Siamo agli inizi della quarta rivoluzione industriale, dopo la prima riguardante la macchina a vapore, la seconda il motore a scoppio e la terza l’informatica e la telematica.
Questa quarta rivoluzione che dovrebbe traghettarci verso il mondo digitale e la civiltà della conoscenza non si basa su un unico paradigma e prevede quattro tecnologie abilitanti, con una differenziazione tra l’Europa e gli Stati Uniti d’America.
La prima tecnologia è Internet of Things (IOT) e include l’insieme di componenti e dispositivi (sensori) incorporabili in oggetti fisici che assicurano l’interfaccia tra mondo fisico e digitale e consentono di comunicare attraverso internet con altri oggetti, di scambiare informazioni e modificare il comportamento in base agli input ricevuti, memorizzare istruzioni e quindi apprendere dall’interazione. Lo sviluppo dello IOT ha evidentemente conseguenze sul settore manifatturiero. Nella fabbrica digitale aumenta la connessione e l’interdipendenza non solo tra i lavoratori e tra questi e la rete, ma anche tra le macchine, in altre parole tra i mezzi di produzione.
La seconda tecnologia riguarda la Manifattura additiva. Se fino a qualche anno fa le stampanti a tre dimensioni erano confinate nei laboratori del nuovo o indicate come veicolo di rilancio di una artigianalità digitale in grado di raccogliere l’eredità del made in Italy, l’evoluzione delle tecniche e delle caratteristiche dei materiali di stampaggio sta favorendo maggiori attenzioni da parte del mondo industriale. Questa tecnologia è ancora lontana da una diffusione su larga scala all’interno delle organizzazioni manifatturiere, ma è ritenuta in grado di produrre effetti importanti nella prototipazione, con significativi vantaggi di efficienza e risparmio di tempo; nella produzione di componenti, superando quindi il pregiudizio nei confronti di una tecnologia ritenuta finora adeguata solo per serie molto limitate; nella filiera dei ricambi, dove consentirebbe recuperi di efficienza importanti in un campo caratterizzato da forte variabilità della domanda, ampiezza della gamma e serie limitatissime.
La terza tecnologia è il Cloud computing. Essa costituisce già oggi uno dei campi di crescente investimento delle imprese, che consente salti di qualità nella gestione, trattamento e stoccaggio dei dati con importanti economie negli investimenti hardware e software. La diffusione dei dispositivi digitali al mondo degli oggetti e dello spostamento delle imprese manifatturiere sulle attività di servizi e relazioni con il cliente prevedibilmente aumenterà la domanda di gestione e trattamento delle informazioni.
La quarta tecnologia è Industria 4.0. Essa è un’iniziativa strategica del mondo industriale tedesco, fortemente sostenuta sul piano finanziario dal Governo federale; riflette obiettivi e indirizzi della grande industria tedesca senza nasconderne la valenza geopolitica. E’ infatti anche un programma di rafforzamento delle filiere guidate dalle maggiori industrie rivolto all’intera supply chain e di consolidamento egemonico del pensiero manageriale tedesco. Tema che riguarda direttamente l’industria italiana, particolarmente del Nord, dove più elevata è la concentrazione di imprese partecipate da gruppi tedeschi e dove più intensa è la penetrazione di concetti organizzativi sviluppati in Germania, impegnati a ridisegnare i processi produttivi per sé e per i propri fornitori. Industria 4.0 è anche una strategia europea, alfine di riportare la produzione manifatturiera sul territorio europeo. L’obiettivo del reshoring è testimoniato dall’impegno della Commissione Europea (Un’industria europea più forte per la crescita e la ripresa economica, 2012) di passare, entro il 2020, dall’attuale 15,6% del PIL legato al manifatturiero al 20%, a cui è seguita la cospicua allocazione di fondi comunitari destinati alla ricerca nel settore industriale.
Tutti questi quattro paradigmi che sono stati sinteticamente illustrati, sono in qualche modo espressione della tassonomia delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) e sui loro effetti sulla produttività[1]. Possiamo distinguere, salendo dal basso verso l’alto, le tecnologie più semplici di tipo informativo per passare poi a quelle di tipo transazionale, come il commercio elettronico. Arriviamo poi a quelle di tipo strategico che rivoluzionano i modelli organizzativi delle imprese e i loro rapporti con i mercati interni e internazionali, consentendo forti salti di produttività di tutti i fattori della produzione. Su quest’ultimo terreno, fondamentale per l’innalzamento della produttività di cui abbiamo estremo bisogno per competere in mercati sempre più aperti e integrati, le imprese italiane sono in ritardo, anche se ci sono segnali di recupero del gap. I dati infatti mettono in evidenza che le imprese italiane investono abbastanza nelle forme più semplici delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ma non in modo sufficiente in quelle di tipo strategico che rivoluzionano i modelli organizzativi aziendali e consentono forti salti di produttività. Si tratta, è bene ricordarlo, di investimenti a medio-bassa intensità di capitale, paragonati a quelli materiali in impianti, macchinari e attrezzature. La politica industriale ha qui larghi spazi di azione per sostenere l’indispensabile sforzo delle imprese italiane, attraverso soprattutto la legge 46 del 1982 per la ricerca applicata e l’innovazione tecnologia (v. bandi tematici).
Terminiamo con alcune considerazioni di carattere generale. La prima riguarda la natura dell’industria di quarta generazione. Nello scenario della divisione internazionale del lavoro tra paesi di antica industrializzazione e gli altri paesi, è destinato ad avere sempre più peso il settore dei servizi alla produzione ad elevata tecnologia, in cui sono richiesti elevati profili formativi e professionali del capitale umano e quindi la formazione a livello universitario che può essere offerta solo da università di eccellenza. E qui siamo nel campo aperto delle giovani generazioni perché dall’eccellenza della formazione del capitale umano dipenderà il futuro dei giovani nel mondo digitale e della società della conoscenza. Ma anche la finanza deve fare la sua parte perchè in questo campo siamo deboli nella filiera a sostegno della nascita di nuove imprese e dello sviluppo dimensionale delle imprese esistenti.
La seconda considerazione riguarda la natura e l’organizzazione del lavoro che, grazie alle moderne tecnologie, tende a diventare sempre più piatta, lasciando l’organizzazione di tipo gerarchico e con sistemi di remunerazione sempre più legati ai risultati. I rapporti nel mondo del lavoro da lineari tendono a diventare esponenziali, con una compressione del rapporto tra spazio e tempo. E qui viene in mente l’affermazione di Papa Francesco nella Evangelii gaudium: il tempo è superiore allo spazio.
Lo spazio è sempre meno quello delle fabbriche tradizionali, con alte concentrazioni di persone, andando verso unità composte da poche persone ma connesse in reti digitali complesse. Si tratta del modello “piccole imprese e grandi reti” su cui l’Italia deve puntare per la propria competitività nell’era della quarta rivoluzione industriale.
La terza considerazione riguarda l’intreccio tra tecnologie che caratterizza la quarta rivoluzione industriale: tecnologie dell’informazione e della comunicazione, biotecnologie, nanotecnologie, nuovi materiali, con esiti difficilmente prevedibili allo stato attuale. Tutto questo progresso scientifico e tecnico determinerà elevati salti di produttività che si tradurranno in parte (circa due terzi) in aumento del reddito pro capite e in parte (circa un terzo) in riduzione della durata del tempo dedicata al lavoro. Già nel secolo scorso, Keynes, di cui ricorrono quest’anno i 70 anni dalla scomparsa, prevedeva una giornata di lavoro di 25 ore, con forte aumento del tempo libero a disposizione delle persone. Si parlava allora di “disoccupazione tecnologica”, ma credo che si tratti di una categoria non più adeguata a questo nuovo mondo che si apre davanti a noi e che interesserà soprattutto le giovani generazioni. Si svilupperà un’industria del tempo libero, ma credo che l’uomo dovrà badare di più alla sua formazione culturale e spirituale per essere più uomo ad immagine e somiglianza di Dio. Diversamente, a fronte del maggior tempo libero a disposizione grazie agli effetti stupefacenti della tecnologia, potranno alimentarsi gli istinti peggiori dell’uomo che lo condurranno verso il male e alla sua distruzione.
Come ci ricorda Benedetto XVI nella Caritas in veritate, “La tecnica permette di dominare la materia, di ridurre i rischi, di risparmiare fatica, di migliorare le condizioni di vita” (n.69). Sulla scia della grande scuola economica austriaca, Benedetto XVI ci ricorda che il progresso scientifico e tecnico è il motore dello sviluppo economico. Un intero capitolo della Caritas in veritate è dedicato alla tecnica e allo sviluppo. Ma lo sviluppo economico deve essere per tutti e non solo per alcuni, altrimenti non si costruisce il bene comune che è la massima espressione dell’etica. E senza etica non ci può essere vero sviluppo perché si allargano pericolosamente le disuguaglianze e si diffonde un’economia che esclude e che uccide, come ci ricorda con determinazione Papa Francesco. Papa Benedetto XVI nella Caritas in veritate parla di sviluppo umano integrale, come Papa Francesco nella Laudato si’ sulla cura della casa comune parla di ecologia integrale, mettendo in evidenza l’intima connessione tra ecologia umana ed ecologia ambientale.
Dobbiamo rifuggire dal grande rischio di mettere la tecnica su un piedestallo. Il moderno vitello d’oro rappresentato dalla tecnocrazia che controlla e sottomette ogni attività umana, compresa la politica. “Attratta dal puro fare tecnico, la ragione senza la fede è destinata a perdersi nell’illusione della propria onnipotenza. La fede senza la ragione, rischia l’estraniamento dalla vita concreta delle persone”. “Di fronte a questi drammatici problemi, ragione e fede si aiutano a vicenda. Solo assieme salveranno l’uomo” (Caritas in veritate, n. 74).
L’Italia ha in definitiva buone chances per superare positivamente le grandi sfide della quarta rivoluzione industriale , ma occorre fare uno sforzo per sburocratizzare e rendere più efficienti ed efficaci i modi di funzionamento del nostro sistema universitario e di formazione del capitale umano, puntando in modo deciso sul legame virtuoso tra università, industria e servizi per un nuovo modello di sviluppo a servizio dello sviluppo integrale dell’uomo.
[1] G. Scanagatta, Progresso tecnico e sviluppo economico: il ruolo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, febbraio 2004.