Uno dei temi di cui si è discusso nella Commissione, presieduta dal Presidente Nazionale Dott. Giancarlo Abete, per la partecipazione dell’Ucid all’Expo di Milano 2015, riguarda la ricerca di senso nel mondo del lavoro, dell’impresa e dell’economia. Si tratta di un tema proposto dall’Ing. Alessandro Crespi, già Presidente del Gruppo Ucid della Lombardia, sperimentato sul territorio con un interessante Convegno che si è svolto a Piacenza nella scorsa primavera. Il tema è di grande rilevanza nell’ epoca delle forti trasformazioni che stiamo vivendo e sarebbe molto utile farne un evento Ucid da presentare all’Expo del 2015.
Scopo di questa lettera è di presentare alcune riflessioni sul significato del lavoro nel mondo di ieri e di oggi, caratterizzato dalla globalizzazione e dal progresso scientifico e tecnico, soprattutto con la rivoluzione digitale.
Nel mondo greco e romano al lavoro non veniva attribuito grande significato ed era lasciato alle persone che non godevano della libertà. La rivoluzione si ha con il cristianesimo perchè tutti gli uomini sono liberi ed hanno pari dignità davanti a Dio. Sono i due grandi comandamenti dell’amore verso Dio e verso il prossimo che costituiscono il fondamento del messaggio evangelico. L’uomo con il proprio lavoro continua l’opera creatrice di Dio, traendo i frutti dalla terra per la sua esistenza.
Grandi cambiamenti si realizzano con il monachesimo e con la regola di San Benedetto ora et labora. L’economia dell’epoca era caratterizzata da un tempo di transizione: stava terminando l’economia curtense, sostanzialmente autarchica, in cui cioè tutti i prodotti agricoli e artigianali erano prodotti e consumati localmente, e si stava sviluppando un’economia totalmente diversa, caratterizzata dal commercio e dall’inizio di attività industriali. Finisce il baratto e compaiono le banche e l’uso della moneta.
Arriviamo quindi a grandi passi alla prima rivoluzione industriale della fine del 1700 e all’introduzione delle macchine che rivoluzionano il modo di lavorare, alla divisione del lavoro e alla specializzazione. Il modello organizzativo tayloristico svalorizza il significato del lavoro e quindi dell’uomo che lavora, alla ricerca dell’efficienza e della produttività. L’uomo diventa un piccolo ingranaggio anonimo della grande fabbrica. Si divide il lavoro e si divide l’uomo. Il lavoro viene considerato una merce come tutte le altre, soggetto alla legge universale della domanda e dell’offerta. Come si legge in una monografia di F. Engels del 1878 “Essendo diviso il lavoro, anche l’uomo è diviso. Tutte le altre capacità fisiche e spirituali sono sacrificate alla formazione di una sola attività. Questa minorazione dell’uomo cresce nella stessa misura in cui cresce la divisione del lavoro, che raggiunge il suo più alto sviluppo nella manifattura. La manifattura scompone il mestiere nelle sue singole operazioni parziali, assegna ciascuna di queste stesse operazioni ad ogni singolo operaio come compito della sua vita e così lo incatena vita natural durante ad una determinata funzione parziale e ad un determinato strumento”. Nella catena di montaggio della grande fabbrica viene meno il rapporto che era tipico dell’epoca rinascimentale tra l’artigiano che crea e la cosa creata. Nella catena di montaggio si produce ma non si crea perché il lavoratore è anonimo rispetto al bene che viene prodotto. E’ la grande distinzione che fa Chesterton tra l’atto del creare e l’atto del produrre. La creazione di un bene implica prima il pensarlo nella mente dell’uomo, mentre la produzione no perché è mera esecuzione parcellizzata di un progetto che è stato pensato da altri. Manca in definitiva la concezione del lavoro come creazione di valore condiviso.
Marx ed Engels portano l’esempio della grande impresa manifatturiera con l’inserimento delle macchine, come esempio di lavoro diviso e parcellizato che porta all’annullamento della personalità e della dignità del lavoratore. La storia ha tuttavia smentito questa visione di Marx ed Engels e l’esempio più evidente lo abbiamo nella nostra Italia in cui è prevalente il sistema delle piccole e medie imprese e dei distretti. In tale sistema il lavoratore è molto valorizzato e contribuisce assieme al proprietario ad innovare continuamente l’impresa per rispondere alle sfide competitive del mercato. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno accelerato questa tendenza, intaccando il mito delle economie di scala e di scopo proprie dell’impresa manifatturiera di grandi dimensioni a cui pensavano Marx ed Engels . Il modello italiano è quello delle “piccole imprese e grandi reti”, grazie alle grandi potenzialità delle tecnologie, dell’informazione e della comunicazione. Il secondo errore di Marx ed Engels riguarda la mancata distinzione tra capitalista e imprenditore, come invece ci fa intuire il grande economista austriaco J. Schumpeter. L’imprenditore innovatore può anche essere non capitalista perchè ci sono le banche che creano credito e consentono la trasformazioni delle innovazioni dell’imprenditore in prodotti e servizi per il mercato.
La rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione della nostra epoca sconvolge i modi di produrre, di distribuire i beni e l’organizzazione del lavoro. L’organizzazione piramidale del lavoro con lo svolgimento di determinate mansioni senza alcuna responsabilità, tende a scomparire con l’applicazione delle nuove tecnologie digitali. L’uomo si riappropria del significato del proprio lavoro, ne diventa responsabile con un collegamento più stretto tra il risultato raggiunto e la remunerazione economica.
La Dottrina Sociale della Chiesa, fin dalla Rerum novarum del 1891 di Leone XIII, si rende interprete delle grandi trasformazioni del significato del lavoro nel corso dell’ultimo secolo. Si rifiuta il conflitto tra capitale e lavoro e la lotta tra le classi sociali, additando la via della solidarietà e della collaborazione con un impegno che deve partire dal basso coniugando i grandi valori della solidarietà e della sussidiarietà.
Un contributo fondamentale alla ricerca di senso nel mondo del lavoro, dell’impresa e dell’economia viene dato da Giovanni Paolo II con l’Enciclica sociale Laborem exercens del 1987. Giovanni Paolo II distingue tra lavoro in senso soggettivo e lavoro in senso oggettivo. Nel primo significato si guarda all’uomo con i suoi valori di libertà, responsabilità, dignità, creatività. Nel secondo, si considerano gli aspetti più strettamente economici e tecnologici del lavoro. Nell’enciclica si mette in guardia dal grande pericolo dell’economicismo, per cui tutto viene ridotto alla dimensione economica, trascurando tutte le altre dimensioni e, in primo luogo, quella spirituale. Giovanni Paolo II ci fa capire che l’economia non può essere spiegata con la sola economia, ma da tutti i valori dell’uomo che è fatto a immagine e somiglianza di Dio.
Questi grandi principi della Dottrina Sociale della Chiesa di Giovanni Paolo II, vengono ripresi e sviluppati da Papa Francesco nella Evangelii gaudium del 2013. Papa Francesco dice no all’economia dell’esclusione e delle disuguaglianze che genera violenza e allontanamento dall’obiettivo dello sviluppo per il bene comune universale.