Le moderne teorie economiche stanno attraversando un periodo di profonda crisi per molte cause: prima fra tutte la completa indipendenza dall’etica. Si tratta di un grave errore messo in evidenza più di ottant’anni fa da Pio XI nella Quadragesimo anno (1931).
La Dottrina Sociale Della Chiesa, invece, inaugurata ufficialmente da Leone XIII nel 1891 con la Rerum novarum, mostra la sua eccezionale attualità perché si fonda sui grandi valori che riguardano la centralità della persona umana e di tutto il genere umano: libertà, responsabilità, dignità, creatività.
Dobbiamo allora chiederci quali sono i pilastri su cui si fonda la Dottrina Sociale della Chiesa. Si tratta dello sviluppo, della solidarietà, della sussidiarietà, della destinazione universale dei beni, del bene comune. I primi quattro costituiscono gli strumenti che consentono di raggiungere l’obiettivo fondamentale della Dottrina Sociale della Chiesa che è rappresentato dal bene comune. Il bene comune è bene di tutti e di ciascuno ed è diverso dal bene totale della scienza economica che può essere massimizzato ignorando completamente la giustizia distributiva. La ricchezza prodotta può essere grandissima, ma la maggior parte è a beneficio di pochi.
Il bene comune è invece un concetto moltiplicativo, e non addittivo come il bene totale, perché tutti devono partecipare ai benefici dello sviluppo senza esclusione alcuna. Ogni uomo infatti gode di pari dignità e l’esclusione dai benefici dello sviluppo, anche di una sola persona, azzera tutto il prodotto. Il fondamento del bene comune è l’etica e la massima espressione dell’etica è appunto il bene comune. Il nostro paradigma è l’etica cristiana delle virtù: sia le tre teologali che le quattro cardinali, numero significativo che ricorda anche i Sacramenti e i doni dello Spirito Santo.
Il bene comune è diverso anche dall’ottimo paretiano che si ha quando non è più possibile migliorare la situazione di coloro che stanno bene senza peggiorare la situazione di quelli che stanno male. Anche in questo caso non si tiene in alcun conto della giustizia distributiva e della relazione tra sviluppo e distribuzione del reddito e quindi del bene comune.
Viviamo in un’epoca di grande riduzionismo economico in cui prevale l’economicismo e il relativismo etico, come affermava Giovanni Paolo II nella Laborem exercens del 1981. La finanza è il cervello dell’economia nell’era della globalizzazione e chi ha in mano la finanza vuole sottomettere tutti, compresa la politica. Papa Francesco parla nella Evangelii gaudium di un denaro che governa invece di servire.
E’ utile allora chiedersi quante volte il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa del 2004, pubblicato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, fa riferimento ai grandi valori del pensiero sociale della Chiesa che abbiamo sopra indicato. Al primo posto figura lo sviluppo con 94 citazioni, seguito dalla solidarietà con 86. Il bene comune viene citato 83 volte e la destinazione universale dei beni 25 volte. La sussidiarietà viene citata 15 volte. Sviluppo, solidarietà, destinazione universale dei beni e sussidiarietà sono gli strumenti che consentono di raggiungere il grande obiettivo del bene comune. Esiste una relazione reciproca anche tra gli strumenti, come ad esempio tra solidarietà e sussidiarietà. La solidarietà senza la sussidiarietà crea burocratismo e appiattimento della propensione ad intraprendere e della creatività che è alla base dello sviluppo. La sussidiarietà senza la solidarietà crea disinteresse per gli altri, chiusura, egoismo ed annullamento della condivisione.
La solidarietà, come ci ha insegnato Giovanni Paolo II, non è un vago sentimento di compassione per gli altri ma la decisa volontà di perseguire il bene comune. E ancora Papa Giovanni Paolo II ci ha fatto capire che per realizzare il bene comune universale occorre globalizzare la solidarietà. Paolo VI nella Populorum progressio scrive che lo sviluppo è il nuovo nome della pace. Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis del 1987 affronta nuovamente il tema dello sviluppo, sulla strada tracciata da Paolo VI con la Populorum progressio. L’Enciclica introduce la differenza tra progresso e sviluppo e afferma che il vero sviluppo non può limitarsi alla moltiplicazione dei beni e dei servizi, ma deve contribuire alla pienezza dell’essere umano. In questo modo si delinea con chiarezza la natura morale del vero sviluppo. Nella Caritas in veritate, Benedetto XVI parla di sviluppo umano integrale. Non va poi dimenticata la relazione tra sussidiarietà e sviluppo che indica un preciso modello che valorizza lo sviluppo non imposto dall’alto. Il valore della sussidiarietà è stato introdotto da Pio XI nella Quadragesimo anno che ci dice che non deve fare l’ente superiore quello che può fare da solo l’ente inferiore: sussidiarietà verticale. Ad essa si affiancano la sussidiarietà orizzontale e quella circolare. E ancora il rapporto tra solidarietà e destinazione universale dei beni perché la proprietà privata, che origina dal lavoro ed è espressione di libertà, deve avere anche una funzione sociale. La ricchezza si sviluppa non solo difendendo la proprietà privata ma anche diffondendola.
Tutti questi valori della Dottrina Sociale della Chiesa sono stati impiegati come chiave di lettura dei temi riguardanti l’economia e la società che da alcuni anni vengono offerti periodicamente ai soci dell’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (UCID).
Il paradigma economico prevalente poggia sul binomio Stato-Mercato per il raggiungimento del bene comune. Il Mercato che rappresenta una potente macchina per la produzione della ricchezza e lo Stato che attraverso le imposte e la spesa la ridistribuisce per obiettivi di equità e di giustizia. Diverso è il pensiero della Dottrina Sociale della Chiesa che introduce un terzo pilastro accanto allo Stato e al Mercato per la costruzione del bene comune. Si tratta della comunità civile che si ispira ai valori profondi della gratuità e del dono per la costruzione del bene comune di cui parla Benedetto XVI nella Caritas in veritate. Con il terzo pilastro della comunità civile, la costruzione del bene comune dipende non solo dallo Stato ma dalle famiglie, dalle imprese, dalla scuola, dalle parrocchie, dalle associazioni e così via. Si tratta dell’applicazione del valore della sussidiarietà, come nel caso del welfare aziendale sussidiario. Abbiamo uno splendido esempio di tutto questo nella nostra Italia in cui il volontariato è una grande forza animata dall’amore per la solidarietà e il bene comune. Si tratta di 6-7 milioni di persone che rappresentano il 10% di tutta la popolazione.
Sono i grandi messaggi che ci danno Giovanni Paolo II e Benedetto XVI nella Centesimus annus e nella Caritas in veritate. In queste due Encicliche sociali emerge il ruolo fondamentale dell’imprenditore e dell’impresa come motori dello sviluppo per il bene comune. Giovanni Paolo II parla per questo in modo esplicito di economia d’impresa, piuttosto che di economia capitalistica. In segno di continuità con il pensiero sociale della Chiesa, Papa Francesco nella Evangelii gaudium afferma che la vocazione dell’imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita; questo gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo. Si tratta di un’affermazione che Papa Francesco ha ripetuto ai soci dell’UCID in occasione della memorabile Udienza Speciale del 31 ottobre 2015 in Vaticano.
Benedetto XVI ci ricorda che la globalizzazione ci ha reso più vicini ma non per questo più fratelli. Dobbiamo, dice il Papa emerito, costruire l’economia della solidarietà, puntando sullo sviluppo e la sussidiarietà per la costruzione del bene comune. Gli fa eco Papa Francesco dicendo che la solidarietà non è una brutta parola, ma un grande valore della Dottrina Sociale della Chiesa. Come sappiamo, questo valore figura all’inizio della nostra Costituzione, con i doveri inderogabili della solidarietà politica, economica e sociale.
I laici cristiani rappresentavano, quando è nata la Costituzione, la linea più avanzata della Chiesa, testimoniando con coraggio, nell’impegno politico, economico e sociale, i grandi valori della Dottrina Sociale della Chiesa. Dobbiamo recuperare questo spirito per la costruzione di un mondo migliore, soprattutto per le giovani generazioni.
Il 31 gennaio del prossimo anno (2017) celebriamo i 70 anni dalla nascita dell’UCID Nazionale, avvenuta a Milano presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. L’articolo 1 dell’atto costitutivo afferma che l’obiettivo primo della nostra associazione è la conoscenza, la diffusione e la testimonianza della Dottrina Sociale della Chiesa. E’ nostro dovere continuare con rinnovato impegno l’offerta formativa a tutti i nostri associati riguardante la Dottrina Sociale della Chiesa e la responsabilità sociale dell’impresa per la costruzione del bene comune, come ci ha esortato Papa Francesco in occasione della memorabile Udienza Speciale del 31 ottobre 2015 in Vaticano.
Giovanni Scanagatta
Segretario Generale
Roma, 25 luglio 2016