Carissimi, diceva un saggio: “Preferisco essere positivo e sbagliarmi, piuttosto che negativo ed avere ragione”. La positività ci permette di affrontare anche le difficoltà più impegnative con uno spirito che può contribuire, come un pregiudizio, ad indirizzare persino il risultato finale.
Ciò detto, vediamo dove siamo. Da ieri anche gli addetti ai lavori cominciano a lasciar trasparire che le iniziative di contenimento stanno sortendo effetto. Inoltre il modello italiano via via viene sempre più adottato a livello europeo (UK esclusa che però non è più Europa!). Vale la pena di ricordare che il Veneto ha molto contribuito a settare queste best practices. Le nostre Autorità hanno avuto coraggio da vendere quando hanno deciso che la cittadina di Vo’ Euganeo doveva essere un macro-laboratorio (cinturazione, doppio tampone, isolamento dei malati e degli asintomatici). Oggi la nuova proposta di andare a tappeto per individuare gli asintomatici. Certe scelte non sono facili perché di certezze ce ne sono poche, ma dobbiamo restare fattuali ed allineati: il combinato disposto di una organizzazione sanitaria di prim’ordine, il sostegno dell’Amministrazione sempre sul pezzo in maniera concreta e trasparente, le polemiche ridotte al minimo fisiologico, ha creato le migliori condizioni perché i cittadini rispondessero in maniera esemplare a limitazioni mai viste in tempo di pace.
Nel frattempo, l’Italia dà il meglio: le imprese che pure sinora non avevano mai aderito con troppo entusiasmo al lavoro da casa, scoprono che si può fare e che, tutto sommato, funziona. La scuola, che pure aveva in cantiere la creazione di piattaforme didattiche on line, nel giro di qualche giorno ha messo in piedi un insegnamento a distanza interattivo, efficace, grazie alle insospettate capacità di insegnanti sempre sottostimati. Siamo sulla buona strada: restiamoci stando a casa!
Ancora non si vedono segni tangibili dell’esistenza di una comunità chiamata Europa. Considerando che il Covid19 non abbisogna di passaporto per attraversare le frontiere, sarebbe stato utile un coordinamento su tempi e modi di reazione; mentre invece non abbiamo ancora nemmeno uno standard comune con cui tenere la semplice contabilità dei danni; ciascun Paese ce la racconta come meglio ritiene, ed agendo a volte per miope convenienza. Se poi passiamo all’aspetto economico-finanziario, la cosa si fa ancora più imbarazzante. Il rischio è che l’impatto sulla nostra economia ci obblighi a chiedere sostanziosi aiuti; è prevedibile uno sforamento sul patto di stabilità che potrebbe arrivare anche alle due cifre considerando la contrazione del PIL. Qualunque sia lo strumento che, fra quelli oggi disponibili, venisse usato per “aiutarci”, il rischio è che sia condizionato ad una ristrutturazione del debito che passi per una riduzione di sovranità.
All’Europa oggi servirebbe un colpo di reni che producesse una visione politica ampia, per andare fuori da quello che oggi è codificato e praticato. Strumento dal valore politico straordinario all’origine, da tempo si è invece appiattita su aspetti burocratici atti a giustificare solo gli apparati; in troppi poi, ne hanno fatto solo una questione di puro calcolo economico. Questa non è l’Europa che ci serve. Il Covid19, con tutto il suo fardello di pesanti capitoli aperti, potrebbe essere l’occasione per riflettere sulla sua missione.