L’articolo 47 della nostra Costituzione i stabilisce che la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme: disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito.

C’è quindi da chiedersi se il recente decreto governativo per il salvataggio di quattro banche in situazione di dissesto rispetti o meno il dettato costituzionale. A noi sembra di no, perché l’articolo citato parla esplicitamente di tutela del risparmio in tutte le sue forme e quindi depositi, obbligazioni, azioni e qualsiasi altro strumento di impiego del risparmio, come ad esempio le famose obbligazioni subordinate.

Un corretto inquadramento del problema rende necessario qualche passo indietro nel tempo, quando la legislazione dell’Unione Europea ha determinato il passaggio dalla banca specializzata alla banca universale, consentendo alle banche qualsiasi tipo di operazione a condizione di una parallela copertura con capitale della banca, in relazione al profilo di rischio dell’operazione stessa. Il passaggio da una vigilanza di tipo strutturale a una di tipo prudenziale ha portato la necessità dei requisiti minimi di capitale delle banche in relazione ai rischi assunti. I vari accordi di Basilea sulla valutazione del merito del credito sulla base del rating hanno fatto il resto, determinando una crescente necessità di capitale da parte delle banche. Questa necessità si è fortemente inasprita a causa della crisi iniziata nel 2007-2008 e alla conseguente impennata delle sofferenze bancarie. Sta di fatto che, di fronte a percentuali di capitale delle banche intorno all’8% dei loro attivi prima del cambiamento del sistema, si è passati a percentuali superiori all’11%.

La fame di capitale di rischio da parte delle banche ha creato dei comportamenti fortemente distorsivi e anche di “azzardo morale” nei confronti dei risparmiatori, soprattutto di quelli piccoli. Siamo arrivati all’assurdo di banche che hanno concesso prestiti ai loro clienti a bassissimo tasso di interesse, grazie alla politica monetaria fortemente espansiva della Banca Centrale Europea (BCE), con la condizione di utilizzarli per l’acquisto di azioni della banca. E ancora alla conversione forzata, senza alcun preavviso, di obbligazioni in azioni della banca. Ma possiamo continuare con la concessione di mutui ipotecari per l’acquisto dell’abitazione per importi superiori al necessario, invitando il cliente ad utilizzare la differenza per l’acquisto di prodotti finanziari offerti dalla banca ad un tasso significativamente superiore a quello del mutuo. E infine la forte sollecitazione da parte dei responsabili operativi della banca nei confronti dei risparmiatori correntisti di investire i loro risparmi in prodotti finanziari a rendimenti molto appetibili ma, naturalmente, ad elevato rischio.

Dobbiamo poi ricordare un’altra importante asimmetria che ha danneggiato il sistema italiano, in un letale intreccio tra politica e sistema bancario. I sistemi bancari europei, primo fra tutti quello tedesco, hanno per tempo evidenziato i loro punti di crisi consentendo allo Stato di intervenire con larghi fondi pubblici per il salvataggio delle banche. E ciò mentre l’Italia sbandierava la maggiore solidità del sistema bancario rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea, con interventi molto modesti a carico delle casse dello Stato. Si è trattato in realtà di una solidità camuffata e di una crisi che è poi esplosa con alcuni anni di ritardo. Il problema è che gli strumenti utilizzati dagli altri Stati dell’Unione Europea per il pronto salvataggio delle loro banche sono ora negati per problemi normativi all’Italia. Si pensi solo ai problemi sorti in sede dell’Unione Europea per l’utilizzo del Fondo Interbancario per la Tutela dei Depositi, come suggerito dalla Banca d’Italia.

 

 

Cosa si potrebbe fare di fronte a questa pericolosa situazione in cui si è infilato il nostro Paese? Fondamentalmente due cose: una di breve periodo per garantire il rispetto dell’articolo 47 della nostra Costituzione. La seconda di più lungo termine, per preparare il terreno in sede europea per un sano ritorno ai principi della specializzazione del credito bancario.

I risparmiatori che hanno affidato i loro risparmi alle banche insolventi dovrebbero essere tutelati integralmente, senza alcuna discriminazione, e quindi indipendentemente dalla tipologia dello strumento finanziario in cui hanno investito i loro risparmi. Ma con quali risorse? Visto che la Banca d’Italia fa utili ed è posseduta dalle banche, è ragionevole utilizzare l’importo riconosciuto allo Stato come dividendo e come imposte, per fronteggiare la crisi delle banche. Si tratta, come ordine di grandezza, in base agli ultimi bilanci della Banca d’Italia, di una cifra non lontana dai 5 miliardi di euro.

Nel più lungo termine, è poi opportuno creare le condizioni, nelle sedi opportune, per un ritorno alla distinzione tra banche di credito ordinario e banche di investimento. Si tratta della specializzazione temporale e funzionale del credito bancario per cui le banche possono concedere solo credito a breve termine in relazione alle analoghe caratteristiche della raccolta, mentre solo gli istituti di credito speciale possono finanziare gli investimenti grazie ad una raccolta parallela a medio e lungo termine, come sono ad esempio le obbligazioni. E’stato questo il sistema (banche e istituti di credito speciale) che ha consentito di finanziare in modo equilibrato la ricostruzione e lo sviluppo del nostro Paese all’indomani della seconda guerra mondiale, realizzando il cosiddetto “miracolo economico”. Questo sistema ha assicurato sul territorio un adeguato finanziamento degli investimenti da parte delle imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni, grazie all’azione intelligente dei Mediocrediti Regionali.