Si è più volte affrontato nelle nostre pubblicazioni (Ucid Letter, Rapporto Ucid, Sito internet) il tema della costruzione dell’Unione Europea, fatta sulla moneta e sulle banche. Costruzione, come si sta vedendo da più di un decennio, che ha mostrato tutti i suoi gravi limiti, anche perchè nel frattempo è sopraggiunta la crisi finanziaria e delle banche, poi rovesciatasi sul settore reale dell’economia con effetti molto negativi sulla crescita e sull’occupazione.

Ora la politica prosegue con la rivalutazione del capitale della Banca d’Italia, attuata con un recente decreto omnibus.

Il valore del capitale della Banca d’Italia era fermo dal 1936. ai tempi della famosa legge bancaria che aveva  introdotto la specializzazione del credito bancario, ed era pari a 156 mila euro. La proprietà di questo capitale della Banca Centrale era in mano, in gran parte, a banche pubbliche di interesse nazionale (Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano, Banca di Roma). Successivamente si è privatizzato il sistema bancario italiano con estese operazioni di acquisizioni e fusioni, che ha portato ad una drastica riduzione del numero degli intermediari finanziari bancari.

In conseguenza di tali forti trasformazioni, quasi nessuno ha sollevato il problema della proprietà della Banca d’Italia. E’ venuto fuori ora con la rivalutazione del capitale della Banca d’Italia, con i noti gravi contrasti sul piano politico.

La rivalutazione apportata al capitale della Banca d’Italia è pari a 7,5 miliardi di euro, ed è andata a vantaggio della Banca Intesa San Paolo e di Unicredit, che possiedono circa due terzi del capitale. Glia altri azionisti sono le Assicurazioni Generali, l’Inps e altri che detengono il 16%. Il resto è in mano a banche private con meno del 5% delle azioni.

Nel corso degli anni, la Banca d’Italia ha distribuito cospicui dividendi che sono andati a vantaggio delle banche proprietarie. Nel 2012, gli utili distribuiti sono stati pari a 70 milioni di euro.

A giustificazione dell’operazione, il Governo ha portato il fatto che in questo modo si rafforza la posizione patrimoniale delle banche, in vista degli stress test della Banca Centrale Europea e delle regole di Basilea III. Proseguendo con il ragionamento, il Governo sostiene che ciò migliorerebbe l’accesso al credito delle imprese, oggi molto danneggiate da un forte razionamento. A questo proposito, è utile ricordare che le maggiori banche italiane sono scese al di sotto del 30% come rapporto tra impieghi a favore della clientela e totale attivo. Registrano un valore superiore a tale rapporto le banche di credito cooperativo, molto legate al territorio e alle sue specifiche vocazioni.

Infine, un altro elemento che viene portato dal Governo a sostegno della operazione effettuata, sono le ridotte risorse finanziarie finora impegnate dal nostro Paese a favore delle banche, dopo lo scoppio della crisi nel 2008. Si tratta nel complesso di 6 miliardi di euro, rispetto ai 64 della Germania, ai 25 della Francia, agli 82 del Regno Unito, ai 60 della Spagna.

Tutto questo sta avvenendo nel quadro di una politica monetaria della Banca Centrale Europea di moneta a buon mercato, con forti immissioni di liquidità a favore delle banche del sistema, a tassi di interesse vicini allo zero. Risulta evidente che le banche utilizzano questi enormi flussi di liquidità a basso tasso di interesse per altri scopi, diversi da quelli del finanziamento dell’economia come dovrebbe avvenire in un sistema sano.