1.Per comprendere a fondo il pensiero di Pasquale Saraceno per la soluzione del dualismo economico che caratterizza il nostro Paese è indispensabile conoscere a monte il suo pensiero sociale. E’ un pensiero che si basa sulla giustizia sociale e che trova fondamento nei grandi principi della Dottrina Sociale della Chiesa che sono lo sviluppo, la solidarietà, la sussidiarietà, la destinazione universale dei beni, il bene comune.

Si tratta di principi che troviamo nel Codice di Camaldoli del 1943 a cui Saraceno ha dato un fondamentale contributo assieme all’amico Sergio Paronetto. Come fa notare Adriano Giannola, quest’aria valoriale si respirava già ai tempi dell’IRI, fin dalla sua nascita nel 1933. E per questo Giannola riporta quanto scrive al riguardo Alessandro Persico :”Il brain trust dell’IRI realizzò la fusione empirica di due scuole di pensiero sociale: quella laica nittiana, rappresentata da Beneduce e Menichella, e quella cattolica, di cui furono espressione Paronetto e Saraceno”. Per Saraceno, la giustizia sociale si realizza, in primis, attraverso le politiche economiche che raggiungono l’obiettivo della piena occupazione.

Ma le politiche economiche non possono essere le stesse se il grado di sviluppo di aree del Paese non è sufficientemente omogeneo, con differenze strutturali come nel caso del Nord rispetto al nostro Mezzogiorno.

Per questo, Saraceno propone due modelli differenti di politiche economiche per il Centro-Nord e per il Mezzogiorno. Nel primo caso occorre un modello di sostegno alla domanda e nel secondo un modello di sostegno all’offerta. In questo senso, Saraceno si allontana dal pensiero keynesiano per la soluzione del dualismo economico che caratterizza il nostro Paese. Nel contempo Saraceno sottolinea la frattura che esiste tra l’economia neoclassica e quella dello sviluppo per la soluzione dei problemi di lungo periodo dei Paesi poveri e sovrappopolati. Chiare sono, a tale riguardo, le parole di Saraceno. “Mentre la politica keynesiana è arrivata ad un grado molto avanzato di compiutezza, non altrettanto si può dire della teoria dello sviluppo; le gravi incertezze che sussistono in argomento derivano da diversi ordini di questioni non risolute; esse concernono il tipo di istituzioni che possono realizzare la politica di sviluppo, i collegamenti da istituire fra questi nuovi organi di natura, diremo così, imprenditoriale e le tradizionali istituzioni che garantiscono le libertà civili di un paese”.

Lo schema Vanoni verrà esaminato da Saraceno alla luce dei due modelli di domanda e offerta per l’area sviluppata e quella sottosviluppata del Paese, sottolineando l’insufficienza di un modello unico di domanda che andrebbe a favore solo del Nord industrialmente avanzato.  Questo è, secondo Saraceno, il limite dello schema Vanoni: un modello unico di sviluppo impostato sulla domanda per tutto il territorio nazionale caratterizzato da dualismo economico.

Il Mezzogiorno ha bisogno di accumulazione di capitale sociale, indispensabile per la crescita e l’aumento della produttività. Non è un problema di utilizzo   dei fattori della produzione per carenza di domanda come avviene nelle regioni sviluppate del Nord, ma un problema a monte di mancanza di infrastrutture e di capitale per lo sviluppo e l’aumento dell’occupazione.

Nei fatti, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), come afferma Giannola, è la riedizione dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno, applicato all’intero territorio nazionale. Si tratta di un grande piano di manutenzione straordinaria di tutto il nostro sistema economico, senza però una visione di tipo strategico del ruolo dell’Italia nel Mediterraneo. Dobbiamo guardare più al Mediterraneo verso l’Africa più che alla Mittel Europa. In questa prospettiva strategica, occorre sostituire, come afferma Giannola, “il vettore mare a quello della strada con l’apertura di corridoi costieri mediterranei e corridoi orizzontali terrestri (stradali e ferroviari)”. Cominciamo a mettere in corsa il Mezzogiorno per una ripresa dello sviluppo del Nord perché il ridimensionamento del sistema Italia va di pari passo con la mancata soluzione dei problemi dell’area meno sviluppata del Paese.

Si farà riferimento alla Conferenza tenuta a Washington da Pasquale Saraceno nel 1957 presso la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRS) sul tema “Riesame del Piano Vanoni a fine 1957”. Saraceno non ritiene sufficienti, per gli obiettivi dello Schema Vanoni, le politiche economiche keynesiane di aumento della domanda globale, senza tener conto della struttura economica del nostro Paese negli anni del secondo dopo guerra, in particolare della situazione di dualismo economico tra Nord e Sud. Il limite dello schema Vanoni consisteva, come già accennato, proprio nel fatto che il Sud aveva bisogno di un modello di intervento basato sull’offerta, a differenza del Nord per il quale era appropriata una politica della domanda.

Alla posizione di Saraceno risponde G. Ackley con un articolo del 1957, pubblicato da Moneta e Credito, su “Analisi keynesiana e problemi economici italiani”. Si richiamerà anche il pensiero di economisti italiani che condividono con Saraceno l’insufficienza delle politiche keynesiane per lo sviluppo economico negli anni cinquanta e sessanta, e, in particolare, del Mezzogiorno.

La Conferenza di Saraceno sullo Schema Vanoni, costituisce, a nostro avviso, uno splendido esempio di analisi dello sviluppo italiano di quegli anni e, in particolare, del dualismo economico tra Nord e Sud. E’ interessante ricordare che allora veniva stabilita la regola della ripartizione tra Nord e Sud degli investimenti delle aziende controllate dallo Stato. Gli investimenti lordi dovevano essere destinati in misura non inferiore al 40% alle aree del Mezzogiorno. Tale percentuale viene confermata con le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) destinate al Sud.

  1. Per Pasquale Saraceno è fondamentale la gerarchia dei valori per cui i valori sociali ed etici vengono prima di quelli economici. Basti pensare all’importanza che lui attribuisce alla piena occupazione e al raggiungimento del benessere in un’economia di tipo duale come quella italiana con uno squilibrio tra domanda e offerta di lavoro.

La giustizia sociale permea il pensiero di Pasquale Saraceno ed è quindi importante ricordare i principi del Codice di Camaldoli a cui lui ha dato un contributo fondamentale assieme a Sergio Paronetto nel 1943, per tracciare le linee fondamentali dello sviluppo dell’Italia una volta uscita dalle grandi distruzioni materiali e morali provocate dalla seconda guerra mondiale. Questi principi troveranno manifestazione nella prima parte della nuova Costituzione italiana entrata in vigore nel 1948. Si tratta di principi della Dottrina Sociale della Chiesa contenuti in due grandi Encicliche: la Rerum novarum di Leone XIII del 1891 e la Quadragesimo anno di Pio XI del 1931. La prima Enciclica rifiuta il conflitto tra capitale e lavoro   e ne indica la collaborazione per la costruzione del bene comune; la seconda, condanna lo strapotere della grande finanza e introduce il valore della sussidiarietà.

Dal 18 al 24 luglio del 1943, nella cornice del monastero di Camaldoli, proprio alla vigilia della caduta del fascismo, studiosi di diverse discipline furono chiamati, in forma riservata, dal segretario generale dei Laureati cattolici e Direttore dell’ICAS Vittorino Veronese, a elaborare dei contributi per affrontare i problemi sociali ed economici della ricostruzione del Paese, in vista della fine del conflitto mondiale e del futuro politico dell’Italia.

Giovanni Scanagatta

Professore di politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”

1.Per comprendere a fondo il pensiero di Pasquale Saraceno per la soluzione del dualismo economico che caratterizza il nostro Paese è indispensabile conoscere a monte il suo pensiero sociale. E’ un pensiero che si basa sulla giustizia sociale e che trova fondamento nei grandi principi della Dottrina Sociale della Chiesa che sono lo sviluppo, la solidarietà, la sussidiarietà, la destinazione universale dei beni, il bene comune.

Si tratta di principi che troviamo nel Codice di Camaldoli del 1943 a cui Saraceno ha dato un fondamentale contributo assieme all’amico Sergio Paronetto. Come fa notare Adriano Giannola, quest’aria valoriale si respirava già ai tempi dell’IRI, fin dalla sua nascita nel 1933. E per questo Giannola riporta quanto scrive al riguardo Alessandro Persico :”Il brain trust dell’IRI realizzò la fusione empirica di due scuole di pensiero sociale: quella laica nittiana, rappresentata da Beneduce e Menichella, e quella cattolica, di cui furono espressione Paronetto e Saraceno”. Per Saraceno, la giustizia sociale si realizza, in primis, attraverso le politiche economiche che raggiungono l’obiettivo della piena occupazione.

Ma le politiche economiche non possono essere le stesse se il grado di sviluppo di aree del Paese non è sufficientemente omogeneo, con differenze strutturali come nel caso del Nord rispetto al nostro Mezzogiorno.

Per questo, Saraceno propone due modelli differenti di politiche economiche per il Centro-Nord e per il Mezzogiorno. Nel primo caso occorre un modello di sostegno alla domanda e nel secondo un modello di sostegno all’offerta. In questo senso, Saraceno si allontana dal pensiero keynesiano per la soluzione del dualismo economico che caratterizza il nostro Paese. Nel contempo Saraceno sottolinea la frattura che esiste tra l’economia neoclassica e quella dello sviluppo per la soluzione dei problemi di lungo periodo dei Paesi poveri e sovrappopolati. Chiare sono, a tale riguardo, le parole di Saraceno. “Mentre la politica keynesiana è arrivata ad un grado molto avanzato di compiutezza, non altrettanto si può dire della teoria dello sviluppo; le gravi incertezze che sussistono in argomento derivano da diversi ordini di questioni non risolute; esse concernono il tipo di istituzioni che possono realizzare la politica di sviluppo, i collegamenti da istituire fra questi nuovi organi di natura, diremo così, imprenditoriale e le tradizionali istituzioni che garantiscono le libertà civili di un paese”.

Lo schema Vanoni verrà esaminato da Saraceno alla luce dei due modelli di domanda e offerta per l’area sviluppata e quella sottosviluppata del Paese, sottolineando l’insufficienza di un modello unico di domanda che andrebbe a favore solo del Nord industrialmente avanzato.  Questo è, secondo Saraceno, il limite dello schema Vanoni: un modello unico di sviluppo impostato sulla domanda per tutto il territorio nazionale caratterizzato da dualismo economico.

Il Mezzogiorno ha bisogno di accumulazione di capitale sociale, indispensabile per la crescita e l’aumento della produttività. Non è un problema di utilizzo   dei fattori della produzione per carenza di domanda come avviene nelle regioni sviluppate del Nord, ma un problema a monte di mancanza di infrastrutture e di capitale per lo sviluppo e l’aumento dell’occupazione.

Nei fatti, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), come afferma Giannola, è la riedizione dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno, applicato all’intero territorio nazionale. Si tratta di un grande piano di manutenzione straordinaria di tutto il nostro sistema economico, senza però una visione di tipo strategico del ruolo dell’Italia nel Mediterraneo. Dobbiamo guardare più al Mediterraneo verso l’Africa più che alla Mittel Europa. In questa prospettiva strategica, occorre sostituire, come afferma Giannola, “il vettore mare a quello della strada con l’apertura di corridoi costieri mediterranei e corridoi orizzontali terrestri (stradali e ferroviari)”. Cominciamo a mettere in corsa il Mezzogiorno per una ripresa dello sviluppo del Nord perché il ridimensionamento del sistema Italia va di pari passo con la mancata soluzione dei problemi dell’area meno sviluppata del Paese.

Si farà riferimento alla Conferenza tenuta a Washington da Pasquale Saraceno nel 1957 presso la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRS) sul tema “Riesame del Piano Vanoni a fine 1957”. Saraceno non ritiene sufficienti, per gli obiettivi dello Schema Vanoni, le politiche economiche keynesiane di aumento della domanda globale, senza tener conto della struttura economica del nostro Paese negli anni del secondo dopo guerra, in particolare della situazione di dualismo economico tra Nord e Sud. Il limite dello schema Vanoni consisteva, come già accennato, proprio nel fatto che il Sud aveva bisogno di un modello di intervento basato sull’offerta, a differenza del Nord per il quale era appropriata una politica della domanda.

Alla posizione di Saraceno risponde G. Ackley con un articolo del 1957, pubblicato da Moneta e Credito, su “Analisi keynesiana e problemi economici italiani”. Si richiamerà anche il pensiero di economisti italiani che condividono con Saraceno l’insufficienza delle politiche keynesiane per lo sviluppo economico negli anni cinquanta e sessanta, e, in particolare, del Mezzogiorno.

La Conferenza di Saraceno sullo Schema Vanoni, costituisce, a nostro avviso, uno splendido esempio di analisi dello sviluppo italiano di quegli anni e, in particolare, del dualismo economico tra Nord e Sud. E’ interessante ricordare che allora veniva stabilita la regola della ripartizione tra Nord e Sud degli investimenti delle aziende controllate dallo Stato. Gli investimenti lordi dovevano essere destinati in misura non inferiore al 40% alle aree del Mezzogiorno. Tale percentuale viene confermata con le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) destinate al Sud.

  1. Per Pasquale Saraceno è fondamentale la gerarchia dei valori per cui i valori sociali ed etici vengono prima di quelli economici. Basti pensare all’importanza che lui attribuisce alla piena occupazione e al raggiungimento del benessere in un’economia di tipo duale come quella italiana con uno squilibrio tra domanda e offerta di lavoro.

La giustizia sociale permea il pensiero di Pasquale Saraceno ed è quindi importante ricordare i principi del Codice di Camaldoli a cui lui ha dato un contributo fondamentale assieme a Sergio Paronetto nel 1943, per tracciare le linee fondamentali dello sviluppo dell’Italia una volta uscita dalle grandi distruzioni materiali e morali provocate dalla seconda guerra mondiale. Questi principi troveranno manifestazione nella prima parte della nuova Costituzione italiana entrata in vigore nel 1948. Si tratta di principi della Dottrina Sociale della Chiesa contenuti in due grandi Encicliche: la Rerum novarum di Leone XIII del 1891 e la Quadragesimo anno di Pio XI del 1931. La prima Enciclica rifiuta il conflitto tra capitale e lavoro   e ne indica la collaborazione per la costruzione del bene comune; la seconda, condanna lo strapotere della grande finanza e introduce il valore della sussidiarietà.

Dal 18 al 24 luglio del 1943, nella cornice del monastero di Camaldoli, proprio alla vigilia della caduta del fascismo, studiosi di diverse discipline furono chiamati, in forma riservata, dal segretario generale dei Laureati cattolici e Direttore dell’ICAS Vittorino Veronese, a elaborare dei contributi per affrontare i problemi sociali ed economici della ricostruzione del Paese, in vista della fine del conflitto mondiale e del futuro politico dell’Italia.

Giovanni Scanagatta

Professore di politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”