Sul settimanale L’Espresso del 25 dicembre scorso è apparso un articolo di Sandro Magister intitolato “Cosa pensa il papa del capitalismo?” Nella nota che segue vengono presentate alcune considerazioni critiche sulla chiave di lettura del giornalista riguardanti il pensiero sociale di Papa Francesco.

Il primo punto fa riferimento alla cerimonia di consegna del premio “Novak Award 2014” dell’Acton Institute (Stati Uniti d’America) che si è svolta a Roma presso l’Università Pontificia della Santa Croce. Il premio è stato conferito ad un giovane economista finlandese che ha tenuto una conferenza sul tema “Un apprezzamento pro mercato di Papa Francesco”. Dopo la conferenza, è seguito un intenso dibattito a cui ha partecipato il sottoscritto, evidenziando la difficoltà di collocare il pensiero sociale di Papa Francesco dal lato del mercato e quindi della produzione di ricchezza. Il mercato è una grande macchina per la produzione della ricchezza, ma crea grossi problemi sul piano della distribuzione perché si determinano grandi disuguaglianze che rendono il mondo ingiusto e senza pace. Ci deve allora pensare lo Stato, dice il mainstream,  a ridistribuire la ricchezza creata attraverso la tassazione e la spesa, realizzando la giustizia e il benessere generale. In questa visione, lo Stato è l’unico costruttore di bene comune (Welfare State), sacrificando il valore della sussidiarietà che è uno dei pilastri fondamentali della Dottrina Sociale della Chiesa.

Con Papa Francesco, si assiste ad un cambio di prospettiva della Dottrina Sociale della Chiesa perché ci si pone dal lato della distribuzione della ricchezza per creare un mondo più giusto sconfiggendo le disuguaglianze. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI con le loro encicliche sociali si ponevano invece dal lato della produzione della ricchezza, mettendo in grande rilievo il ruolo dell’economia d’impresa come via per lo sviluppo e la costruzione del bene comune. Il valore della libertà di intraprendere per creare sviluppo per il bene comune è molto presente nella Caritas in veritate di Bendetto XVI (2009), nella Centesimus annus (1991) e nella Sollicituto rei socialis (1987) di Giovanni Paolo II. Nella Caritas in veritate, le parole impresa, imprenditore, imprenditorialità, azienda vengono citate per più di 50 volte. Non era mai successo nella storia della Dottrina Sociale della Chiesa. Segue, per numero di citazioni di queste categorie, la Centesimus annus di Giovanni Paolo II. La Sollicitudo rei socialis dei 1987 condanna i sistemi comunisti e la teologia della liberazione nata in America Latina. Nella pretesa dell’uguaglianza, si crea con il comunismo un potere burocratico che appiattisce la libertà e la creatività dell’uomo, negando il diritto di iniziativa economica.

La forza del pensiero sociale di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI sta naturalmente nel fatto che non si può distribuire ricchezza se prima non la si crea. Emerge qui un principio fondamentale della Dottrina Sociale della Chiesa che è quello dello sviluppo, contrapponendosi alla teoria della decrescita felice di Serge Latouche e dei suoi seguaci. Gli altri grandi valori della Dottrina Sociale della Chiesa sono la solidarietà, la sussidiarietà, la destinazione universale dei beni, il bene comune.

Facendo un parallelo con la scienza economica, si può dire che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono vicini al pensiero di Adamo Smith della natura e delle cause della ricchezza (non della povertà) delle nazioni. Papa Francesco si pone invece più dal lato del pensiero di Davide Ricardo,  che afferma che lo scopo fondamentale della scienza economica è lo studio delle cause che determinano la distribuzione del reddito tra i fattori della produzione. Si aprono quindi i grandi temi delle teorie del valore e della distribuzione. Ci imbattiamo qui nella scienza economica nella teoria del valore lavoro e nella teoria marginalista. Seguendo la prima, si afferma che la distribuzione effettiva è ingiusta, mentre per la seconda è giusta in quanto a ciascuno viene dato quello che ha contribuito a creare in termini produttivi (uguaglianza tra produttività marginale del lavoro e salario reale).

Rimane il fatto che il pensiero di Papa Francesco si colloca dal lato della distribuzione della ricchezza, basandosi sull’osservazione concreta delle grandi disuguaglianze che esistono a livello mondiale e dello scandalo della povertà. Egli per questo nella Evangelii  gaudium (2013) dice no all’economia dell’esclusione, no all’idolatria del denaro, no al denaro che governa invece di servire, no all’ inequità che genera violenza. Nel punto 59 della Evangelii gaudium si legge: “Ma fino a quando non si eliminano l’esclusione e l’inequità nella società e tra i diversi popoli sarà impossibile sradicare la violenza. Si accusano della violenza i poveri e le popolazioni povere, ma, senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione”. Al termine del punto 59, Papa Francesco apre allo sviluppo per il superamento delle disuguaglianze: “Siamo lontani dalla cosiddetta “fine della storia”, giacchè le condizioni di uno sviluppo sostenibile e pacifico non sono ancora adeguatamente impiantate e realizzate”. Papa Francesco, in questo modo, lascia intendere che queste condizioni si possono raggiungere se ci facciamo illuminare dal Vangelo. Il capitolo quarto della Evangelii gaudium è infatti dedicato alla dimensione sociale dell’evangelizzazione.

Il secondo punto riguarda  l’affermazione del giornalista Sandro Magister, che mi sembra campata per aria,  relativa alla consonanza del pensiero di Papa Francesco con quello del filosofo Toni Negri, ispiratore delle Brigate Rosse. Viene interpretato male il punto della Evangelii gaudium in cui Papa Francesco dice no ad un denaro che governa invece di servire. Papa Francesco vuole dire che dobbiamo tornare ad un denaro e ad una finanza di “servizio”,  facendo ponte tra il presente e il futuro, a sostegno di uno sviluppo sostenibile e pacifico per la costruzione del bene comune. Toni Negri voleva invece la distruzione del sistema di mercato, per crearne un altro in cui la moneta nemmeno esisteva.

Per concludere, la Dottrina Sociale della Chiesa ci fa capire che Stato (ridistribuzione della ricchezza) e Mercato (creazione della ricchezza) sono insufficienti per la costruzione del bene comune. Occorre un terzo pilastro che è rappresentato dalla comunità civile, facendo leva sui valori della gratuità e del dono di cui parla Benedetto XVI nella grande enciclica sociale Caritas in veritate.