1.Colpisce il titolo dell’articolo pubblicato recentemente da Padre Occhetta nel numero 4001 (25 feb/11 mar 2017) di “La Civiltà Cattolica”: “Il lavoro 4.0”. Si comprende naturalmente che il riferimento è alla quarta rivoluzione industriale, Industria 4.0, come di solito viene definita da tutti coloro che si interessano di questa materia.

Viene allora spontanea la domanda sul perché padre Occhetta abbia voluto scegliere questo titolo inusuale. La prima risposta che mi viene spontanea  è che siccome il lavoro riguarda l’uomo e l’uomo deve per noi rimanere al centro di ogni processo di sviluppo è giusto parlare di Lavoro 4.0. E’ una visione della quarta rivoluzione industriale dal punto di vista antropologico, di cui parla del resto padre Occhetta alla fine del suo articolo. La Dottrina Sociale della Chiesa porta ad una lettura in questa direzione, se pensiamo solo alla Laborem exercens di Giovanni Paolo II del 1981 in cui si afferma la superiorità del lavoro rispetto al capitale e di lavoro in senso oggettivo (economico) e in senso soggettivo (antropologico).

Un altro motivo potrebbe essere rappresentato dalla 48^ Settimana sociale dei cattolici italiani che si terrà a Cagliari dal 26 al 29 ottobre 2017, dedicata al tema del lavoro. Padre Occhetta ha forse pensato di tirare la volata all’importante evento della CEI.

Sul piano logico, occorre anche pensare ai nessi di causalità: è certamente la quarta rivoluzione industriale che determina la rivoluzione del mercato del lavoro, e non viceversa. Ma la quarta rivoluzione industriale è frutto del progresso scientifico e tecnico, che dipende dagli spettacolari risultati della mente umana, specchio dell’onniscienza del Creatore. Lo dice chiaramente Benedetto XVI nella Caritas in veritate al punto 69: “La tecnica – è bene sottolinearlo – è un fatto profondamente umano, legato all’autonomia e alla libertà dell’uomo. Nella tecnica si esprime e si conferma la signoria dello spirito sulla materia”.

Nell’articolo di padre Occhetta, tutto questo non viene detto in modo diretto, ma lo si può immaginare, anche se, forse, bisognerebbe qualificare il lavoro come umano: “Il lavoro umano 4.0”, in linea con la ricerca di un nuovo umanesimo cristiano, nell’era della globalizzazione e dell’accelerazione del progresso scientifico e tecnico.

  1. Nel Quarto Rapporto UCID 2016 presentato a Roma in occasione del settantesimo anniversario della nostra associazione, si parla di quarta rivoluzione industriale e dei suoi diversi paradigmi (Industria 4.0, pp. 33-36).

Nel Rapporto si afferma che la trasformazione digitale del nostro sistema industriale esige nuove risorse e la politica industriale dovrà fare la sua parte dopo anni di pericolosa assenza. Alcune stime parlano di 10 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi nei prossimi cinque anni. Ma si ritiene che questo dato sia sottostimato se si tiene conto che solo il 10-15% delle imprese manifatturiere italiane investe massicciamente nei sistemi digitali avanzati. Secondo le nostre stime, gli investimenti aggiuntivi necessari si avvicinano nel complesso a 20 miliardi di euro nel prossimo quinquennio, cioè 4 miliardi all’anno.

I benefici attesi dalla quarta rivoluzione industriale possono essere così riassunti: a) flessibilità attraverso la produzione di piccoli lotti ai costi della grande scala; b) velocità, che aumenta dal prototipo alla produzione in serie attraverso tecnologie innovative; c) produttività, attraverso minori tempi di set-up, riduzioni errori e fermi macchina; d) qualità del prodotto che migliora grazie ai minori scarti mediante sensori che monitorano la produzione in tempo reale; e) maggiore competitività del prodotto grazie alle superiori funzionalità derivanti dall’internet delle cose.

La legge finanziaria 2017 prevede una serie di agevolazioni a sostegno di Industria 4.0. Le agevolazioni possono essere suddivise in tre aree: la prima che riguarda l’introduzione dell’iperammortamento, la proroga del superammortamento, la proroga della Sabatini ter. La seconda area riguarda l’incremento del credito d’imposta per le spese in ricerca, sviluppo e innovazione. La terza area è relativa alla finanza a supporto delle piccole e medie imprese innovative, venture capital e start up innovative (detrazione fiscale e assorbimento perdite società sponsor).

Le principali agevolazioni spettano alle imprese che operano nel settore industriale e che realizzano investimenti innovativi nei seguenti campi: meccatronica, robotica, big data, sicurezza informatica, sviluppo di materiali intelligenti, stampanti a 3 dimensioni, internet e software.

  1. Esempi. Supponiamo un investimento di 1 milione di euro che rientra nei benefici di Industria 4.0. Nell’ipotesi di iperammortamento, l’aliquota normale di ammortamento del 20% porta ad una quota annua di 200 mila euro; l’iperammortamento consente di aumentare tale quota del 250%, cioè a 500 mila euro. Nel caso invece di superammortamento la quota annua di 200 mila euro viene aumentata del 140%, arrivando a 280 mila euro. Nel primo caso, il bonus fiscale complessivo rispetto all’ammortamento ordinario è di 360 mila euro. Nel secondo caso, il bonus fiscale rispetto all’ammortamento ordinario è di 96 mila euro.

Altro esempio è rappresentato dalla Sabatini ter 2017 per beni che rientrano nell’area dell’Industria 4.0. E’ bene ricordare che la legge Sabatini numero 1329 del 1965 è uno dei più longevi e fortunati strumenti di politica industriale per le piccole e medie imprese. Essa ha favorito, attraverso il progresso tecnico incorporato negli investimenti, l’innovazione e la competitività del nostro sistema industriale basato sulle piccole e medie imprese. Essa si è evoluta nel tempo passando dalle singole macchine a controllo numerico a sistemi di macchine governati da elaboratori elettroni. La legge è sempre stata molto gradita dalle imprese sul piano finanziario, perché consente all’acquirente di pagare l’investimento nel medio periodo attraverso cambiali e al venditore di smobilizzare le stesse cambiali presso la banca fruendo di un incentivo in conto interessi. L’evidenza empirica mostra che confrontando le imprese che hanno beneficiato della Sabatini e quelle che non ne hanno beneficiato, il primo gruppo innova di più, esporta di più, ha una migliore produttività e redditività operativa e complessiva, ha una migliore struttura per scadenza dell’indebitamento con un peso relativamente maggiore dei debiti bancari a medio termine. Continuando con un esempio, un investimento di 1 milione di euro che rientra nell’area dell’Industria 4.0, beneficia di un tasso di interesse dello 0,8%, con un totale di interessi pagati in 5 anni di 22 mila euro. La percentuale di contributo in conto interessi è del 2,75%, aumentata del 30% rispetto allo standard. Si arriva pertanto al 3,575%. Il contributo complessivo è pari a 101 mila euro e la riduzione di esborso sul finanziamento è uguale a 79 mila euro.

Ai fini dell’ottenimento degli incentivi stabiliti da Industria 4.0, sono stabilite le tipologie dei beni strumentali agevolabili, le caratteristiche che devono avere le macchine, i sistemi per l’assicurazione della qualità e della sostenibilità, i dispositivi per l’interazione uomo-macchina e per il miglioramento dell’ergonomia e della sicurezza del posto di lavoro, i beni immateriali (software, sistemi e system integration, piattaforme e applicazioni) connessi a investimenti in beni materiali Industria 4.0.

  1. Come già accennato all’inizio, il n. 4001 di febbraio/marzo 2017 della Rivista “La Civiltà Cattolica” contiene un articolo di Francesco Occhetta S.I., intitolato Il lavoro 4.0. Il titolo sembra quasi un contraltare di Industria 4.0 che rivela la mancata integrazione nel nostro Paese tra la cultura dell’impresa e la cultura del lavoro. Si tratta di un problema che ha radici lontane e che si può fare risalire alla questione operaia della seconda metà dell’800 del secolo scorso. E’ da questa situazione e dal rifiuto della lotta di classe propugnata da Marx che nasce nel 1891 la prima grande Enciclica sociale di Leone XIII, Rerum novarum. Il Papa rifiuta energicamente la lotta di classe e il grave scontro tra capitale e lavoro e indica la strada di una cooperazione tra i due fattori della produzione attraverso varie forme come la partecipazione agli utili da parte dei dipendenti, l’azionariato operaio, i consigli di gestione e i consigli di sorveglianza e altre forme di cogestione. Altre indicazioni riguardano la cooperazione nel campo del credito con le casse rurali e artigiane, le mutue assicuratrici in agricoltura, l’acquisto in comune delle macchine agricole e così via. Chi raccoglierà queste esortazioni della Rerum novarum sarà soprattutto Giuseppe Toniolo con l’istituzione delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani.

I temi della partecipazione alla vita dell’impresa da parte dei dipendenti verranno ripresi da Pio XI con l’Enciclica sociale Quadragesimo anno del 1931, parlando del passaggio dal contratto di lavoro al contratto di società. Ritornerà poi sul tema Pio XII in un famoso radiomessaggio del 1949. Sul tema dell’impresa e della partecipazione abbiamo delle bellissime pagine pubblicate sulla Rivista UCID “Operare” del Cardinale Giuseppe Siri, per tanti anni Consulente Ecclesiastico della nostra associazione. Da queste esortazioni del Cardinale Siri nasceranno a Genova un paio di casi riguardanti la partecipazione dei dipendenti alla vita dell’impresa. Ma nel nostro Paese le diverse forme di partecipazione mostreranno sempre difficoltà a diffondersi per motivi di tipo ideologico che vede l’impresa e l’imprenditore delle controparti e non dei soggetti con cui cooperare per lo sviluppo e la costruzione del bene comune. L’esperienza della Germania è stata invece totalmente diversa e le forme di partecipazione dei dipendenti alla vita dell’impresa è stata sempre molto radicata, dando origine a quel fenomeno che chiamiamo economia sociale di mercato. Su questo tema dobbiamo senz’altro ricordare, tra gli altri, l’Arcivescovo di Magonza von Ketteler, che ha ispirato la Rerum novarum di Leone XIII e W. Ropke. Di tutti questi temi parla il Prof. Romano Molesti nel bellissimo libro Impresa e partecipazione (R. Molesti, Impresa e partecipazione. Esperienze e prospettive, Franco Angeli, 2006). Il Prof. Molesti nel suo libro afferma che nonostante la partecipazione possa costituire un sistema per porre su nuove basi i rapporti tra imprenditori e lavoratori non sempre le iniziative attuate al riguardo sono state accolte con favore. Accanto a coloro che hanno messo in evidenza i vantaggi che l’istituto della partecipazione comporta, non sono mancate le voci critiche che hanno teso a ridimensionare l’istituto stesso sostenendo che esso in sostanza mira a prospettare un’illusoria comunanza d’interessi tra imprenditori e lavoratori. Questa analisi viene ampiamente confermata da un’indagine sul campo effettuata dal Gruppo Regionale UCID del Piemonte Valle d’Aosta a cavallo tra gli anni quaranta e gli anni cinquanta e pubblicata sul giornale del Gruppo intitolato “Responsabilità”, distribuito in 5 mila copie. Dall’indagine risulta che gli imprenditori intervistati sono fondamentalmente contrari alle varie forme di partecipazione sostenendo l’autonomia dell’imprenditore nel condurre l’impresa, assumendosene i rischi. Si lascia solo spazio a Consigli di tipo meramente consultivo con la partecipazione dei lavoratori. Questa visione di sostanziale contrapposizione tra imprenditore e lavoratori, comincia a dissolversi solo negli anni più vicini a noi con il passaggio dalla contrattazione collettiva nazionale alla contrattazione a livello aziendale. Pensiamo al contratto unico aziendale della FCA di Sergio Marchionne e alla introduzione di una forma leggera di partecipazione agli utili da parte dei dipendenti. Forma leggera se pensiamo alla partecipazione agli utili dei lavoratori della Mercedes: 6 mila euro all’anno per dipendente. Un discorso analogo vale per il contratto dei lavoratori di Luxottica ed Essilor dopo la fusione per incorporazione, anche se non appare del tutto chiaro chi sia l’impresa incorporante. Della diversità dei due modelli, tedesco e italiano, abbiamo avuto ampia evidenza quando FCA doveva comperare la OPEL. Il capo dei sindacati della IG Metall disse a Sergio Marchionne che si opponeva all’operazione a causa della grande diversità tra le due culture.

  1. Padre Occhetta nel suo articolo dedica il paragrafo finale ad alcune riflessioni di tipo antropologico perché l’uomo deve rimanere al centro di ogni processo di sviluppo e quindi anche nella quarta rivoluzione industriale, salvaguardando i valori umani della libertà, della responsabilità, della dignità e della creatività. Padre Occhetta afferma che “L’equilibrio uomo-macchina dell’industria 4.0 è delicato e rischioso. L’uomo potrebbe imparare a interagire con la macchina fino al punto di alienarsi nel mondo che essa ha creato e abdicare alla sua natura di homo empaticus. Così, ad esempio, egli potrebbe rinunciare al contatto con l’altro per trincerarsi nei luoghi dove presta la propria attività di lavoro grazie allo smart working”.

Si può controbattere a queste affermazioni di Padre Occhetta dicendo che l’uomo è sempre superiore alla macchina, perché la macchina è una sua creazione per ridurre la fatica del lavoro e per accrescere quindi la sua dignità. Su questo tema il Magistero sociale della Chiesa è estremamente chiaro: pensiamo alla Laborem exercens del 1981 di Giovanni Paolo II quando si afferma la superiorità del lavoro sul capitale e si distingue tra lavoro in senso oggettivo e lavoro in senso soggettivo. Il lavoro in senso soggettivo riguarda la dignità dell’uomo che deve sempre essere salvaguardata, perché l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio. Su questo argomento va richiamato anche il bellissimo capitolo sesto della Caritas in veritate di Benedetto XVI dedicato allo sviluppo dei popoli e la tecnica. “Il problema dello sviluppo oggi, afferma Benedetto XVI, è strettamente congiunto con il progresso tecnologico, con le sue strabilianti applicazioni in campo biologico. La tecnica – è bene sottolinearlo – è un fatto profondamente umano, legato all’autonomia e alla libertà dell’uomo. Nella tecnica si esprime e si conferma la signoria dello spirito sulla materia”. E ancora “La tecnica permette di dominare la materia, di ridurre i rischi, di risparmiare fatica, di migliorare le condizioni di vita. Essa risponde alla stessa vocazione del lavoro umano: nella tecnica, vista come opera del proprio genio, l’uomo riconosce se stesso e realizza la propria umanità”. Un pensiero che fa venire alla mente la grande scuola economica austriaca, di cui A.J. Schumpeter è stato autorevolissimo rappresentante. Nella sua monografia del 1911 sulla “Teoria dello sviluppo economico” Schumpeter parla di “distruzione creatrice” perché lo sviluppo conduce alla caduta di vecchie famiglie, vecchie industrie, vecchi settori e apre la porta a nuove famiglie, nuove industrie e nuovi settori. E’ l’imprenditore innovatore che è l’artefice di tutto questo, intendendo per innovazione una categoria molto ampia; innovazione di processo, di prodotto, nuovi modelli organizzativi delle imprese, nuovi mercati, nuovi metodi di trasporto e così via.

Padre Occhetta conclude il suo articolo in questo modo: “Come in tutti i cambiamenti epocali, anche al tempo dell’Industria 4.0 è compito della cultura e delle forze sociali trovare forme di tutela efficaci per il “lavoro degno”, che è difeso dal Magistero della Chiesa e affermato nella Costituzione”.

Per raggiungere questo obiettivo, si ritiene che dobbiamo tutti fare uno sforzo per integrare la cultura del lavoro con la cultura dell’impresa, nello spirito di un nuovo umanesimo cristiano. Il tema del lavoro della 48^ Settimana sociale dei cattolici italiani che si terrà a Cagliari dal 26 al 29 ottobre 2017 indica che la strada da fare è ancora tanta, se si tiene presente che il programma prevede solo un piccolo paragrafo dedicato alle “buone pratiche” imprenditoriali che creano lavoro e quindi sviluppo per il bene comune.

  1. Appare ora opportuno parlare di Jobs Act e di legge di stabilità che hanno molto a che fare con i temi qui trattati. Diciamo, prima di tutto, che questi due strumenti del Governo Renzi miravano in tre fondamentali direzioni. La prima nella direzione della spinta dalla contrattazione collettiva nazionale alla contrattazione aziendale. La seconda nella direzione di incentivi, compresi quelli fiscali, a favore delle diverse forme di partecipazione dei dipendenti alla vita delle imprese (partecipazione agli utili, azionariato dei dipendenti, consigli di gestioni e di sorveglianza e simili). La terza nella direzione degli incentivi a favore delle diverse forme di welfare aziendale sussidiario. Tra queste due ultime forme esistono importanti effetti di sostituzione, tenuto presente che nel sistema italiano hanno avuto storicamente sempre difficoltà a diffondersi le diverse forme di partecipazione dei dipendenti alla vita delle imprese, diversamente dal caso tedesco. Il welfare aziendale sussidiario è, come è noto, vantaggioso sul piano fiscale sia per l’azienda che per il dipendente e costituisce una forma implicita di remunerazione che va ad aumentare il salario dei dipendenti. Ci piace qui sottolineare il valore sussidiario di questi interventi da parte dell’impresa, in linea con uno dei principi della Dottrina Sociale della Chiesa, introdotto nella grande Enciclica sociale Quadragesimo anno di Pio XI del 1931. E’ la stessa enciclica che ha messo in evidenza i gravi errori di una completa separazione tra etica ed economia che stiamo vivendo nell’epoca della globalizzazione e dell’accelerazione del progresso scientifico e tecnico.

Non pochi ritengono, e molto probabilmente a ragione, che le norme riassunte sotto il titolo di Jobs Act hanno introdotto nel nostro ordinamento un insieme di riforme in linea con le buone pratiche europee. Naturalmente, questo non significa che il disegno ipotizzato con la legge delega sia compiuto, né tanto meno che quel disegno sia oggi sufficiente. Per completare le riforme lanciate nel 2014 mancano pezzi importanti, che non si esauriscono solo con altre norme di legge, perché richiedono investimenti in uomini e strutture organizzative e buone pratiche coerenti, a cominciare da una efficace organizzazione dei servizi all’impiego e delle politiche attive del lavoro.

Due sono le priorità fondamentali: una è dare risposte ai “perdenti della globalizzazione”; l’altra è aumentare gli sforzi per accrescere l’occupazione giovanile. Garantire adeguati livelli di protezione ai lavoratori colpiti dalle crisi e dalla globalizzazione è una priorità riconosciuta da tutti i Governi. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ritiene che una più equa distribuzione del reddito sia non solo socialmente ma anche economicamente necessaria per lo sviluppo. A questo riguardo non dobbiamo dimenticare l’illuminata affermazione di Pietro Onida, appartenente alla grande scuola italiana di economia aziendale, che la ricchezza si accresce non difendendola ma diffondendola.

Queste due priorità costituiscono indubbiamente un cambio di passo del dopo Jobs Act.

Il segnale redistributivo deve essere più forte e chiaro se si vuole che venga percepito e produca effetti visibili in termini di ripresa dello sviluppo.

L’altro cambio di passo per il dopo Jobs Act riguarda le misure per la creazione di posto di lavoro decoroso e non precario, soprattutto per i giovani, che sono il primo strumento per la crescita e per la stessa lotta alla povertà.

Bisogna tuttavia essere coscienti che le misure legislative non possono fare più di tanto. E’ inutile o strumentale continuare a chiedersi quanti posti di lavoro ha creato il Jobs Act e insistere su altre modifiche normative.

Gli stessi incentivi hanno limiti evidenti, soprattutto se sono di durata episodica e dispersi in troppi rivoli (incentivi a pioggia). Le migliori esperienze dei Paesi vicini mostrano la necessità di incentivi stabili a regime e selettivi. Le varie misure non devono essere riservate al sostegno del lavoro subordinato ma estese al lavoro autonomo, alle piccole e medie imprese e alle start up innovative. E questo è necessario se vogliamo gradualmente passare da un modello basato sulla crescita delle imprese esistenti ad un modello basato sulla nascita di nuove imprese, soprattutto innovative. In questo modo potrà aumentare il tasso di crescita medio dell’intera economia di cui abbiamo estremamente bisogno per motivi macroeconomici (vincoli di finanza pubblica) e microeconomici (modello di specializzazione produttivo).

Affrontare l’emergenza della disoccupazione giovanile è necessario per evitare un conflitto fra generazioni che sta esplodendo con effetti dirompenti anche sul piano politico. Basti pensare come votano i giovani, che si dividono tra assenteisti e voto di protesta. Occorre investire più risorse umane e organizzative per potenziare gli strumenti di sostegno alla transizione tra scuola e lavoro. L’alternanza scuola-lavoro è uno strumento importante che ha fatto la fortuna di Paesi come la Germania dove il tasso di diffusione si colloca intorno al 20%, rispetto al 4% dell’Italia. Occorre per questo un grande sforzo organizzativo e di avvicinamento culturale tra scuole e imprese. E’ necessario formare con programmi specifici nuclei sia di tutor aziendali, in grado di guidare gli studenti coinvolti nelle esperienze di lavoro, sia di docenti preparati a orientare i giovani nelle scelte e nell’utilizzo di tali esperienze. Per quanto riguarda la formazione dei tutor, hanno finora provveduto in spirito sussidiario alcuni fondi interprofessionali privati mettendo a disposizione risorse ad hoc.

Non servono incentivi a pioggia e alle istituzioni formative, ma aprendo a scelte individuali, ad esempio mettendo a disposizione dei singoli conti personali di formazione spendibili in corsi qualificati. La Francia ha appena potenziato un simile conto cui ogni lavoratore può attingere per finanziare proprie attività di formazione da 16 anni in su. Una “buona pratica” che dovrebbe essere introdotta anche nel nostro Paese.

  1. Tiriamo ora alcune conclusioni da questa nostra analisi. La prima riguarda il fatto che dobbiamo mirare ad una convergenza tra Industria 4.0 e Il lavoro 4.0, di cui parla padre Occhetta nel suo articolo. Va sottolineata nei processi di sviluppo la centralità dell’uomo, con i suoi valori di libertà, responsabilità, dignità, creatività. La visione antropologica è fondamentale e dobbiamo mirare ad una integrazione su alti livelli tra cultura del lavoro e cultura dell’impresa. Questo è quello che ci esorta a fare la Dottrina Sociale della Chiesa e che dovrebbe fare chi aderisce all’UCID che ha come primo obiettivo la conoscenza, la diffusione e la testimonianza da parte degli imprenditori, dei dirigenti e dei professionisti cristiani del magistero sociale.

Il risultato finale, come ci dicono Porter e Kramer, è la creazione di valore condiviso da parte di tutti gli stakeholder dell’impresa: dipendenti, comunità locali, istituzioni locali, clienti, fornitori, ambiente, azionisti. All’UCID parliamo di Strategie d’Impresa per il Bene Comune, ma è la stessa cosa.

Le Encicliche Sollicitudo rei socialis del 1986 e la Centesimus annus del 1991 di Giovanni Paolo II  parlano esplicitamente di economia di impresa, preferendola a economia capitalistica e a economia libera di mercato, come fattore fondamentale di sviluppo per la costruzione del bene comune. Lo ripeteva spesso il Cardinale Siri, nostro primo Consulente Ecclesiastico Nazionale dell’UCID: avevo allora capito, siamo negli anni quaranta del secolo scorso, che per aiutare i lavoratori dovevo andare dagli imprenditori che creano sviluppo per il bene comune. In linea di continuità con Giovanni Paolo II si muove Benedetto XVI con la grande Enciclica sociale Caritas in veritate. Mai come in questa enciclica vengono citate così tante volte le parole  impresa, azienda, imprenditore, imprenditorialità come fattori fondamentali dello sviluppo: cinquanta volte rispetto a trenta della Centesimus annus. Sulla vocazione imprenditoriale, Papa Francesco nella Evangelii gaudium afferma che quello dell’imprenditore “ è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita; questo gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo”. Quindi il dovere della produzione di ricchezza moltiplicando i talenti ricevuti e quello della sua distribuzione secondo principi di equità e giustizia.

Gli investimenti delle imprese manifatturiere italiane nel campo dell’Industria 4.0 vengono valutati attualmente nel 10% degli investimenti complessivi. Ci rendiamo conto dello sforzo enorme che dobbiamo fare per la digitalizzazione del nostro sistema produttivo che ci consente di accrescere la produttività del 30% di cui abbiamo tanto bisogno per ridurre il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) ed essere più competitivi rispetto ai nostri principali concorrenti a livello internazionale. Ma è utile ricordare, a nostro vantaggio, che si tratta di spese a bassa intensità di capitale, rispetto ai tradizionali investimenti materiali. I dati ci dicono che l’ammontare medio degli investimenti in digitalizzazione è circa un quinto rispetto all’importo medio degli investimenti in impianti, macchinari e attrezzature. Gli investimenti nella digitalizzazione presentano pertanto vincoli finanziari minori di quelli tradizionali, abbassando le barriere di accesso per le nostre piccole e medie imprese che costituisco la struttura dell’economia del nostro Paese.

Ma prima degli investimenti viene la formazione e la specializzazione del capitale umano per tradurre in sviluppo le enormi possibilità offerte dal sistema della digitalizzazione, cioè dal progresso scientifico e tecnico. Qui le imprese italiane devono fare un grande balzo, soprattutto rafforzando i loro legami con le Università che sempre sono stati deboli nel nostro sistema.

In definitiva, è sempre l’uomo l’artefice dei processi di sviluppo e la quarta rivoluzione industriale deve essere vista in chiave antropologica, come ci suggerisce padre Occhetta. Si tratta, nel suo significato più profondo, dello sviluppo umano integrale nella Carità e nella Verità, come si legge nella pagina iniziale della Caritas in veritate di Benedetto XVI.

Da tutto questo nasce l’idea delle “Giornate di un Nuovo Umanesimo”, frutto della collaborazione tra la Fondazione Nazionale di Studi Tonioliani, presieduta dal Prof. Romano Molesti, e l’UCID Nazionale.