La borsa valori è l’istituzione tipica del capitalismo. Può essere vista in modo positivo o in modo negativo. Nel primo significato, la borsa valori è lo strumento per la raccolta del risparmio a sostegno dell’accumulazione e dello sviluppo. Nel secondo, viene vista come luogo di speculazione. C’è da di discutere, in teoria e in pratica, se la speculazione sia stabilizzante o destabilizzante, ma questo è un argomento che esula dalla presente scheda.
Come è noto, il nostro sistema produttivo è formato quasi totalmente da piccole e medie imprese in cui la proprietà e il controllo coincidono.
Viene molto sentito il timore per la perdita del controllo e pertanto la maggioranza della nostre imprese è poco propensa a quotasi in borsa. Diversa è la situazione negli altri paesi, soprattutto anglosassoni, in cui pesano molto di più le grandi imprese e il ricorso alla borsa è ritenuto importante, con una frequente separazione tra la proprietà e il controllo. La proprietà è spesso molto frantumata è dà origine alla cosiddetta public company in cui l’azionariato è molto diffuso ma con quote non di controllo. Il controllo sta in mano ai managers, che non di rado conducono l’impresa in modo da massimizzare i profitti nel breve termine, in relazione ai legami tra i premi da loro percepiti e i profitti stessi. Emerge così il nodo molto delicato dei comportamenti etici dei managers e della sostenibilità dell’impresa nel lungo periodo.
Ma vediamo qualche numero della borsa valori a livello mondiale. La Apple ha una capitalizzazione di borsa di 512 miliardi di dollari. Google raggiunge i 464 miliardi. Insieme, queste due società hanno una capitalizzazione di borsa che supera la metà del prodotto interno lordo dell’Italia. Per un confronto, possiamo ricordare la capitalizzazione di borsa di Telecom Italia che è pari a 13 miliardi di euro.
Quello che colpisce subito guardando i numeri, è la grande volatilità delle quotazioni. Il rapporto tra quotazione massima e quotazione minima in 52 settimane è pari al 48,6% per Apple, al 53,3% per Google e al 96,1% per Telecom Italia. Sono questi i guadagni annui che si realizzerebbero nell’evento particolare di un acquisto alle quotazioni minime e di una vendita alle quotazioni massime. Si tratta di ordini di grandezza che non hanno niente a che fare con i livelli dei tassi di interesse, ora vicini allo zero o addirittura negativi per quanto riguarda i depositi delle banche presso la Banca Centrale Europea (BCE). Semplificando al massimo, possiamo pertanto dire che l’attuale politica monetaria della BCE favorisce in modo inaudito la speculazione di borsa, andando a ricercare il motivo dei guadagni non nei tassi di interesse ma nelle differenze tra le quotazioni di borsa.
Dovremmo pertanto ritornare alla sana funzione regolatrice del tasso di interesse, in relazione all’efficienza marginale del capitale, all’accumulazione e allo sviluppo del sistema economico.
Certamente il tasso di interesse è una delle variabili più affascinanti dell’analisi economica e del pensiero filosofico e giuridico. Lo studio della complessa natura dell’interesse trae la sua origine dai grandi pensatori greci e si sviluppa nel mondo romano, nella filosofia medioevale fino ad arrivare all’epoca moderna con le sue molteplici specializzazioni. Tre sono le domande fondamentali che si pongono gli economisti riguardo al tasso di interesse: il perchè della sua esistenza; i fattori che ne determinano il livello; le cause che lo fanno variare. L’analisi economica moderna ha mostrato la tendenza a privilegiare lo studio delle cause che fanno variare il tasso di interesse, considerando implicitamente la sua esistenza un fatto convenzionale. E’ avvenuto per l’economia quello che si è verificato per le scienze morali di cui essa fa parte; il passaggio dal fondamento al fenomeno (Fides et ratio, Giovanni Paolo II). Un recupero dell’equilibrio tra le due diverse ottiche s rende oggi sempre più indispensabile. E ciò vale in modo particolare per il tasso di interesse.
La globalizzazione dei mercati e la crescente potenza pervasiva delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione stanno riducendo il peso dello spazio nella determinazione di differenti tassi di interesse, ma non quello del tempo. E’, in fondo, quello che dice Papa Francesco nella Evangelii gaudium quando afferma la superiorità del tempo rispetto allo spazio. Come sta avvenendo, l’incertezza del futuro può essere fronteggiata con tecniche sempre più sofisticate, ma non eliminata, e la diversa valutazione dei beni presenti rispetto a quelli futuri costituisce, secondo l’insegnamento dei grandi economisti della scuola austriaca, una delle cause fondamentali dell’esistenza del tasso dell’interesse.