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“Ora per la Liguria serve un new deal”

Intervista a Lorenzo Caselli, professore emerito all’Università di Genova, docente di etica economica e responsabilità sociale delle imprese presso la Facoltà di Economia di cui è stato preside per molti anni.

di Massimo Minella – La Repubblica Edizione Genova del 25 marzo 2020

Questa crisi passerà, certo. Ma la vera domanda è: come ne usciremo, migliori o peggiori? A porre il quesito, indicando anche quelle scelte che potrebbero orientare positivamente il futuro, è Lorenzo Caselli, economista e docente dell’università di Genova, già preside di Economia, profondo conoscitore delle dinamiche sociali e culturali del territorio. Caselli propone quattro “idee forti”, o “pilastri se vogliono azzardare un parallelo con il ponte in costruzione” per ripartire quando l’emergenza sarà finita.

La proposta Lorenzo Caselli

Questa crisi passerà, certo. Ma la vera domanda è: come ne usciremo, migliori o peggiori? A porre il quesito, indicando anche quelle scelte che potrebbero orientare positivamente il futuro, è Lorenzo Caselli, economista e docente dell’università di Genova, già preside di Economia, profondo conoscitore delle dinamiche sociali e culturali del territorio. Caselli propone quattro “idee forti”, o “pilastri se vogliono azzardare un parallelo con il ponte in costruzione” per ripartire quando l’emergenza sarà finita. Quattro pilastri che vanno a comporre una sorta di “new deal” per la Liguria.

Una citazione che rimanda al piano di riforme varato negli anni Trenta dal presidente degli Stati Uniti Roosevelt per spingere il Paese fuori dalla recessione economica.

Oggi la recessione è figlia di un virus invisibile che però, in modo eclatante, mette in ginocchio la produzione. Diventa quindi fondamentale gestire l’emergenza, ma provare già a ragionare in prospettiva.

Professor Caselli, siamo forse nei giorni più difficili dell’emergenza, quelli del picco.

Ma anche lei avverte il desiderio di guardare avanti?

«È una cosa comune a tutti, certo. E allora diciamo subito una cosa».

Quale?

«Che anche questa crisi passerà, ma niente sarà più come prima, comprese ovviamente Genova e la Liguria».

E come sarà?

«Questo dipende esclusivamente da noi, dalle scelte che faremo. La domanda è: ne usciremo migliori o peggiori? Con meno o più disuguaglianze?».

Proviamo a rispondere?

«Sì, migliori se sapremo creare le condizioni perché questo avvenga, gestendo oggi l’emergenza e cominciando già a pensare alla prospettiva dello sviluppo».

E come si può fare secondo lei?

«Io propongo quattro idee forti, quattro pilastri su cui appoggiare questa prospettiva: intelligenza unità alla qualità della vita, fiducia, masse critiche, solidarietà».

Perché partire dall’intelligenza?

«Perché investire nell’intelligenza è fondamentale, è l’impegno-cardine che coinvolge ricerca e formazione. Questo è il modo per diffondere l’innovazione. Da questo punto di vista l’università e l’Iit hanno un ruolo fondamentale. Sono soggetti che guardano al mondo, ma non devono dimenticare che la loro base è qui, a Genova e in Liguria.

Attenzione, però. L’intelligenza non basta, occorre investire anche in una migliore qualità della vita, per tutti. Con la crisi sono cresciuti gli squilibri, la sofferenza e l’emarginazione. I bisogni delle persone non possono più essere sacrificati. Anche questo rappresenta un giacimento che alimenta lo sviluppo».

Quando parla di fiducia come uno dei pilastri della ripresa lo fa come antidoto a certi egoismi tipici di questo territorio?

«Io parlo di una fiducia che dev’essere costruttiva, che chiama a raccolta imprese, sindacati, banche, organizzazioni sociali.

Diciamolo, qui in passato abbiamo assistito a grandi separatezze o ad ammucchiate inconcludenti. La ricostruzione del Morandi ci ha mostrato un’ottica concertata in cui hanno prevalso gli impegni reciproci su un obiettivo condiviso. La formula, se vogliamo, è: io faccio il primo passo, ma tu fai il secondo.

sarebbe un grande risultato».

Quando faceva riferimento all’impegno delle imprese a che cosa stava pensando di preciso?

«Ho voluto chiamare masse critiche il terzo pilastro perché lo considero una conseguenza del secondo, cioè la fiducia. Significa agire non in ordine sparso, ma mettendo a fattor comune risorse e competenze per poter creare sinergie per lo sviluppo».

Pensa a qualche soggetto in particolare?

«A Genova e in Liguria ci sono le grandi imprese che hanno sempre avuto un loro riferimento nello Stato. Un tempo si chiamavano Partecipazioni Statali, oggi non si chiamano più così, l’azionista è cambiato, ma è sempre pubblico.

Sto parlando di Fincantieri, di Leonardo, di Ansaldo Energia, ma parlerei anche dei porti di Genova e Savona, che svolgono un servizio pubblico che rimanda allo Stato.

Con i loro investimenti strategici, se coordinati e integrati, queste grandi realtà possono fare davvero molto per la regione e per il Paese. E vorrei aggiungere anche il valore di ciò che si può generare per l’indotto, stimolo ulteriore alla crescita, non solo economica ma anche di conoscenza».

Professor Caselli, il quarto pilastro della sua proposta parla di solidarietà…

«Sì ma attenzione, perché dobbiamo chiarire subito. Io parlo di una solidarietà non compassionevole, ma attiva, che si interessa delle cause dei disagi e delle sofferenze, delle disuguaglianze fra uomo e donna, fra giovane e anziano, fra chi ha sempre più denaro e chi chiede di essere aiutato, fra chi sostiene i costi della crisi e chi si batte perché vuole reagire. Potrei continuare ancora, ma è proprio dalla capacità di superare queste differenze che possiamo davvero ipotizzare una prospettiva di crescita, un qualcosa che alla fine potrebbe davvero trasformarsi in sviluppo».

E come lo chiamerebbe se dovesse riassumerlo in una parola?

«lo faccio in due. Parlerei dell’impegno a costruire un new deal per la Liguria, sociale, economico, ambientale. Dobbiamo guardare alla crescita, alla ripresa, al miglioramento della qualità della vita a partire dal coinvolgimento dei più deboli che in questa regione sono i più giovani».

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