Domenica delle Palme

Un caro saluto a tutti dal vostro assistente ecclesiastico don Daniele Bortolussi.
Carissimi, condividiamo la fatica di questi giorni in questa domenica, a noi così tanto cara, la Domenica delle Palme. La mancanza del segno dell’ulivo, benedetto durante la celebrazione e poi portato nelle nostre case: quest’anno questo segno non potrà essere presente. Possiamo recuperare in modo cristiano il senso di questa mancanza pensando alle comunità cristiane nel mondo, e non sono poche, che non possono mai manifestare esternamente la propria fede con dei segni. Facciamo nostra questa debolezza; sentiamoci partecipi della debolezza stessa di Gesù che ha nella croce la sua espressione più forte.
L’invito per tutti noi è di meditare la passione di Gesù attraverso una lettura attenta del Vangelo di Matteo, per entrare dentro un mistero di un Dio che offre la sua vita per noi.
La passione potremmo leggerla e meditarla in modo personale, mentre vi offro una breve riflessione sul Vangelo che, ricordiamo bene, è proclamato all’inizio della celebrazione delle Palme, dove si racconta l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. E’ sempre il Vangelo di Matteo capitolo 21 dal versetto 1 al versetto 11

1Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, 2dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. 3E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”». 4Ora questo avvenne perché
si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:
5Dite alla figlia di Sion:
Ecco, a te viene il tuo re,
mite, seduto su un’asina
e su un puledro, figlio di una bestia da soma.
6I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: 7condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. 8La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. 9La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava:
«Osanna al figlio di Davide!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Osanna nel più alto dei cieli!».
10Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». 11E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea».
Questa sezione del Vangelo di Matteo si divide in due parti: la prima si svolge quasi tutta nel recinto del tempio e nell’arco di una sola giornata; nella seconda parte Gesù lascia definitivamente il tempio e annuncia direttamente le modalità del giudizio finale di Dio. Il brano, dal versetto 1 al versetto 11, narra dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme, ma è importante ricordare che l’episodio successivo è la cacciata dei venditori dal tempio. E’ il primo giorno dell’ultima settimana di vita del Salvatore, per noi è la domenica delle Palme che dà inizio alla settimana Santa.
Il testo ha inizio con un riferimento geografico: Gesù con i suoi discepoli erano vicini a Gerusalemme e giunsero presso una località precisa Bétfage che significa “la casa dei fichi”, a 3 km da Gerusalemme, verso il monte degli ulivi, dove i pellegrini si purificavano prima di entrare nella Città Santa.
Gesù mandò due dei suoi discepoli, numero di testimoni sempre necessari affinché una testimonianza sia attendibile. L’indicazione data da Gesù “andate nel villaggio che vi sta di fronte” indica che molto probabilmente quel villaggio era Betania, luogo privilegiato da Gesù, dove si trovano Marta, Maria, Lazzaro, il luogo dell’amicizia e del riposo.
Le indicazioni che Gesù offre ai discepoli sono decise e perentorie: “andate, troverete, slegate, conduceteli…e se qualcuno dirà qualcosa rispondete: il Signore ne ha bisogno ma li rimanderà indietro subito”; sono degli imperativi. E’ un’indicazione del suo essere deciso ad entrare in Gerusalemme con una modalità che richiama la debolezza, ma anche la sua regalità.
La debolezza e la regalità sono ben espresse dalla citazione di Isaia capitolo 62: “dite alla figlia di Sion: ecco a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma”. La scena che si presenta: Gesù che si siede sull’asina è quella che ricorda l’accoglienza dei re vincitori che ritornano dopo la battaglia… i mantelli per terra… i rami di palma… la festa…. la folla “numerosissima” come dice il Vangelo e poi quel canto, che tanto ci sta a cuore e che nelle celebrazioni eucaristiche precede il momento della consacrazione del pane e del vino ricordando nell’ultima cena: “osanna al figlio di Davide, Benedetto colui che viene nel nome del Signore”: è una acclamazione messianica “osanna nel più alto dei cieli”.
È molto bello che, tenendo conto dello spirito di una folla, ci sia qualcuno al suo interno che pur essendo presente, pone quella domanda, centrale per ciascuno di noi oggi e sempre: “chi è costui?”. Sappiamo essere una domanda che non interpella solo la dimensione intellettuale della nostra vita

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ma, oggi stesso, in questa storia che stiamo vivendo, coinvolge tutta la nostra persona fatta certamente di mente, cuore e volontà.
La risposta nel Vangelo che viene data e ancora quella risposta che considera Gesù come un profeta, insieme alla sua provenienza “da Nazareth” evidenziando le sue radici povere. Gesù in questo modo si prepara a far fare al popolo un salto di qualità rispetto alla sua identità presentandosi come il Salvatore, come colui che, nella sua debolezza, manifesta al mondo la salvezza.
Chi lo accoglie entra nel suo regno…essere accolti da colui che accoglie. Egli viene e verrà sempre allo stesso stile, nella nostra storia concreta…in questo tempo difficile. Questa venuta è il mistero stesso di Dio e del suo regno, oscuro anche ai discepoli, che si rivela nella piccolezza del pellegrino che va a Gerusalemme per essere preso, percosso e crocifisso. È una gloria ben diversa da quella che tutti si aspettavano, nell’attesa di un Dio glorioso e potente, un Dio che ci soddisfi e faccia vedere a tutti quanto è forte. Questa immagine stride con il mistero del messia servo che tra sei giorni penderà dalla croce. E’ la sua povertà che porta a noi la sua salvezza: entriamo nel mistero di Gesù perché la sua gloria è l’umiltà, la sua potenza è l’amore incondizionato, il suo dominio è il servizio. Proprio nella mitezza, nell’amore e nel servizio realizziamo la nostra somiglianza con lui che è venuto per servire e non per essere servito . Gesù per il suo agire umano è umanamente alla nostra portata perché ha bisogno degli altri: dei discepoli, degli amici, dell’asina…

Desidero offrirvi per approfondire ancora meglio la debolezza di Gesù, la meditazione di un pastore luterano e teologo Dietrich Bonhoeffer che nel 9 Aprile del 1945 moriva nel campo di concentramento di Flossenburg. Bonhoeffer è il simbolo della resistenza tedesca al nazismo. La sua riflessione teologica ancora oggi è un riferimento fondamentale per cogliere con spirito ecumenico il mistero di Gesù.

Nel 1934 scriveva:
“Perché il problema della debolezza è così importante? Hai mai visto nel mondo un mistero più grande dei poveri, dei vecchi, dei malati uomini che non ce la fanno da soli, ma che dipendono dall’aiuto, dall’amore e dalla cura degli altri? Hai mai pensato a come appare la vita a uno storpio, un infermo senza speranza, una persona sfruttata? Se lo hai fatto, riesci a sentire che in quei casi la resistenza un significato completamente diverso da quello che le attribuisci tu? Comprendi che anche tu, comunque, appartieni indissolubilmente alla categoria degli sfortunati, perché anche tu sei un essere umano come loro, perché sei forte e non debole? Non ci siamo resi conto che non potremo mai essere felici finché questo universo della debolezza da cui forse finora siamo stati risparmiati, ma chissà per quanto tempo ancora, ci rimane estraneo e sconosciuto, distante, finché lo teniamo lontano dalla nostra portata in modo consapevole o inconsapevole? Ecco che cosa ho trovato. Che cosa significa debolezza nel nostro mondo? Sappiamo che fin dai primi tempi fu rimproverato al cristianesimo di rivolgere il suo messaggio ai deboli: era considerato la religione degli schiavi, di quelli che soffrono di complessi di inferiorità; si diceva che dovesse il suo successo la massa di disperati dei quali ha esaltato la condizione di miseria. E’stato proprio l’atteggiamento dei confronti del problema del male nel mondo che ha attirato simpatie oppure odio per questa confessione.
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Ha sempre prodotto l’opposizione forte e sdegnata di una filosofia aristocratica che esaltava la forza il potere virgola in contrapposizione con i nuovi valori di rifiuto della violenza ed esaltazione dell’umiltà. Anche nella nostra epoca siamo testimoni di questa lotta. Il cristianesimo resiste o fallisce con la sua protesta rivoluzionaria contro l’arbitrio e la superbia del potente, con la sua difesa del povero. Credo che i cristiani facciano troppo poco e non troppo, per rendere chiaro questo concetto. Si sono adattati troppo facilmente al culto del più forte. Dovrebbero dare molto più scandalo, scioccare molto più di quanto facciano ora. Dovrebbero schierarsi in modo molto più deciso dalla parte dei deboli, anziché dimostrare riguardo per eventuale diritto morale dei forti”.