Le Giornate Wojtyla

La prospettiva di un Lavoro vissuto come Dono

Perché lavoriamo e per chi lavoriamo

Porre brutalmente la questione lavoro in questi termini troverebbe una risposta probabilmente istintiva  ed immediata quale quella di un naturale bisogno di sopravvivenza e di sussistenza di ogni persona. Tuttavia il solo bisogno di sopravvivenza non spiega certo lo straordinario sviluppo avvenuto nella storia di una umanità in perenne attività e continua ricerca di nuovo, di meglio, di altro, di oltre, atti a soddisfare il suo innato istinto conoscitivo e creativo. Dunque la risposta del perché lavoriamo va ricercata prima di tutto a livello antropologico.

La Bibbia è ancora oggi una fonte che non smette mai di stupire per la sempre attuale ed universale validità e per la sorprendente profondità dei messaggi in essa contenuti. La Bibbia ci racconta in Genesi come Dio nella sua attività lavorativa, terminata la creazione delle cose animate ed inanimate, crea l’uomo e la donna a Sua immagine e somiglianza e consegna loro il creato attraverso due precise indicazioni. Una prima indicazione riguarda l’unione uomo-donna atta a donare la vita: “andate, moltiplicatevi e popolate la terra”.

La seconda indicazione si suddivide sostanzialmente in tre parti: “dare un nome a tutte le cose animate ed inanimate” che significa, prenderne  possesso; “coltivare e custodire la terra” che significa amministrare l’uso dei beni con saggezza ed attenzione, e continuare nell’opera creatrice di Dio. (Meglio sarebbe dire, concorrere alla continua scoperta della creazione di Dio). Possedere, amministrare, creare, sono sorprendentemente precise chiamate ad una imprenditorialità responsabile. Dio nell’affidare il creato, “dona” quindi all’uomo, a tutta l’umanità, una vocazione a procreare e ad  intraprendere.

Neppure con il peccato originale questo dono viene sottratto (Dio non può certo smentire se stesso) ma il suo ottenimento sarà abitato da difficoltà, fatiche, sofferenze, …”partorirai con dolore,…lavorerai col sudore della fronte” e pertanto alla vocazione stessa si aggiunge una più o meno faticata missione. Con l’avvento di Gesù Cristo che dona Se stesso per il bene dell’umanità, la missione contenuta in ogni attività lavorativa, diventa di fatto dono di sé e luogo privilegiato di redenzione per ciascuno. In questo breve ma suggestivo percorso biblico, non sfugge l’importanza di un lavoro che in qualità di Vocazione, Missione, Redenzione, assume connotati etici ed  esistenziali prima ancora che di mera sussistenza.

Interessante notare come in tutta la Bibbia, i personaggi che via via incontriamo hanno una precisa identità lavorativa:

Abele è pastore di greggi; Caino lavoratore del suolo; Noè coltivatore, ma anche architetto e costruttore dell’arca; Abramo, molto ricco, è a capo di diverse tribù di pastori, una sorta di imprenditore della pastorizia; Esaù è cacciatore; Giacobbe, pastore; Giuseppe ( figlio di Giacobbe), prima amministratore poi primo ministro del faraone; Mosè è condottiero dell’esercito del faraone, e in seguito capo e guida dell’esodo degli Ebrei; Davide è soldato, musicista e poeta; Salomone studioso ed erudita sapiente; Eliseo è contadino; Giobbe, è allevatore e possiede settemila pecore, tremila cammelli, cinquecento paia di buoi, cinquecento asine); Daniele è un governatore sapiente….

E nel nuovo Testamento, Giuseppe e Gesù sono falegnami e forse anche carpentieri; gli apostoli sono spesso pescatori; Paolo di Tarso con Aquila e Priscilla sono fabbricanti di tende; Luca è medico; Lidia è commerciante di porpora; Matteo e Zaccheo sono esattori delle tasse…

Inoltre, non mancano nel corso della storia dei duemila anni dopo Cristo, movimenti e pensatori  cristiani che hanno celebrato il lavoro come elemento costitutivo di gestazione, formazione e redenzione della persona; alcuni esempi fra tutti:

I Benedettini (inizio 500) inseriscono alla base della loro regola l’Ora et Labora elevando di fatto il lavoro a dignità di preghiera.

Albertano da Brescia (c.ca 1250. moralista, giurista e teologo): parla già di lavoro, ricchezza e capitale. E’ forse il primo interprete cristiano dell’impresa moderna e del libero mercato e dice fra l’altro: “ non riponete il cuore nelle ricchezze …. onesti sono i guadagni se son fatti con giustizia …. l’agire economico non sia di danno per gli altri …”

Tommaso Moro (fine 1400, in. 1500, uno dei massimi esempi di umanesimo cristiano). Nell’Utopia parla dell’uso corretto della proprietà, della produzione dei beni e dell’organizzazione del lavoro.

D’altronde, nella celebrazione stessa di ogni Santa Messa non possono sfuggire le parole recitate dal sacerdote all’atto delle offerte dei doni: “ Benedetto sei tu Signore Dio dell’universo, dalla Tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino frutti della terra/vite e del lavoro dell’uomo …li presentiamo a Te perché diventino ..” ; parole con le quali nell’offerta dei frutti, offriamo sull’altare il nostro lavoro perché si santifichi in Cristo.

Da quanto esposto sebbene in sintesi, risulterebbe che ogni attività lavorativa è frutto di un dono di Dio e che questo dono ha i connotati di una vera intrapresa.