A colloquio con il vicepresidente dei giovani dell’UCID
Restare persone
Un giovane professionista, con un ruolo di responsabilità in un’associazione come l’Ucid (Unione cristiana imprenditori dirigenti), che si richiama con nettezza al magistero della Chiesa, può aiutarci a comprendere come un mezzo “giovane” quale il digitale rischia di portare — e in parte lo sta già facendo — a fenomeni di ingiustizia sociale. Siamo a colloquio con Benedetto Delle Site, vicepresidente nazionale del movimento giovani dell’Ucid, associazione che riunisce manager e leader d’impresa che, come detto, ispirano la propria azione professionale e sociale ai principi della dottrina sociale della Chiesa.
«Quella che è in atto — argomenta subito Delle Site — è indubbiamente una trasformazione del lavoro, innescata dai processi di digitalizzazione e giocoforza accelerata dalla pandemia. Ne sono l’esempio più lampante parole chiave entrate nel lessico di ogni giorno, come smart working, e-commerce, delivery food. Possono significare finalmente conciliazione famiglia-lavoro e maggiore inclusione, come pure salari da fame e sfruttamento. Chi pensa di ignorare il cambiamento rischia semplicemente di scomparire, ma anche chi inizia a viverlo in pieno ne coglie sia opportunità sia ingiustizie. Possiamo ambire a un lavoro libero e dignitoso proprio grazie alla sua trasformazione, ma solo se avremo la capacità di ripensare anche le tutele e non lasciare indietro nessuno».
L’accenno appena fatto alla pandemia porta di filato ad approfondirlo, visto che tante trasformazioni (anche in negativo, fino ad arrivare quindi a quei fenomeni di ingiustizia sociale che la Giornata odierna si prefigge di combattere) possono derivare proprio da questo periodo così difficile. Il digitale, osserva a tal proposito Delle Site, «sta semplicemente diventando il fattore dominante nelle nostre vite. Pensiamo al fenomeno delle piattaforme: alcune di queste hanno iniziato a praticare forme di concorrenza sleale e agiscono sul mercato senza un quadro certo di comportamenti e di regole. Questo, però, non significa che vadano demonizzate in nome del passato, ma occorre favorire una nuova lex mercatoria che superi i confini degli Stati, coinvolgendo l’esperienza e i consigli di quegli attori morali che invece vogliono stare sul mercato senza operare ai limiti della truffa».
Il punto di vista del vicepresidente nazionale dell’Ucid è, sia per l’esperienza associativa sia per quella personale, quanto mai privilegiato, proprio per compenetrare quei rischi connessi, e alcuni già in atto, all’“avanzata” del digitale: «Il panorama che abbiamo di fronte — sottolinea il dirigente — è ricco di opportunità ma nasconde anche rischi e pericoli. C’è una dimensione che trovo interessante e su cui vogliamo impegnarci anche come realtà associativa giovanile: il passaggio dalla closed all’open innovation e la nascita di nuovi cantieri digitali. Possono rappresentare un’opportunità per i giovani (studenti, ricercatori, sviluppatori, startupper) che hanno competenze e idee da proporre ad aziende e stakeholder interessati. Il tutto può e deve tradursi in vere opportunità di profitto e di reddito, anche per frenare la tragica fuga di cervelli che va avanti da decenni. Come giovani dell’Ucid — aggiunge quindi il vicepresidente nazionale del movimento — stiamo ovviamente pensando di affrontare tutte le problematiche del digitale: per noi è un tema, per non dire “il tema” del momento che, come giovani imprenditori e dirigenti d’azienda con uno sguardo lungo e ispirato dall’insegnamento sociale della Chiesa, non possiamo certo ignorare. Sullo sfondo vi è la dignità e la centralità della persona umana ma anche la valorizzazione della sua vocazione creatrice, a servizio e salvaguardia del Creato».
Per quanto ovviamente più avvezzi dei grandi all’uso e, si spera, anche al “governo” del digitale, è possibile che i giovani possano farcela da soli? L’interrogativo viene così raccolto da Delle Site: «Le nuove generazioni sono nate digitali, e dunque non vanno sottovalutate né fatte oggetto di pregiudizi. Chi è venuto prima ha il dovere di offrire loro gli strumenti per mettere a frutto i propri talenti. La sfida è trasmettere di generazione in generazione quei principi etici e morali che permettono di comprendere e governare i cambiamenti in atto per non esserne assoggettati. Occorre aver chiara la distinzione tra mezzi e fini, perché gli strumenti non prendano autonomia morale e ci rendano “meno persone”».
E qui, da ultimo ma non per ultimo, il discorso si allaccia allora proprio a quel magistero della Chiesa che i giovani Ucid hanno come bussola di riferimento: «L’impatto delle nuove tecnologie — conclude il vicepresidente nazionale dell’associazione — ci interroga su chi è l’uomo e qual è il suo ruolo nell’universo. L’innovazione e la tecnologia sono un bene, perché sono il frutto più maturo dell’uomo creatura fatta a immagine di Dio e chiamato a cooperare con Lui alla creazione. La dottrina sociale della Chiesa è un pensiero organico che ci permette di comprendere il presente e di intervenire nella storia alla luce del Vangelo. Già con la Rerum novarum di Leone XIII offrì agli uomini principi e criteri di orientamento in un momento di profondi mutamenti, determinati dalla rivoluzione industriale e dal sorgere della questione sociale. E senza dubbio può farlo ancora oggi, aiutando — non solo noi — a eliminare alla radice qualsiasi ingiustizia sociale legata anche al digitale».
Restare persone – L’Osservatore Romano
Dott. Benedetto Delle Site