Comunicato stampa
UCID agli stati generali: confronto con il governo sul ruolo dello Stato. “Da gestore dell’emergenza a soggetto di sviluppo”.
Tra le proposte del presidente Galletti: detassazioni mirate degli utili condivisi e aiuti concreti alle famiglie, valorizzazione del capitale umano e delle competenze.
Il presidente dell’UCID (Unione cristiana imprenditori e dirigenti), Gian Luca Galletti, accompagnato dal segretario generale dell’associazione, Cristina Maldifassi, ha partecipato ieri all’incontro con il Governo, sul tema “Progettiamo il rilancio”, insieme ai rappresentanti di Confindustria e delle altre principali associazioni di categoria del mondo del lavoro e della produzione.
L’evento, meglio noto come “Stati generali”, si è svolto presso la sede della presidenza del Consiglio di Villa Pamphili ed ha visto la partecipazione, fra gli altri, del premier Giuseppe Conte, del ministro dell’Economia Gualtieri, dei ministri De Micheli, Patuanelli, Cataldo, Provenzano, Boccia e D’Incà.
Galletti ha ricordato nel suo intervento che l’UCID “ha condiviso larga parte delle richieste rappresentate dalle altre associazioni, nella convinzione che la soluzione dei problemi non possa venire solo da un piano, anche se ben fatto, o da un decreto, anche se tempestivo: abbiamo apprezzato lo sforzo di progettualità dei colleghi così come abbiamo apprezzato la volontà di ascolto da parte del governo che ha voluto promuovere queste giornate. Ma -ha aggiunto- il tempo che abbiamo vissuto negli ultimi mesi è stato drammatico. Siamo stati messi di fronte ad una inaspettata crisi sanitaria che in prospettiva potrebbe generare una preoccupante “catena di crisi”, economica, sociale e, per qualcuno, anche democratica. La pandemia ha messo in evidenza tutte le criticità che il nostro sistema economico già aveva evidenziato all’inizio di questo secolo”.
“Già in occasione della grande crisi finanziaria del 2018 -ha rammentato il presidente dell’UCID- si ruppero gli equilibri del ventennio 1989-2009 e ora il capitalismo è alla ricerca di una nuova conformazione. In quella fase di globalizzazione, la crescita economica ha prodotto una serie di “fratture” non più sostenibili: tra la l’economia e il sociale, tra l’uomo e l’ambiente, tra la produzione e la finanza, tra la competizione e la collaborazione. Mentre tutto si espandeva, tutto si slegava: il nostro modello di crescita ha indebolito la trama dei rapporti sociali, inasprito le diseguaglianze, minacciato le possibilità di sviluppo futuro, eroso ogni intermediazione, svuotato le istituzioni. Ogni slegatura è diseconomia e si pagano oggi i conti della fase storica alle nostre spalle”.
“Accanto al sentimento della giustificata paura, però, abbiamo anche assistito ad un inatteso risveglio del pensiero rivolto al futuro: dobbiamo progettare l’Italia che verrà perché non saremo e non potremo più essere quelli di prima. Molti documenti sono stati prodotti in queste settimane, ma molti finiscono nell’imbuto della presunta responsabilità attuativa dello Stato. Purtroppo però, la macchina pubblica italiana è oggi in così grave crisi di gestione politica e di azione amministrativa da ritenere improbabile, se non impossibile, darle la responsabilità di un processo complesso e delicato quale quello di costruire una meravigliosa “Italia che verrà”. Inoltre, la recente crisi sanitaria e i suoi immediati effetti sull’economia hanno spinto la macchina pubblica ad operare su tanti campi di specifica difficoltà, con una politica di interventi a pioggia e di sovvenzioni ad personam, con una filosofia di azione che è esattamente il contrario di quel che richiederebbe una pianificazione strategicamente articolata. Nella crisi, lo Stato si è sempre più comportato come “addetto alle emergenze”, lontano quindi da quelle responsabilità di “soggetto di sviluppo” implicitamente evocato da ogni progetto o piano complessivo di evoluzione della società”.
“Per noi, invece, l’aumento di ricchezza e di benessere passerà da scelte in grado di incentivare l’economia, l’umano, il sociale e l’ambiente contemporaneamente: migliorare la qualità delle relazioni umane, occuparsi di una sfida sociale o ambientale, come quella dell’acqua, dell’alimentazione o della salute, deve essere concepito come un vero e proprio business, non come atto filantropico esterno o indipendente dal core business”.
Galletti è quindi passato alle proposte UCID per il rilancio del Paese. “La detassazione degli utili condivisi con dipendenti, territorio e terzo settore aiuterebbe l’affermazione di una nuova responsabilità di impresa, nel senso che l’imprenditore è chiamato ad un nuova missione: non basta più limitarsi a a non fare male ma agire per il bene comune nel mercato, adottare quindi comportamenti che affermino la responsabilità del prendersi cura dell’ambiente, delle persone del territorio”.
“Per raggiungere un tale obiettivo, un ruolo fondamentale è svolto dalla “famiglia” che, con tutti i suoi limiti, continua a dare un contributo fondamentale non solo per la vita delle persone, ma anche per lo sviluppo economico e delle imprese. Soprattutto in un Paese dove più del 90% delle attività economiche hanno dimensioni assai ridotte.
Il Governo ha appena approvato il Family Act e questo è un segnale importante: ora si possono immaginare tre obiettivi da perseguire:
- completare la transizione dei rapporti di genere. Ancora oggi le donne sopportano un carico di cura troppo grande e squilibrato che le costringe a mettere in alternativa vita lavorativa e familiare. In un mondo in cui le giovani donne sono anche quelle più formate è un lusso che non ci si può più permettere
- Sostenere la responsabilità educativa della famiglia che rimane essenziale nel determinare i destini di vita delle persone. L’educazione dei ragazzi è una priorità assoluta. Ci sono ancora troppi ragazzi che si perdono. Ciò vuol dire sostenere la famiglia nelle sue responsabilità con particolare attenzione ai primissimi anni di vita che sono poi quelli più importanti.
- governare la transizione demografica che nel giro di pochi anni è passata dal boom al blocco. L’equilibrio tra le generazioni rimane un obiettivo prioritario ancora molto lontano dall’essere raggiunto
“Infine -ha concluso Galletti- il capitale umano e la valorizzazione delle competenze sono fondamentali,per il futuro delle imprese e dell’economia e devono essere rese tangibili ed evidenti nel bilancio. Dagli studi effettuati e il confronto con i principali attori del mondo economico e legislativo è emerso che ciò può avvenire attraverso la oggettivazione e la valorizzazione del capitale intellettuale che è presente in ogni azienda. Questo comporterà un sensibile aumento del patrimonio d’impresa con conseguente sostenibilità (perché il know how è riconosciuto come bene immateriale); un aumento dell’occupazione e dialogo impresa-lavoratori (perché l’esperienza e la conoscenza sono riconosciute); un aumento delle competenze (perché innalzano la qualità e garantiscono l’innovazione e la competitività delle imprese); la neutralità fiscale nella sua applicazione (perché non richiede interventi diretti da parte dello Stato)”.