Il progresso scientifico e tecnico è il motore dello sviluppo economico, ma ci costringe a fare i conti con l’occupazione. Le nuove tecnologie tendono infatti a risparmiare lavoro e fanno sorgere il problema dell’adeguatezza della forza lavoro e del capitale umano per cogliere le opportunità offerte dal progresso tecnico in termini di sviluppo.
Nelle diverse rivoluzioni industriali che abbiamo vissuto si è sempre posto il problema del rapporto tra l’uomo e la macchina o della tecnologia in senso lato. Durante la prima rivoluzione industriale, gli operai inglesi volevano gettare nel Tamigi le macchine perchè toglievano posti di lavoro.
D’altra parte, il progresso tecnico consente di aumentare, anche in modo spettacolare, la produttività e questa permette in varia misura di accrescere da una parte il reddito pro capite, cioè il livello di vita delle persone, e dall’altra di ridurre il tempo dedicato al lavoro. Già Keynes prevedeva la riduzione della giornata di lavoro a 25 ore. Sorge naturalmente il problema dell’impiego del maggior tempo libero a disposizione che può essere positivo o negativo.
Siamo ora di fronte alla quarta rivoluzione industriale e le previsioni riguardanti gli effetti sull’occupazione sono molto pesanti, anche per una fondamentale asimmetria della struttura del mercato del lavoro. Abbiamo eccesso di figure lavorative che vengono eliminate in larga misura dalla nuove tecnologie e carenza di figure lavorative adatte allo sfruttamento delle nuove tecnologie. A tale riguardo è interessante ricordare un dato: più del 90% degli high skill verrà fornito nei prossimi anni dai paesi emergenti. I nostri giovani saranno pertanto soggetti ad una forte concorrenza riguardante le fasce alte della formazione e della specializzazione del capitale umano per la gestione delle nuove tecnologie.
Per quanto riguarda gli effetti della quarta rivoluzione industriale con la digitalizzazione dei modi di produrre e di distribuire la ricchezza, in Europa da qui al 2020 si prevede una perdita di 7 milioni di posti di lavoro. Le nuove tecnologie dovrebbero creare 2 milioni di nuovi posti di lavoro e pertanto la perdita netta è di 5 milioni.
L’aspetto positivo è che Stati Uniti ed Europa prevedono con la quarta rivoluzione industriale di fare rientrare una quota significativa della manifattura, con effetti positivi sull’occupazione e sui conti commerciali con l’estero. La previsione dell’Unione Europea è di fare crescere l’incidenza della manifattura sul prodotto interno lordo dal 16 al 20% al 2020. Questa tendenza è molto sostenuta dalla Germania e l’Unione Europea ha messo a disposizione dei paesi dell’Unione risorse consistenti per favorire questo grande aggiustamento strutturale.
In sostanza, la quarta rivoluzione industriale dovrebbe favorire un certo processo di reindustrializzazione dell’Europa e degli Stati Uniti. A questo riguardo, gli ultimi dieci anni sono stati devastanti per gli Stati Uniti, con 92 milioni di americani, su una popolazione di 320, che vivono ai margini della società e fuori dalla forza lavoro. Il fenomeno ha determinato lo spopolamento di grandi città industriali come Detroit, Pittsburg e altri grandi centri dove è esplosa la delinquenza, a causa anche della grande libertà concessa ai cittadini americani nel possesso delle armi. Tale processo di deindustrializzazione dell’economia americana si è quindi scaricato in due grandi direzioni: la disoccupazione e la riduzione dei livelli di vita in un numero significativo di città e l’esplosione del deficit commerciale sull’estero pari a 800 miliardi di dollari.
Di fronte a tale situazione, il programma della nuova presidenza Trump ha un contenuto fortemente economico. Grande rilancio degli investimenti nei settori delle infrastrutture materiali e immateriali (1.000 miliardi di dollari) e nel campo energetico (50 mila miliardi di dollari), forte riduzione della pressione fiscale. Se questo programma dovesse essere realizzato, il tasso di crescita dell’economia americana potrebbe avvicinarsi al 4%.
Un nuovo impulso negli USA dovrebbe ricevere l’accesso al credito per lo sviluppo, non solo da parte delle grandi imprese ma anche da parte di quelle di piccole e medie dimensioni. Gli americani potrebbero pertanto tornare al Glass-Steagall Act con la specializzazione bancaria introdotta da Roosvelt nel 1933 e soppressa da Clinton nel 1998. Se questo scenario dovesse realizzarsi, dovremmo entrare in un periodo di tassi di interesse crescenti rispetto agli attuali livelli vicini allo zero. Il tasso di interesse potrebbe ritornare a svolgere la sua sana funzione economica per sollecitare il risparmio e selezionare gli investimenti, mettendo fine ad una filosofia dei guadagni di tipo speculativo basati su un uso distorto della borsa, favorito anche da politiche monetarie eccessivamente espansive.
La nuova epoca che stiamo vivendo si caratterizza pertanto per una crescente polarizzazione dei redditi nella fascia alta e in quella bassa, cui corrisponde una polarizzazione delle figure lavorative verso l’alto (high skill) e verso il basso (low skill). La rivoluzione tecnologica mette sotto forte pressione la classe media e le figure lavorative middle skill.
Quanti anni ci vorranno perché tutto questo grande aggiustamento strutturale possa svolgersi e si riesca a trovare un nuovo equilibrio tra occupazione e tecnologia? Probabilmente sarà necessario il noto ciclo lungo tecnologico di Kondratieff: dai 30 ai 40 anni, ma forse di meno.
In questo campo l’Italia è in ritardo, perché solo il 10-15% delle imprese manifatturiere italiane applica le tecnologie digitali di tipo strategico che rivoluzionano i modelli organizzativi aziendali e portano a forti aumenti di produttività. Le stime correnti per l’allineamento parlano della necessità di 10 miliardi di euro in cinque anni, ma si ritiene che ce ne vorranno almeno il doppio.
Di fronte a questa grande rivoluzione, soccorrono i fondamenti della Dottrina Sociale della Chiesa: sviluppo integrale dell’uomo, solidarietà, sussidiarietà, destinazione universale dei beni, bene comune.
Sullo sviluppo dei popoli e la tecnica non possiamo non citare il bellissimo capitolo sesto della Caritas in veritate di Benedetto XVI. Non era mai successo nella lunga storia della Dottrina Sociale della Chiesa di osservare un’attenzione così forte e profetica ai problemi della tecnica e dello sviluppo dei popoli. Nel punto 69 dell’Enciclica sociale leggiamo:”Il problema dello sviluppo oggi è strettamente congiunto con il progresso tecnologico, con le sue strabilianti applicazioni in campo biologico. La tecnica- è bene sottolinearlo- è un fatto profondamente umano, legato all’autonomia e alla libertà dell’uomo. Nella tecnica si esprime e si conferma la signoria dello spirito sulla materia. Lo spirito, “reso così meno schiavo delle cose, può facilmente elevarsi all’adorazione e alla contemplazione del Creatore” (Paolo VI, Populorum progressio, n. 41). La tecnica permette di dominare la materia, di ridurre i rischi, di risparmiare fatica, di migliorare le condizioni di vita. Essa risponde alla stessa vocazione del lavoro umano: nella tecnica, vista come opera del proprio genio, l’uomo riconosce se stesso e realizza la propria umanità”.
Papa Francesco è molto sensibile al problema della disoccupazione, soprattutto quella giovanile che in Italia si colloca intorno al 40%. Chi non ha lavoro, afferma Papa Francesco, non solo manca dei mezzi per sostenere sè e la propria famiglia, ma viene privato della dignità. Molta attenzione viene riservata alla donna che lavora, che spesso viene discriminata soprattutto nel caso della maternità. Sono esortazioni che Papa Francesco ha rivolto all’UCID in occasione della memorabile udienza speciale del 31 ottobre 2015.
Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa del 2004 dedica molto spazio alla tecnica, alla tecnologia e al lavoro, con ben 45 punti di riferimento. Novant’anni dopo la Rerum novarum, Giovanni Paolo II dedica l’enciclica Laborem exercens al lavoro (1981), bene fondamentale per la persona, fattore primario dell’attività economica e chiave di tutta la questione sociale. La Laborem exercens delinea una spiritualità e un’etica del lavoro, nel contesto della profonda riflessione teologica e filosofica. Il lavoro deve essere inteso non solo in senso oggettivo e materiale, ma bisogna tenere in debita considerazione anche la sua dimensione soggettiva, in quanto attività che esprime sempre la persona. Oltre ad essere paradigma decisivo della vita sociale, il lavoro ha tutta la dignità di un ambito in cui deve trovare realizzazione la vocazione naturale e soprannaturale della persona.
Le nuove tecnologie, grazie alle loro enormi potenzialità, afferma il Compendio, possono dare un contributo decisivo alla promozione del progresso sociale, ma rischiano di divenire fonte di disoccupazione e di allargare il distacco tra zone sviluppate e zone sottosviluppare, se rimangono accentrate nei Paesi più ricchi o nelle mani di ristretti gruppi di potere di tipo tecnocratico, spiazzando la stessa politica che deve essere servizio per la costruzione del bene comune.