La Banca Centrale Europa (BCE) continua sulla strada della politica monetaria “super espansiva”. Ne è conferma Il Quantitative Easing (QE) di cui si parla molto in questi ultimi tempi, in base al quale la BCE immette sul mercato grandi flussi di base monetaria acquistando titoli del debito pubblico e altri strumenti finanziari di bassa qualità come gli ABS (Asset Backed Securities). In questo modo, le banche europee liberano i propri bilanci di attività caratterizzate da rischi mediamente elevati, in cambio di liquidità fresca che occorre vedere come verrà impiegata.
La BCE, attraverso le parole del suo Presidente Mario Draghi, giustifica il QE sulla base del perseguimento di due obiettivi: primo, portare il sistema al di fuori della deflazione; secondo, creare le condizioni per la ripresa dello sviluppo economico e dell’occupazione nel vecchio continente.
Il primo obiettivo implica l’accettazione di una filosofia di tipo monetarista e della teoria quantitativa della moneta, nella versione di I. Fisher o in quella più avanzata di M. Friedman.
Un Draghi quindi monetarista: una posizione certamente diversa dalla sua formazione economica.
Noi non crediamo che il QE possa concorrere a tirare fuori l’area dell’euro dalla deflazione perchè l’abbondante liquidità creata dal QE è destinata a parcheggiare presso le banche, con un forte abbassamento della velocità di circolazione della moneta.
Da questo punto di vista, noi crediamo molto di più al pensiero del grande economista svedese K. Wicksell, srenuo assertore di una velocità variabile della circolazione della moneta. Il successivo pensiero di J.M. Keynes, che troviamo nel Trattato sulla riforma monetaria del 1930, è perfettamente in linea con il pensiero dell’economista svedese, come risulta dalle due equazioni fondamentali dei prezzi.
I dati sono coerenti con la nostra chiave di lettura. Infatti, l’esperienza degli oltre mille miliardi di fondi TLTRO, messi a diposizione in passato delle banche europee da parte della BCE a bassissimi tassi di interesse, non è stata affatto positiva. Anzi, i crediti concessi dalle grandi banche ai settori non finanziari dell’economia sono addirittura diminuiti. Era di oltre -3% a febbraio 2014, rispetto a dodici mesi precedenti, e si è ridotto a -1% lo scorso gennaio, ma resta sempre negativo. Soltanto le banche di credito cooperativo e quelle locali collegate al territorio hanno aumentato il flussi di credito alle piccole e medie imprese e alle famiglie.
Noi crediamo che la chiave di interpretazione debba essere diversa.
E’ molto probabile che il Presidente Draghi possa centrare l’obiettivo di un tasso di inflazione nell’area euro del 2%, ma attraverso gli effetti inflazionistici di un tasso di cambio dell’euro in parità con il dollaro.
Tale livello del cambio della moneta unica dovrebbe dare un forte impulso alle esportazioni europee e, soprattutto, di quelle dei Paesi del Sud dell’Unione Europea e, in particolare, dell’Italia, A questo riguardo, recentemente il Governatore della Banca d’Italia Visco, ha affermato: “E’ questo il momento di intervenire strutturalmente sul potenziale di crescita dell’economia, con strumenti che innalzino a un tempo produttività e occupazione, creando nuovo reddito e nuova domanda. Il deprezzamento del cambio può tramutarsi da impulso temporaneo a spinta permanete all’economia se prelude a un guadagno di competitività, a un più basso tasso di cambio reale al di là del breve periodo” (Intervento del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, Le imprese e il ruolo dell’azione pubblica, oggi; Accademia Nazionale dei Lincei, Convegno “La storia dell’IRI e la grande impresa oggi”, Roma, 23 marzo 2015).
Dovremmo avere, in conclusione, una ripresa italiana ed europea trascinata dalle esportazioni, ed è questo il vero grande merito del Presidente della BCE, Mario Draghi.