Scopo della presente scheda è di presentare una sintesi delle considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia lette il 31 maggio scorso.

Le considerazioni finali si aprono con il ricordo Carlo Azelio Ciampi, scomparso nel 2016. Ciampi è stato Presidente della Repubblica e per diversi anni Governatore della Banca d’Italia. Si ricorda il suo impegno per l’entrata dell’Italia nella moneta unica europea e per il raggiungimento dei requisiti del Trattato di Maastricht sia sul piano monetario che su quello della finanza pubblica.

Le considerazioni finali del Governatore Visco si articolano in cinque capitoli: congiuntura e politica monetaria; gli anni della crisi; due fattori di debolezza; lavoro e crescita; l’azione di vigilanza e le sfide per le banche. Chiudono le considerazioni del Governatore, alcune valutazioni critiche e di prospettiva. Le considerazioni finali contengono quest’anno una interessante novità: una serie di grafici che illustrano in maniera molto efficace i temi trattati nei diversi capitoli.

Congiuntura e politica monetaria. L’economia mondiale cresce a tassi superiori al 3 per cento, sostenuta da politiche espansive nelle principali aree; l’aumento degli investimenti sta restituendo vigore al commercio internazionale. Nei mercati finanziari prevale l’ottimismo, nonostante l’incertezza connessa con l’orientamento delle politiche economiche negli Stati Uniti, l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, l’elevato indebitamento nelle diverse aree del mondo, le persistenti tensioni geopolitiche. Nell’area dell’euro la crescita si va consolidando, sospinta dai consumi e dagli investimenti in beni strumentali. L’aumento del prodotto interno lordo dovrebbe essere prossimo, quest’anno, al 2 per cento, circa il doppio che nel nostro paese che fatica ad agganciarsi alla ripresa.

Gli anni della crisi. Sull’economia dell’area dell’euro pesa l’eredità di un decennio segnato da due recessioni – una causata dalla crisi finanziaria globale, l’altra da quella dei debiti sovrani – e dal rischio di una spirale deflazionistica. Il prodotto dell’area è caduto del 4,5 per cento durante la prima crisi e, dopo un recupero di 3,5 punti, di oltre l’1 per cento nella seconda, con andamenti fortemente differenziati tra paesi. Solo nel 2015 si è riportato sui livelli del 2008. Alcuni paesi sono stati particolarmente colpiti. Per l’economia italiana sono stati gli anni peggiori della sua storia in tempo di pace. Le conseguenze della doppia recessione sono state più gravi di quelle della crisi degli anni Trenta. Dal 2007 al 2013 il PIL italiano è diminuito del 9 per cento; la produzione industriale di quasi un quarto; gli investimenti del 30 per cento; i consumi dell’8. Ancora oggi nel nostro paese il prodotto è inferiore di oltre il 7 per cento al livello di inizio 2008; nel resto dell’area lo supera del 5.

Due fattori di debolezza. Le conseguenze per l’Italia della doppia recessione si sono manifestate in tutta evidenza su due variabili, profondamente diverse per natura e per entità, che sono spesso indicate, per la progressione del loro aumento e per i livelli raggiunti, come i problemi principali del Paese: il debito pubblico e i crediti cosiddetti “deteriorati” delle banche. Si tratta di due fattori di debolezza che riducono i margini di manovra dello Stato e degli intermediari finanziari; entrambi rendono vulnerabile l’economia italiana alle turbolenze sui mercati e possono amplificare gli effetti delle fluttuazioni cicliche. Il rapporto tra debito pubblico e prodotto è su livelli elevati da oltre trent’anni. Nonostante la riduzione avviata a metà degli anni Novanta, all’inizio della crisi era ancora prossimo al 100 per cento; è aumentato rapidamente dal 2008, fino a superare il 130 per cento. Gli effetti della crisi non potevano non riflettersi sui bilanci delle banche. Tra il 2007 e il 2015 l’incidenza sugli impieghi bancari dei crediti in sofferenza (le esposizioni, cioè, nei confronti di debitori insolventi) è più che triplicata, raggiungendo un livello comunque inferiore al picco della metà degli anni Novanta. Le difficoltà degli intermediari sono state acuite, in diversi casi, da comportamenti fraudolenti e scelte imprudenti nell’erogazione dei prestiti. Alla fine dello scorso anno i crediti deteriorati delle banche italiane, iscritti nei bilanci al netto delle rettifiche di valore, erano pari a 173 miliardi, il 9,4 per cento dei prestiti complessivi. L’ammontare di circa 350 miliardi, spesso citato sulla stampa, si riferisce al valore nominale delle esposizioni e non tiene conto delle perdite già contabilizzate nei bilanci; esso non è pertanto indicativo dell’effettivo rischio che grava sulle banche.

Lavoro e crescita. L’eredità più dolorosa della lunga crisi si vede sul mercato del lavoro e ha colpito soprattutto i giovani. Nel  2014 il tasso di disoccupazione è stato pari a quasi il 13 per cento, più del doppio che nel 2007; quello dei più giovani (tra i 15 e i 24 anni) dal 20 ha superato il 40 per cento; i valori sono più alti nel Mezzogiorno. Si è ampliato il divario tra la qualità degli impieghi offerti e le aspirazioni dei lavoratori: la quasi totalità degli occupati dipendenti a termine vorrebbe un contratto di lavoro permanente; due terzi dei lavoratori a tempo parziale desidererebbero un impiego a tempo pieno, contro il 40 per cento dieci anni fa. Sono peggiorati gli standard di vita delle famiglie, soprattutto di quelle più disagiate. Secondo le previsioni dell’Istat, che pure scontano un afflusso netto di circa 150.000 immigrati all’anno, nei prossimi trent’anni la popolazione di età compresa tra i 20 e i 69 anni si ridurrà di quasi 7 milioni di unità. La popolazione con oltre 70 anni di età salirà a circa il 30 per cento del totale, con ripercussioni importanti sulla composizione dell’occupazione e un ulteriore sviluppo della domanda di servizi di cura, assistenza e sanità, dove già negli ultimi vent’anni si è concentrato oltre un terzo dell’incremento del numero degli occupati. Un aumento della partecipazione al mercato del lavoro e un inserimento efficace e razionale degli immigrati saranno elementi necessari per lo sviluppo futuro del Paese. Ma occorre che torni a crescere la produttività. Il sistema economico italiano, molta parte del quale è in grave ritardo nell’adozione delle nuove tecnologie, soffre da ben prima della crisi di una dinamica della produttività totale dei fattori troppo lenta. Salita in media di appena lo 0,2 per cento all’anno tra il 1995 e il 2007, circa un quarto del ritmo stimato per Francia e Germania, negli ultimi anni essa ha recuperato solo in piccola parte l’accentuata flessione subita durante la crisi.

L’azione di vigilanza e le sfide per le banche. In un paese in cui i finanziamenti alle imprese provengono per quattro quinti dalle banche, la caduta dell’attività produttiva si è inevitabilmente ripercossa sugli intermediari. La redditività delle banche e la capacità di generare capitale sono peggiorate, risentendo sia del calo dei ricavi sia delle maggiori perdite su crediti; nel triennio 2013-15 queste ultime hanno mediamente assorbito il 90 per cento del risultato di gestione. I benefici della ripresa stanno ora lentamente emergendo nei bilanci degli intermediari. I risultati negativi registrati lo scorso anno riflettono in parte il basso livello dei tassi di interesse e gli oneri straordinari sostenuti per incentivare l’uscita anticipata di parte del personale; vi hanno contribuito le forti svalutazioni sui prestiti contabilizzate negli ultimi mesi del 2016. Nel primo trimestre di quest’anno il risultato di gestione dei maggiori gruppi si è mantenuto sostanzialmente stabile, mentre le rettifiche su crediti si sono ridotte di circa un quinto. I prestiti al settore privato non finanziario hanno continuato a crescere, a tassi intorno all’1 per cento annuo. Come sottolinea il Governatore con una venatura critica, l’attività di controllo si è svolta in una fase concitata di mutamento della normativa internazionale ed europea. Soprattutto, la definizione di un nuovo sistema di gestione delle crisi bancarie e, prima ancora, l’interpretazione restrittiva della disciplina degli aiuti di Stato hanno segnato una brusca cesura. In una congiuntura sfavorevole sono stati sottovalutati i rischi della transizione. Nell’applicazione delle nuove regole occorre evitare di compromettere la stabilità finanziaria. Nel rispetto dei principi alla base del nuovo ordinamento europeo, gli interventi delle autorità devono essere volti a preservare il valore dell’attività bancaria, a vantaggio dei risparmiatori e delle imprese affidate. Non si può correre il rischio di intaccare la fiducia nelle banche e nel risparmio da esse custodito.

La parte finale delle considerazioni contengono alcune valutazioni critiche del Governatore, soprattutto per quanto riguarda la vigilanza unica europea con una moltiplicazione esasperata delle regole. Il Governatore Visco ha criticato regole europee o scelte di autorità europee che non sono state condivise, ma non per mettere in discussione il cammino dell’Europa. Uno dei problemi che la crisi ha reso evidente consiste proprio nell’incompletezza della costruzione, specie nel campo economico e finanziario. La governance europea si è basata finora quasi solo su regole che, nella ricerca esasperata di garanzie reciproche, vincolano le scelte di ciascun paese. Ne è risultata un’Unione più forte nel proibire che nel fare.