al bisogno di ognuno, in modo che al maggiore bisogno corrisponda una maggiore prestazione di servizi pubblici”.
L’ultima sezione è dedicata alla vita internazionale (sez. VII).
La necessità delle relazioni internazionali nasce dagli interessi comuni dei popoli, che così realizzano le proprie finalità anche mediante la costituzione di organizzazioni internazionali.
Nel contesto del secondo conflitto mondiale, il tema è prioritario, laddove “la volontà di vivere di una Nazione non deve mai corrispondere alla sentenza di morte per un’altra …con la rinuncia a sistemi e pratiche che mirino a diffondere l’odio tra i popoli … procedendo con serietà e onestà ad un effettivo disarmo, mutuamente consentito”.
Le proposte sviluppate nel codice hanno radici certamente nella tragedia della seconda guerra mondiale, che rese palese ai popoli come certe ideologie dei primi del Novecento si erano materializzate in distruzioni, violenze e morte, perché la dignità della persona umana era scomparsa dalle visioni del totalitarismo. Nel codice emergono nuovamente i valori della persona umana, dei gruppi intermedi, delle rappresentanze democratiche, della tolleranza, della libertà; tali valori vengono fissati nelle carte costituzionali di numerosi Paesi coinvolti nel conflitto mondiale.
Lo Stato, secondo gli estensori del codice, vive nella società civile e non può sostituirsi ad essa ed è da essa che trae la linfa vitale affinché i diritti fondamentali proclamati siano realmente effettivi, secondo le istanze e le condizioni storiche, in equilibrio con le istanze comuni.
Il codice di Camaldoli è un manifesto di libertà responsabile, che coniuga i diritti e i doveri dei singoli con la vita dello Stato, il quale è chiamato a dialogare costantemente con i cittadini. Pasquale Saraceno e gli altri estensori del codice, di ispirazione cattolica, sono stati laici autentici che seppero confrontarsi apertamente con i loro interlocutori di altra ispirazione: liberale, repubblicana, socialista e comunista, presenti nell’Assemblea Costituente. Fondamentale è stato il loro contributo per fare nascere la Costituzione italiana del 1948.