Sul tema della creatività ci offre un alto insegnamento il Santo Padre Benedetto XVI. Ecco l’esortazione del Papa: “Il destino di una società dipende sempre da minoranze creative. I cristiani credenti dovrebbero concepire se stessi come una tale minoranza creativa e contribuire a che l’Europa riacquisti nuovamente il meglio della sua creatività e sia così a servizio dell’intera umanità”. Diversamente, fa capire Benedetto XVI, l’Europa è destinata ad uscire dalle grandi traiettorie della storia.
Anche Luigi Einaudi ci ha lasciato l’eredità di un profondo pensiero sulle minoranze creative. Così egli scrive in Prediche inutili del 1962: “Gli uomini della minoranza sono necessari perché il meccanismo economico, sociale, morale, intellettuale di una società viva e progressiva è necessariamente soggetto a rischi”. Chi è creativo deve rischiare per tradurre in risultati utili le sue idee e le sue intuizioni, senza avere paura nascondendo sotto terra il talento ricevuto invece di moltiplicarlo. A noi cristiani viene subito alla mente il “non abbiate paura” che Giovanni Paolo II non si stancava mai di ripetere.
In questa stessa visione è interessante ricordare il pensiero del grande economista austriaco J.A. Schumpeter. Queste le sue parole: “L’impulso fondamentale al processo di sviluppo viene dall’innovazione, cioè dai nuovi beni di consumo, dai nuovi metodi di produzione o di trasporto, dai nuovi mercati, dalle nuove forme di organizzazione industriale”. Si tratta di un paradigma di innovazione molto ampio, che va ben al di là delle innovazioni di processo e di prodotto e che investe la società nel suo complesso in tutte le sue manifestazioni. L’uomo è il centro di questa creatività e l’impresa è il luogo privilegiato in cui essa si manifesta. Abbiamo davanti a noi la quarta rivoluzione industriale con i suoi diversi paradigmi che consente forti salti di produttività e di competitività.
Stiamo assistendo ad una forte accelerazione del progresso scientifico e tecnico. Le aree principali di questo progresso riguardano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, le biotecnologie, le nanotecnologie, i nuovi materiali. Assisteremo in futuro ad una crescente integrazione tra queste aree, con conseguenze oggi difficilmente immaginabili sulla capacità di soddisfare nuovo bisogni dell’uomo e sulla qualità della vita umana.
Per coniugare positivamente il progresso scientifico e tecnico con lo sviluppo economico occorre investire nel capitale umano, cioè nella creatività dell’uomo. Il ruolo della scuola e della formazione ai più alti livelli, pensiamo all’università, riveste natura strategica per sostenere la ricerca dal lato dell’offerta, rispetto ad una politica di intervento che in passato ha da noi privilegiato il sostegno alla domanda di ricerca e innovazione. L’università deve diventare il luogo di eccellenza per la formazione scientifica, indirizzando e sostenendo i giovani che intraprendono percorsi impegnativi. Solo in questo modo si può sviluppare l’offerta scientifica e tecnica nel nostro Paese, per soddisfare la domanda che sale dai settori nuovi e dalle imprese nuove che presentano maggiori tassi di sviluppo e più larghe opportunità occupazionali.
L’impresa è il perno e il cuore dello sviluppo economico. La creatività, il progresso scientifico e tecnico che in essa si realizzano in forza di una comunità di persone (Centesimus annus) che condividono e credono in un obiettivo comune, segnano un passaggio cruciale nella storia dell’uomo e dell’evoluzione del pensiero economico dalla visione dell’economia a somma zero dove ad una persona che si arricchisce deve necessariamente corrispondere una persona che si impoverisce, alla visione dell’economia di sviluppo dove attraverso la creatività, la conoscenza, l’innovazione, l’amore al lavoro, attraverso l’impresa insomma, si creano nuove utilità per il bene comune.
La centralità dell’uomo nei processi di sviluppo con i suoi valori di libertà, di creatività e di responsabilità, emerge per noi cristiani con tutta evidenza nel significato profondo del pensiero filosofico rosminiano. Nella sua Filosofia della politica Rosmini afferma che il cristianesimo ha salvato le società umane rivolgendosi agli individui, cioè a ciascuno di noi, non alle masse. Ancora nel 1847, un anno prima della pubblicazione del Manifesto di Marx e Engels, Antonio Rosmini nel Saggio sul comunismo e sul socialismo mette chiaramente in luce l’errore di fondo di tali sistemi, cioè la pretesa di costruire una società perfetta in cui “l’individuo non sia più nulla, quando il governo è tutto”.
Il Santo Padre Benedetto XVI con sollecitudine pastorale ci richiama costantemente contro i rischi del relativismo etico, che permea la nostra società all’inizio del terzo millennio.
La distinzione di Veblen tra imprenditori creatori, o innovatori nel significato schumpeteriano, e uomini d’affari manifesta l’infondatezza dell’identificazione di Marx tra imprenditori e capitalisti. Nelle democrazie economiche le due figure non coincidono perché l’imprenditore è colui che ha le idee, crea nuovi prodotti, nuovi servizi, nuove imprese, ricorrendo al sistema bancario o al mercato dei capitali per reperire le risorse finanziarie che gli mancano. In una vera democrazia economica, il sistema bancario e il mercato dei capitali devono sapere selezionare i progetti imprenditoriali meritevoli perché capaci di creare vero sviluppo per il bene comune.
La creatività riferita all’imprenditore o all’impresa nel significato di comunità di persone (Centesimus annus) può essere considerata almeno sotto due punti di vista. Il primo come propensione all’innovazione nelle imprese esistenti. Il secondo come propensione alla creazione di nuove imprese, soprattutto nei settori a più elevata tecnologia che mostrano maggiori tassi di crescita e più elevate opportunità occupazionali.
Occorre un nuovo patto tra banche e imprese per una nuova stagione di sviluppo e di modernizzazione del nostro Paese, nello scenario dell’Unione Europea e delle grandi sfide dell’economia globale al nostro modello di specializzazione produttiva.
Come è noto, a partire dalla metà degli anni novanta inizia un grande processo di aggiustamento strutturale del sistema bancario italiano all’indomani del Testo Unico in materia bancaria. Cade il principio della specializzazione del credito, sia sul piano temporale che funzionale.
Facendo un bilancio dopo più di vent’anni di banca universale, ci sono non poche cose che non vanno. La prima cosa è che ha prodotto effetti molto negativi la perdita della cultura della finanza specializzata. La seconda è che bisogna assolutamente evitare il pericolo di perdere le banche di prossimità con il territorio, frequentemente di piccole dimensioni, come sta avvenendo con la politica della vigilanza unica europea che spinge verso la concentrazione e l’aumento delle dimensioni. Il pretesto delle economie di scala e di scopo appare assai poco convincente perché non è stata mai dimostrata la loro esistenza nel caso degli intermediari finanziari.
Ma sopra ogni cosa va recuperata la visione etica del mondo bancario, purtroppo persa, che va ben al di là del perseguimento esclusivo della creazione di valore per gli azionisti. Dobbiamo dire no, come ci esorta Papa Francesco nella Evangelii gaudium, ad un denaro che governa invece di servire. La banca deve ritornare ad essere strumento di sostegno ai processi di sviluppo, un ponte tra il presente e il futuro, per la costruzione del bene comune che vede la persona umana al centro con i suoi valori di libertà, responsabilità, dignità, creatività.